Ma l’Eurobond funziona solo se è solidale

Ma l'Eurobond funziona solo se è solidale

BRUXELLES – L’Eurobond, panacea di tutti i mali e soluzione magica per la crisi? La vedono così in tanti, dando per scontato che gli investitori accoglierebbero il nuoto titolo europeo a braccia aperte e le agenzie di rating gli darebbero il massimo dei “voti”. Invece, bisogna fare molta attenzione, perché tutto dipende da come si fa l’eurobond e che cosa si intende. A ricordare che un eurobond “a garanzia limitata” non sarebbe affatto bene accolto è stata la più grande delle agenzie di rating, Standard & Poor’s. In questi giorni il capo del suo ufficio per l’Europa, il tedesco Moritz Krämer ha suscitato scalpore in un suo intervento a una conferenza ad Alpbach, in Austria, che è sembrato mettere una pietra tombale sui mitici titoli europei. «Se avremo un eurobond – ha affermato (secondo quanto riportato dal quotidiano di Vienna Der Standard) – in cui la Germania garantisce il 27%, la Francia il 20% e la Grecia il 2%, il rating di questo eurobond sarebbe CC, che corrisponde a quello di Atene», pari dunque a spazzatura.

Questo perché, ha detto ancora Krämer, «il rating si orienterebbe sempre sul membro più debole». Abbiamo contattato gli uffici di Francoforte di Standard&Poor’s, i quali ci hanno semplicemente rinviato a un pezzetto di carta, pesante come il piombo, pubblicato una prima volta il 29 maggio 2009 e poi una seconda, quando le discussioni sull’eurobond si erano intensificate, il 29 ottobre 2010. Il documento si occupa in particolare di un titolo composito, in cui ogni paese partecipante, di vario rating, garantisce per la sua quota. S&P fa una premessa importante: «anticipiamo – si legge – che un’obbligazione composita di questo tipo è improbabile che sia realizzata su una scala significativa al di là di Stati con rating simili, visti i rischi di costi di finanziamento più elevati per Stati emittenti classificati in modo superiore ad altri partecipanti». È proprio il rischio enunciato più volte dai tedeschi per spiegare la loro avversione per gli eurobond.

Detto questo, qualora si arrivasse a un titolo Ue così realizzato (dove appunto ognuno garantisce per la sua quota), il verdetto dell’agenzia è lapidario, e rispecchia quanto affermato da Krämer ad Alpbach: «in queste circostanze – recita il documento – Standard & Poor’s in generale assegnerebbe all’obbligazione il rating al livello dello stato partecipante più debole (approccio “weak-link”), a prescindere dalla quota di partecipazione di questo», dunque anche un ipotetico 2% della Grecia. Perché? Semplice, spiega S&P: «la ragione di questo è che noi riteniamo improbabile che uno Stato in default sarebbe in grado di continuare a pagare il servizio del bond composito cessando invece di pagare i titoli e messi a proprio nome».

Tradotto: se uno Stato non dovesse essere più in grado di pagare i propri titoli nazionali, non potrebbe più neppure pagare la propria quota dell’eurobond. E se così fosse, l’intero titolo Ue riceverebbe il rating di “SD”, “selective default”. Morte insomma del sogno dell’eurobond? Non è così, come fa intuire la stessa S&P. Ad esempio, si legge nel famoso papiello, «se un’obbligazione sovrana composita includesse una garanzia da parte di un’entità con rating superiore, ad esempio un’entità sovranazionali o uno Stato, e se questa garanzia fosse considerata senza condizioni, tempestiva e irrevocabile in linea con i criteri di Standard & Poor’s sul debito sovrano garantito, allora il rating del titolo sarebbe equiparato a quello del garante».

Ci avviciniamo così all’altra forma di eurobond, l’unico veramente europeo ma anche il più difficile da realizzare: quello in cui tutti garantiscono per tutti, ovvero la Germania e la Francia garantiscono anche per le quote di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna o Italia. Interpellata da chi scrive, S&P è prudente e sottolinea che è presto per un “verdetto” sul titolo Ue, per un giudizio effettivo, avverte, si dovrà attendere di vedere come sarà – se sarà – il famoso eurobond. Il messaggio implicito, tuttavia, è chiarissimo: solo un titolo Ue all’insegna della responsabilità comune e della solidarietà dei più ricchi verso i più poveri potrebbe, forse, risolvere la crisi calmando i mercati. Se poi la tempesta che imperversa sempre più violentemente sull’eurozona spingerà i politici a questo estremo passo, resta tutto da vedere. La palla è nel campo di Berlino.