Messi a confronto, i due programmi sono simili come un padre e un figlio. Da una parte c’è Matteo Renzi, il contestatore del Pd dai toni perentori. Dall’altra ci sono gli slogan anodini di Veltroni, che sembrano promettere tutto e il contrario di tutto. È il famoso “ma anche”, che ha segnato lo stile di una campagna finita, per lui, molto male, alle elezioni del 2008. Molti temi che Veltroni anticipa quasi con timidezza vengono ripresi nei 100 punti renziani. A volte, ampliati. Come, ad esempio, l’abolizione del bicameralismo perfetto: per entrambi è meglio lasciare in piedi una Camera sola e dimezzare i candidati (quelli di Renzi, in realtà sono un filo di più). Oppure l’apertura del voto per i sedicenni. Per Veltroni era meglio limitarsi alle amministrative, ma Renzi fa di più e li porta anche alle politiche. Così, dice, si svecchia non solo la classe dei politici, ma anche quella degli elettori.
Vanno a braccetto su Tav e grandi infrastrutture. Sulla riforma del sistema universitario, considerato troppo dispersivo di risorse, vogliono (più o meno) le stesse cose (anche se Renzi, di scuola, non dice niente). Sono d’accordo sui diritti delle unioni civili, e chiedono detrazioni per le famiglie (Renzi vuole un quoziente famigliare). E, allo stesso modo, si battono per l’ambiente, sostenendo l’energia pulita e a basso impatto. Non solo: vogliono entrambi cambiare la Rai (anche se, su questo, Renzi è più duro contro i partiti).
A parte questo, però, alla base dei due programmi ci sono differenze profonde. Veltroni, nei suoi dodici punti aveva dato, ad esempio, ampio spazio alla sicurezza. «Il progetto del Pd per l’Italia si baserà su 10 pilastri», recita il documento. E, in cima alla lista, la «Sicurezza, prima di tutto». Un tema cui dedica più pagine: il «Pacchetto sicurezza», l’introduzione di tecnologie come la banda larga «per chiedere e ottenere aiuto in tempi rapidissimi», l’aumento degli «agenti per le strade», e l’estensione a livello nazionale del «Patto per la sicurezza». Renzi, di tutto questo, non ne parla neppure. Nemmeno una parola. L’allarme sicurezza non va più di moda.
Infatti il tasto su cui preme Renzi è l’economia: ma intesa come lotta agli sprechi, riorganizzazione del sistema, incentivi alle imprese (non a caso privilegia l’abolizione dell’Irap e vorrebbe creare un sistema di sussidi per i giovani imprenditori). E poi: lotta contro il vitalizio dei parlamentari, amnistia per allontanare i corrotti dalla politica, liberalizzazioni, regole dure e severe per la giustizia e i magistrati, per i manager e gli amministratori pubblici. Sugli immigrati, poche parole, comunque efficentiste.
Sorge allora il sospetto che, più che di Veltroni (come detto sopra), Renzi sia figlio della crisi economica, del sentimento anti-casta che è scoppiato negli ultimi anni (il volume di Rizzo e Stella è uscito nel dicembre 2007, poco prima delle elezioni), del clima di emergenza che si respira negli ultimi mesi. E allora, come è giusto per lui, preferisce cavalcare l’onda degli sprechi e della disorganizzazione dello Stato, sventagliando progetti e proposte di riforma di difficile realizzazione (per abolire una Camera ci vuole una legge di riforma costituzionale, ben difficile da fare approvare a chi, proprio con quel voto, si taglia il ramo su cui siede) che piacciono a sinistra “ma anche” a destra. E allora, rileggendo le pagine mai realizzate di Veltroni, viene quasi nostalgia. Per come eravamo, pochi anni fa. Sì, quando era un problema la sicurezza, non la paura del fallimento del nostro Paese. Quando ancora, un poco, si poteva sognare. E quando Veltroni poteva proporre, passando quasi per coraggioso, un rapporto debito/Pil del 90% in tre anni. E non, come fa Renzi, un necessario rapporto del 100%.