Nuovo condono fiscale? Il Pdl apre, la Lega frena e l’opposizione grida allo scandalo. Contrario il ministro Giulio Tremonti, che ha spiegato l’effetto psicologico dell’annuncio: «La gente smette di pagare le tasse quando aspetta il condono. Solo parlarne costituisce un danno enorme. Così si sostituisce un’entrata strutturale con un’entrata “una tantum” e il risultato finale sono meno soldi». Su un fronte diverso il premier Berlusconi che ha lanciato la proposta: «Potremmo giustificare un condono dicendo che serve a porre un argine alle vessazioni dello Stato nei confronti dei cittadini in difficoltà». La discussione è tutta aperta, anche se rimangono problemi tecnici e soprattutto politici. Ma per capire i tempi effettivi del recupero di risorse per lo Stato bisogna tornare al 2002.
Con la sanatoria fiscale del governo Berlusconi era possibile mettere a posti i conti con varie formule: le tre principali furono concordato fiscale, dichiarazione integrativa e il condono cosiddetto «tombale». Grazie al «tombale» si è consentito a tutti i contribuenti, titolari e non di partita Iva, di regolarizzare le imposte relative alle dichiarazioni che andavano presentate entro il 31 ottobre 2002. In pratica si chiudevano i conti con il Fisco pagando una somma parametrata alla dichiarazione dei redditi. Con un effetto paradossale: si avvantaggiava chi aveva dichiarato meno. I condoni del 2002 valevano, sulla carta, 26 miliardi. Alla fine dello scorso anno ne risultavano incassati solo 20,8. Secondo la Corte dei conti servirebbero almeno dodici anni per incassare tutto l’arretrato, arrivando al 2023. Perché quel buco da mancata riscossione? I contribuenti che avevano aderito alla sanatoria, avevano pagato solo la prima rata per usufruire dello scudo giuridico del condono, lasciando un conto in sospeso di oltre 5 miliardi.
«L’errore che fu fatto all’epoca – spiega Enrico Zanetti di Eutkene.info – fu scegliere i pagamenti rateali e rendere valido il condono già con la prima rata che metteva a posto pendenze clamorose». Così una volta pagata la prima rata e incassata la validità giuridica perché pagare anche le altre? Nel frattempo anche l’Agenzia delle entrate ha ammesso che di quei cinque miliardi di euro solo un miliardo potrebbe rientrare e gli altri sono andati persi, perché la gran parte delle situazioni sono riconducibili a società fallite o svuotate, o soggetti che nel frattempo si sono dileguati. Perché si è aspettato così tanto tempo? Nessuna ha una risposta e per recuperare quelle risorse in extremis, dopo ben 9 anni lo scorso settembre un emendamento alla manovra (presentato dal Pd in commissione Bilancio al Senato e accolto da governo) mette nero si bianco quello cha a quasto punto sembra solo una dichiarazione d’intenti: recuperare entro il 31 dicembre di quest’anno – si legge nel testo- anche con «azione coattiva» del Fisco, le somme non ancora riscosse. Una missione impossibile.
Così si torna sul campo della politica e degli annunci. Contraria alla proposta di condono avanzata dal governo anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: «In un certo senso premia i furbi, mentre noi ora abbiamo bisogno che tutti paghino le tasse e rispettino le regole. Non credo che sia la scelta giusta». La stessa Marcegaglia però, quando nel 2002 era ancora alla guida del suo gruppo (attivo nella trasformazione dell’acciaio con 7 mila dipendenti), non ebbe nulla da ridire di fronte alla sanatoria tombale. Così il gruppo usò il condono pagando 9,5 milioni di euro per mettere a posto i conti in sospeso col Fisco.