CineteatroraMilano? “La città di M.” per Colaprico debutta a teatro

Milano? “La città di M.” per Colaprico debutta a teatro

Il passo è malfermo, la carne fatta a brandelli e le parole più volte smozzicate, soffiate come tra fessure e poi subito riprese, perché la storia deve pur andare avanti. Qui città di M. raccoglie il simbolo e la realtà di uno scenario dove i corpi entrano l’uno nell’altro e la scrittura di un noir metropolitano per un’attrice, Arianna Scommegna (premio Hystrio per l’interpretazione 2011), che non teme azione e narrazione, è presto tela di rapporti, intrichi del caso e appello al pubblico.

Nato da una sfida che la regista, Serena Sinigaglia (direttrice artistica del Teatro Ringhiera e fondatrice con Scommegna della Compagnia A.T.I.R.) ha proposto a Piero Colaprico, Qui città di M. è piuttosto traccia di una sopravvivenza difficile. Una trama fatta degli enigmi di un delitto che coinvolge il passato e l’oggi non tanto della più scontata Milano, ma di M., città che ha perso il limite e il nome, fino a entrare con impudenza nelle ossa e nella pelle di chi le resta irrimediabilmente incollato. Ed ecco prima il capocantiere, che da brutale coreuta trasmette l’annuncio e il pregiudizio su quel che accade: due morti in bare di cartone, nel mezzo di un deserto di scavi e metalli. Due dei tanti che non si vorrebbero lasciare colpevoli alle spalle e fanno il calco nella paura dei vivi.

Scommegna non attende prima di attraversare ciascun personaggio, indossa lo sguardo della sbirra pugliese che canticchia pezzi di grido di Mina e si commuove al pensiero di Carlo, il figlio fragile. Quando lo scrittore di noir la insegue fino in commissariato diventa il pubblico ideale della “città del destino”, là dove finisce un grido intriso di vernice sanguigna versata sopra i cartoni. Si aggiunge il terzo cadavere di un lenzuolo tirato, appeso ai segni della morte rossa quasi in memoria di un bue squartato. Accanto, in rapida sequenza, i gesti ripetuti, mutati di sesso e segno nella stranezza dell’ispettore Bagni. In lui convivono la durezza del mestiere e la scorza di legami cui non vorrebbe mai rinunciare, di persone che non vorrebbe mai perdere e che protegge senza tregua. Alle sue spalle, invece, la corsa di tutti gli altri, tra le righe dei racconti della sbirra e il bisogno di amare e abbandonare quella madre urbana che, tra i palazzi indifferenti, fa il verso ai suoi orfani.

L’unica a sembrare incosciente del passato è una giornalista preda della fretta e dell’estasi dello scoop, simile ai risolini di Larvetta, l’esperto di rilevamenti post-mortem in perfetta tenuta asettica e accento lombardo-veneto. Uno che si arrocca dietro le apparenze imperscrutabili della scienza, e sconfina piacevolmente in goffaggini e valutazioni senza alcuna attinenza con il tragico e probabile suicidio-omicidio della cupa città di M.

Eppure, tra stacchi musicali sinfonici, luci fredde, travestimenti e spoliazioni dell’inchiesta, rimane il cantiere sottomesso allo stesso cielo della sbirra, mentre torna a narrare quel che la città e chi la abita si aspettano dalla memoria delle vecchie stragi e di tangentopoli. Qualche residuo di sogno sopravvive e si camuffa in abiti da venditore d’almanacchi, fattezze da uomo dell’obitorio e sapiente napoletano tanto diverso dal capocantiere nordico quanto dal vicino della porta accanto, che finge di non conoscere la verità famigliare attorno ai tre cadaveri.

Sulle loro teste racchiuse in una, mirabile quanto la trasformazione che muove le visioni e magie terrene di Scommegna, non pendono mai invadenze registiche, ma soluzioni che rispettano la sequenza del costruire, abbattere e infine rialzare fragili gusci e dimore che diventano alcova o sacrificio, armi o indizi per voce sola. E davvero Arianna Scommegna abita ogni peduncolo di chi vive e lascia vivere, di chi si sorprende a guardare dentro la scatola vuota di M., dove è amaro scoprirsi in miseria soltanto perché si resiste all’inverno dello scontento e del marcio. Da qui il racconto sale, attraversa un canale di luce isolata e dà spago allo svelamento nella gola rotta di un’attrice presente allo strozzarsi del testo, e subito al suo farsi aria calda e testimonianza civile. Così si continua a sorridere delle ottusità reciproche e si ammira la bellezza affranta delle ultime corse. Si piangono i morti per la coscienza dei vivi, ed è incurabile l’astinenza da fantasmi urbani abbracciati nello «stupore della notte».

Info

Da giovedì 27 a domenica 30 ottobre
E da giovedì 3 a domenica 6 novembre
(da giovedì a sabato ore 20.45, domenica ore 16.00)
biglietti: 15/10 euro
Teatro Ringhiera
Via Boifava, 17 / Milano
Info e prenotazioni: 02. 58325578 / 02. 87390039
(dal lunedì al venerdì 14.30 /18.30)
Biglietteria: 02. 84892195
(apertura un’ora e mezza prima dello spettacolo)
[email protected] / www.atirteatro.it
 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter