Sfigato. È la parola di oggi. “Se a 28 anni non lavori e non ti sei ancora laureato, sei uno sfigato”. Lo ha detto il Viceministro Michel Martone e, ovviamente, è scoppiato il putiferio. In rete, nel posto che esalta la libertà di espressione fino ad evidenziarne i limiti, son piovuti gli insulti. “Sfigato sarai tu!”. “Ha parlato il raccomandato”. E così via. Lui ha poi ritrattato, correggendo il tiro dell’uso delle parole, ma ha confermato che il tema c’è.
Bene. Io non so come deve parlare un viceministro, non so se non si può dire “sfigato” (che è poi la versione giovanilista dei “bamboccioni” di Padoa Schioppa), ma di sicuro il tema c’è. Tutto. Non stiamo parlando delle eccezioni: di chi studia la sera mentre di giorno si fa un gran mazzo, o serve nei bar e nei ristoranti di notte per pagarsi gli studi in cui crede. Non stiamo pensando, ovviamente, alle eccezioni di chi è colpito da calamità, disgrazie, “sfighe” grosse e oggettive. No no. Stiamo parlando di quella grande massa di studenti che pencolano a lungo per le università italiane. Che pagano le tasse pur maggiorate, tanto le paga papi mentre mamma cucina.
Parliamo di quelli che si laureano poi attorno ai trent’anni, magari in facoltà umanistiche (in cui, oggettivamente, basta studiare per rispettare i tempi). Che raccontano i loro studi come sforzi eroici, fatiche di Ercole dell’intelletto e del sapere. Ne conosciamo, tutti, e non vogliamo negare a nessuno il diritto di “vivere come gli va” – questa l’obiezione più ricorrente e, forse, perfino la più fondata. Vogliamo però che il diritto a vivere a modo proprio da ciascuno non sia, dopo tutto, pagato da tutti. “Ma i fuori corso pagano già tasse ampiamente maggiorate e mantengono l’università dei cui servizi fanno spesso e volentieri a meno”.
Ecco un’altra obiezione classica, che ho già sentito circolare in redazione e vista in rete. Benissimo. Annoto solo che, quello che si sta difendendo, è il diritto a godersi la propria rendita di posizione, e di erodere un po’ alla volta la ricchezza e il benessere accumulato dalle generazioni precedenti (sicuramente a costo di lavoro e risparmi). Dicendo, naturalmente, che tanto non c’è lavoro, non ci sono sbocchi, che anche da laureati non si sa cosa fare. E dimenticando che, nell’Europa che cresce di più e che ha un welfare scorporato dalle famiglie, ci si laurea quei 3,4,5 anni prima che da noi. E che non laurearsi non è un’onta, né un segno di insuccesso: mentre non contribuire in nessun modo al mondo che si ha attorno, alla società di cui siamo parte, questo sì che un po’ dovrebbe mettere vergogna e farci sentire stigmatizzati. In questo, a scanso di equivoci, sono totalmente d’accordo con Martone, quando dice che fare a 16 anni una scuola professionalizzante non ha nulla di sminuente e forse, al di là di una dichiarazione estemporanea, sarebbe bene che il viceministro si facesse carico di rilanciare le scuole tecniche, che lungo i decenni sono state una delle grandi infrastrutture immateriali della crescita di un paese, e oggi sono quanto mai trascurate e dimenticate.
E anzi, già che ci siamo, passiamo dall’analisi delle sfighe alle politiche che servono per combatterle. Martone porti avanti un disegno di legge che alzi ulteriormente le tasse universitarie ai fuoricorso che non lavorano. Favorisca l’emersione del lavoro nero dei tanti studenti universitari che, invece, lavorano e tanto. E con il gettito che arriva in più da questi provvedimenti, proponga di abbassare le tasse su chi lavora e produce: magari sulle start up ad alto valore aggiunto di ricerca e tecnologia. E poi, sempre per risparmiare soldi e investirli meglio, proponga anche di tagliare le tante cattedre inutili di molti suoi colleghi professori universitari, che spesso hanno interesse a produrre “fuori corso” che mantengano la loro casta. A tal proposito, magari, Martone potrà anche cogliere l’occasione per documentare i meriti della sua carriera e difendersi nel merito dall’accusa di essere raccomandato o figlio di papà.
Ma quel che ha detto resta un punto di discussione che tocca nel vivo: e le reazioni violente e un po’ incarognite sembrano confermarlo.