Trenta norme sulla finanza, ma l’Europa resta in crisi

Trenta norme sulla finanza, ma l’Europa resta in crisi

Lo sapevate che la Commissione Europea ha proposto dal 2008 a oggi oltre 30 leggi per regolamentare la finanza globale? Con una serie di tweet, in preparazione al G20 previsto per il 3 e 4 novembre prossimi a Cannes, Bruxelles si è presentata così ai propri followers su Twitter, linkando un documento “Fatti e cifre”, nella pagina personale del presidente Josè Manuel Barroso, in cui si racconta a suon di grafici lo stato di salute finanziaria e macroeconomica dell’Europa a 27, annus domini 2010.

A parte la sequela di numeri sul deficit, 6,4%, più basso di Usa (8,4%) e Giappone (8,1%), e sul debito, 80% del Pil, meno elevato rispetto a Usa (94,4% del Pil), e Giappone (220% del Pil), ciò che salta all’occhio è l’impressionante cifra di provvedimenti adottati per arginare la crisi finanziaria, dal 2008 a oggi. Un florilegio di misure che ha tenuto occupati gli euroministri ma non è stato troppo tempestivo, visto che soltanto sette giorni fa si è arrivati a una bozza di soluzione per arginare l’effetto-contagio ellenico verso Italia e Spagna. Proprio in queste ore, secondo quanto rivela l’Ansa, sarebbero in corso dei contatti tra rappresentanti di Ue, Bce e Fmi, per «approntare un piano di contingenza» per preservare Roma e Madrid. Nel caso del Fmi, riferiscono fonti internazionali, una «rete di sicurezza» per i due Paesi potrebbe richiedere un aumento di capitale.

Il nuovo quadro normativo che Bruxelles presenterà al G20 è un tema caldissimo. Due giorni fa, in occasione dell’anniversario del Commonwealth a Perth, in Australia, il premier inglese David Cameron si era detto preoccupato dall’eccesso di regolamentazione in materia finanziaria, aspetto sul quale le autorità comunitarie stanno insistendo da mesi. «Londra è il centro dei servizi finanziari in Europa, ed è costantemente sotto attacco dalle direttive di Bruxelles. Si tratta di un interesse nazionale di centrale importanza, che dobbiamo difendere», ha specificato l’inquilino del numero 10 di Downing Street, che nel corso del summit di domenica scorsa aveva avuto un duro scambio di battute con il presidente francese Nicolas Sarkozy, che gli aveva gentilmente intimato di farsi i fatti suoi dopo richiesta, da parte di Cameron, di un nuovo vertice europeo per questo weekend, per chiarire meglio il ruolo dei Paesi non coinvolti nel piano salva-euro.

Andando a spulciare le trenta norme di cui sopra, si scopre che soltanto cinque, approvate tra giugno e dicembre 2010, sono pienamente effettive: la direttiva Crd3 (Capital requirement directive), che riguarda i sistemi di remunerazione in banche e intermediari, un regime prudenziale più rigoroso per la detenzione di titoli derivati, e il rafforzamento dei requisiti patrimoniali degli istituti di credito; il varo, risalente alla scorsa estate, delle tre autorità di supervisione su banche (Eba), assicurazioni (Eiopa) e mercati (Esma); i provvedimenti che restringono le vendite di titoli allo scoperto (cioè non detenuti direttamente, ma presi in prestito), e sui Cds, derivati che assicurano dal rischio di fallimento di un’emittente; le regole sui fondi d’investimento speculativi e i fondi di private equity, nota agli addetti ai lavori come “passaporto europeo” per gli hedge funds; e dulcis in fundo la prima parte della riforma delle agenzie di rating, che dovranno essere registrate in un apposito registro stilato dall’Esma, e possono essere multate per un importo fino al 20% del fatturato annuo per gravi violazioni delle norme Ue.

Altri otto disegni di legge, invece, sono stati messi nero su bianco dalle commissioni al Mercato interno e agli Affari economici e monetari, ma non ancora discusse dal Parlamento europeo. Si va, ad esempio, dalla regolamentazione dei derivati over the counter, scambiati cioè su piattaforme non regolamentate – un mercato che nel mondo vale 582.655 miliardi di dollari, ed è ritornato a livelli pre-crisi – alla revisione della Mifid, che uniforma le categorie dei soggetti attivi sui mercati e i loro obblighi d’informativa nei confronti della clientela, dalla Sepa (Single euro payment area), che stabilisce un quadro per i pagamenti elettronici (dal telefonino al Pos), alla direttiva sull’integrazione dei mercati europei del credito ipotecario, leggi mutui. La deadline programmata per questo secondo pacchetto era a fine ottobre, alla vigilia del G20.
Di tutte le altre misure, tra cui la riforma delle quattro sorelle della revisione contabile, un oligopolio contro cui si è scagliato più volte il commissario al Mercato Interno Michel Barnier, alla riforma della Solvency II, che mutua i criteri di patrimonializzazione di Basilea, relativi alle banche, per applicarli al settore assicurativo, se ne riparlerà dal prossimo novembre dopo il cruciale meeting di Cannes. 

Curiosamente, nell’elenco diffuso via Twitter alla Tobin Tax è dedicato un capitolo a parte. La tassa sulle transazioni finanziarie (un’aliquota dello 0,05% sugli scambi di strumenti finanziari e dello 0,01% sui derivati) approvata dai Commissari Ue lo scorso 27 settembre dopo anni di dibattito. «Lo sapevate che la Commissione europea sta facendo pressing sul G20 per trovare un accordo globale sulla tassazione delle transazioni finanziarie?», recita la nota della Commissione. Nel suo ultimo discorso al Parlamento di Strasburgo sullo Stato dell’Unione, Josè Manuel Barroso aveva calcato molto la mano su questo aspetto, sottolineando che: «È una questione di correttezza», dato che gli Stati hanno contribuito a salvare il settore finanziario con 4.000 miliardi di euro, «è ora che il sistema finanziario cominci a restituire il contributo alla società». Calcolando in 57 miliardi di euro l’anno le entrate per l’Ue, a partire dal 2014. Nei giorni scorsi, sia Barroso che Herman Van Rompouy, presidente del Consiglio europeo, si sono detti pronti a portare l’istanza al meeting di Cannes. Tuttavia, se l’Inghilterra in primis si è messa di traverso, le chances di ottenere un accordo globale in tempi brevi non sembrano moltissime. In tre anni, trenta norme non sono bastate a frenare lo spostamento dell’emorragia dai bilanci privati a quelli pubblici. Forse la Tobin Tax avrà fortuna migliore.  

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