CineteatroraCassandra al tempo della Stasi

Cassandra al tempo della Stasi

L’immanente presenza dell’amante, testimone o combattente che erige una fortezza e la smantella con le paure, che prova tormento e insieme piacere sublime, che incalza il potere e si lascia distruggere dalle sue trombe sembra circondare due poetiche ed epoche in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano. Da un lato, i sonetti del bardo elisabettiano, dall’altro, la sacerdotessa Cassandra trascinata da Christa Wolf nella prigione della propria preveggenza.
Un nascondiglio quello dei sonetti scelti di Shakespeare in Dove sei o musa? – rimasto in programmazione per poco, dal 10 al 22 gennaio, per voce intensa di Elena Russo Arman e chitarra elegante, suggestiva di Alessandra Novaga su spartiti di John Dowland – che nella scena buia, con ai piedi suppellettili animali o di fiaba frivola e nera, nutre la visionarietà di versi in alternanza di richiami. Un attraversamento per mano di Amore con gli scontri inesorabili alle porte del tempo implacabile, il linguaggio proibito che paragona al corso dell’estate la bellezza del giovinetto più volte impigliato nelle domande sull’identità.

Sopravvive un maschio labile, eppure incarnato, un principio di appagamento e già tortura verso il destino della morte, un ritratto che non lotta neppure contro gli onori della fortuna o del valore militare, perché la superiorità del sentire fa da eredità molto più della vanagloria.
Il poeta ha già deciso e nello scontro perenne tra la visione degli occhi e quella dell’anima, vince la supremazia dello scavo, della dolcezza non imbambolata, ma cosciente delle sbarre imposte dal conflitto impietoso tra peccato e purezza. E così, tra i 22 sonetti selezionati per una ribalta che assomiglia più a un guscio in cui si muovono due sagome nere, rock roboanti nell’aspetto e già entità fragili e dannate dalle conseguenze di un incontro, si consumano musicalità alte. Forse, è proprio questo il diritto, la licenza concessa all’autore per un’armonia che includa anzitutto la bellezza e ne sia vittima che racconta e vede molto più di chi esclude a priori l’eternità delle rime.

Di altra fibra, ma pur sempre isolato nella libertà del dolore è il grido di Cassandra dalla fortezza di Micene. Wolf, scomparsa poco più di un mese fa, rifonda la sua immagine all’indietro tra i leoni di pietra sulla porta della città. Con l’umore divorante della sua parola ammette il misero crollo della Berlino Est e di una patria destinata ad autodistruggersi per la propria cecità: «Durante la guerra si pensa solo a come andrà a finire. E si rimanda la vita. Quando sono in molti a fare così, dentro di noi nasce lo spazio vuoto dove si rovescia la guerra». Cassandra, condannata a morte per il delitto opposto dell’aver “punto la memoria”, assume quindi le carni del poeta deriso, dell’officiante escluso dal rito, ma che ostinatamente va avanti perché il solo male imperdonabile sarebbe rifiutarsi di vivere.

La prigionia della scena tra gradoni, giaciglio di sacchi e stracci, fiaccole e fondale rosso alla Basquiat, invoca quasi il monito brechtiano a confrontare solo dopo aver osservato e Cassandra, devota al padre Priamo e alla verità sul conflitto troiano, fa vibrare per poco la propria giovinezza con il minimo sangue rimasto in un cuore ormai di pietra. Ogni ferita, rovina, scherno, rabbia e delicata infatuazione scaturisce dagli zigomi scavati della sua interprete, Ida Marinelli, coi piedi ben saldi nella maturità torva che continua ad affondare nell’orrore che è stato. Nella fuga di Enea, nella violenza di Achille sul corpo già inerte dell’amazzone Pentesilea, nella morte del fratello Troilo.
Marinelli ha poi il volto di visioni comparse come video istantanei su tele che veleggiano in proscenio, dialoga in silenzio con il loro incubo e lo sputo di Apollo. E la regia di Francesco Frongia ne ascolta l’improbabile arringa, la prosa mai teatrale perché interrotta da una parola che è flusso energico, calco del pensiero e di una resa dei conti a un pubblico assente.

Nella nostra memoria spesso superficiale, non può non tornare la polemica assurda sulle mancate spiegazioni da parte di Christa Wolf riguardo alla consegna di un fascicolo enigmatico alla Stasi, come anche sulle sue oscillazioni legittime prima di tornare a difendere il credo socialista. «Con questo racconto vado nella morte» dichiara Cassandra, quasi in preludio all’odio, oblio e furia facile che si scateneranno dall’aver voluto ripulire il passato dai veli del presente. Il veto impostole di permanere sul suolo troiano, la fa rannicchiare dentro il carro-cavallo di Troia e abbassare gli occhi fino a rimarcare anche col corpo la propria alienazione. Da qui la consapevolezza di avere in sé qualcosa di tutti e l’unico testamento valido anche per il poeta incantato dal giovinetto: «In ultimo ci sarà un’immagine, non una parola. Prima delle immagini, le parole muoiono».
 

Cassandra
da Christa Wolf

traduzione di Anita Raja
regia, video, scene e costumi di Francesco Frongia
fondale “stasi del tempo” disegnato da Ferdinando Bruni
con Ida Marinelli
luci Nando Frigerio, suono Gionata Bettini
produzione Teatridithalia

Teatro Elfo Puccini
Sala Fassbinder | 17 gennaio – 12 febbraio 2012
mar-sab: 21:00 / dom: 16:00

corso Buenos Aires 33, Milano – tel. 02 00 66 06 06
ORARI BIGLIETTERIA:
lunedì – sabato 10:30/19:30 | domenica 14:30/17:30