TORINO – «La Fiat a Torino è morta, oggi si celebra il suo funerale e con esso anche quello della sua città natia». Le parole di un alto dirigente dell’Unione Industriale di Torino, quasi sussurrate, lasciano poco spazio all’ottimismo. Mentre è in corso il convegno internazionale Make it in Italy le facce sono tirate e l’umore è grigio con il cielo che avvolge il capoluogo piemontese. Il clima è teso, nel pomeriggio è atteso un confronto tra l’amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne, e il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Del resto, l’occasione è notevole: nella sua città, lui può giocare il ruolo da protagonista, mentre lei è l’ospite di una giornata che l’establishment sabaudo ha cercato di rinviare il più possibile.
L’addio a Torino è cosa fatta. Questo è il sentore che serpeggia nel palazzo che ospita il centro congressi dell’Unione industriale del capoluogo sabaudo, quella di Fiat, quella di Marchionne. Il vento pungente di un lunedì di fine ottobre è nulla in confronto al clima gelido che si respira all’interno dell’edificio, situato nel cuore della Torino bene, nel quartiere Crocetta. La mestizia dei presenti è tanta, mentre vedono entrare il numero uno di Fiat, puntualissimo e seduto in prima fila per ascoltare il saluto iniziale del sindaco Piero Fassino e del presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. A iniziare è Fassino: «Vogliamo continuare ad essere una città manifatturiera a partire dalla forza dell’industria automobilistica, a partire da Fiat». Le parole del primo cittadino di Torino squarciano la sala, che non ha nemmeno la forza di rumoreggiare, e i corridoi del centro congressi. Uno degli industriali presenti, seduto in platea, esce immediatamente e, dirigendosi verso l’uscita per una sigaretta fuori programma, si lamenta per l’introduzione. Non vuole essere citato apertamente – «non posso proprio permettermelo», ci dice con il tipico understatement torinese – perché il suo sfogo è pesante. «Fassino non sa quello dice, parla di una città che non esiste, con un Comune al collasso finanziario e senza prospettive», spiega l’industriale, attivo nel settore dell’informatica da diversi anni. «Fassino dice che Torino è una città finanziaria, strategica per la grande finanza, cruciale per il Paese, ma sono stupidaggini: questa città è morta, è un dormitorio di Milano», continua. Difficile dargli torto.
Tuttavia, c’è anche chi la pensa in modo diverso. «Torino ha la capacità per puntare a essere un polo d’eccellenza della ricerca e sviluppo», dice a Linkiesta Edoardo Garrone, vice presidente per l’Organizzazione e marketing associativo di Confindustria. I centri di ricerca del Politecnico e di General Motors, fra gli altri, non bastano però a colmare il vuoto di Fiat. Tutti guardano a Mirafiori e si chiedono cosa potrà succedere nei prossimi cinque anni. La dismissione dello storico stabilimento torinese è già iniziata e l’impressione della platea è che gli unici a non essersene resi conto si contino sulle dita di una mano. Certo, il presidente della Regione Piemonte, il leghista Cota, ha sottolineato che «Torino nel mondo è sempre stata conosciuta come una città dove si producevano, si producono e si produrranno automobili. Questo non è esaustivo, ma è un’immagine che deve restare». Ma ormai non ci crede più nessuno, almeno percependo gli umori della storica classe dirigente sabauda, che vedono ormai sembrano essersi rassegnati al declino della propria città.
«Non dobbiamo diventare come Genova, anche se la strada è quella». La voce è unanime, circolando nel centro congressi. Sarà la vicinanza con la Fondazione San Paolo, ma ciò che preoccupa di più i presenti è la perdita di un ruolo rilevante nello scacchiere italiano in virtù di Milano. È ancora viva l’esperienza della Olivetti, ma anche della banca Sanpaolo, o della Telecom. Ora, è questo l’avviso di tutti, è il turno di Fiat. E mentre gli imprenditori presenti in sala si avvicinano al buffet organizzato per l’occasione, a qualcuno scappa un «speriamo che di torinese ci sia rimasto almeno il bunet».