Frequenze tv, il governo pensa solo a Rai e Mediaset

Frequenze tv, il governo pensa solo a Rai e Mediaset

In principio furono 240 milioni di euro, poi saliti a 400, ora scesi a 174 milioni di euro. È l’altalena delle compensazioni che il ministero dello Sviluppo Economico ha deciso nei confronti delle televisioni locali per il trasloco dalle frequenze comprese tra il canale 61 e il 69 Uhf, la banda 790-862 Mhz. Frequenze che saranno assegnate agli operatori di telefonia mobile, in seguito all’asta 4G, suscitando le ire dei piccoli imprenditori catodici.

Il punto del contendere sono i soldi, sia per l’importo del singolo indennizzo sia per la sua divisione tra chi detiene le frequenze. Secondo la bozza preliminare del regolamento, ottenuta da Linkiesta, il dicastero di via Veneto non fa nessuna distinzione qualitativa tra i singoli editori: sono tutti uguali. All’articolo 2, infatti, si legge:

«Le emittenti locali […] cui sia stato attribuito in qualità di operatore di rete il diritto d’uso di frequenze in tecnica digitale […] e già digitalizzate alla data di entrata in vigore della legge 13 dicembre 2010, n.220 […], a seguito del volontario rilascio delle frequenze oggetto del diritto d’uso possono partecipare alla procedura di attribuzione di una misura economica di natura compensativa […] se: a) operatori di rete in possesso di diritto d’uso in ambito regionale o la cui frequenza assegnata in via provvisoria possa essere utilizzata dal medesimo operatore sull’arco di copertura dell’intera regione. b) Operatori di rete in possesso di diritto d’uso in ambito pluriprovinciale, provinciale o limitati all’area di servizio di singoli impianti che, tramite costituzione di un’intesa, chiedano il volontario rilascio di una medesima frequenza in modo che la sommatoria della loro coperture sia equivalente a quanto previsto nel precedente punto a)».

Lo switch off, cioè lo spegnimento progressivo del segnale analogico, è iniziato nel 2008 partendo dalla Sardegna, cui è seguita Valle d’Aosta, Trentino, Lazio, Campania, parte del Piemonte e in seguito tutte le Regioni. Fino al 2010, il criterio con cui il ministero assegnava le frequenze non era legato a un bando ma prevedeva un passaggio automatico in base al quale tutti gli ex concessionari analogici diventavano “operatori di rete”. Con la legge 220 del 2010 il ministero ha fatto marcia indietro, riducendo lo spettro disponibile assegnato alle varie emittenti locali da 27 a 18 canali, offrendo agli editori che si trovavano tra il canale 61 e il 69 una compensazione il cui importo finale non è ancora stato stabilito in via definitiva.

Ma l’anno scorso le regole sono cambiate di nuovo e sono stati fissati dei paletti. Nel bando di gara per l’assegnazione delle frequenze in Liguria, Umbria, Toscana, Marche e Provincia di Viterbo ai richiedenti è stato assegnato un punteggio in base a quattro criteri: copertura, capitale sociale, numero di dipendenti e storicità della presenza sul territorio. Requisiti che, in base alla delibera 353 dell’Agcom, saranno eliminati solo quando lo switch off sarà completato su tutto il territorio nazionale. Sempre nella delibera il regolatore sancisce l’obbligo per gli operatori di rete (soggetti separati dai fornitori di contenuti dalla legge 66 del 2001) di comportarsi da must carrier, affittando a condizioni fissate dal ministero le frequenze agli editori puri. 

È il caso di Telelombardia, controllata dalla Mediapason di Sandro Parenzo, tra i principali poli televisivi dopo Rai, Mediaset e TI Media (che controlla La7), che in questi giorni, attraverso una nota piuttosto colorita, ha espresso tutto il suo disappunto: «Dal ministero uscirà un decreto che recita delle regole per gli espropri delle frequenze che sembrano quelle barzellette di Berlusconi che facevano ridere solo i suoi dipendenti. Truffa o incompetenza? In buona sintesi si dice che verrà pagata la stessa cifra per tutte le tv che hanno avuto la sfiga (o la “fortuna” come si vedrà) di finire tra il 61-69. Ovvero la tv del parroco che trasmette per 70 persone una messa e lo stesso film tutti i giorni, riceverà lo stesso indennizzo di Telelombardia che produce informazione in diretta per tutta la giornata».

Effettivamente nella bozza l’indennizzo complessivo per la Lombardia ammonta a 48,1 milioni di euro, che suddivisi per 9 frequenze fanno 5,3 milioni a editore. Soldi che andranno in egual misura a Telelombardia e Teleboario, a prescindere dall’audience, dalla qualità del segnale, dai dipendenti impiegati e dai ricavi derivanti dall’affitto del multiplex ad altre emittenti. A guadagnarci, invece, saranno le piccolissime stazioni che impiegano pochissime persone e possiedono un solo impianto di trasmissione. Una visione confermata dall’ex ministro delle Telecomunicazioni Paolo Gentiloni, che su Twitter risponde a una domanda de Linkiesta affermando che i 170 milioni di indennizzo stabiliti dal ministero sono «tanti per le micro emittenti che fanno un affare, pochissimi per le grandi che vengono espropriate».

Il botta e risposta tra Linkiesta e l’ex ministro delle Telecomunicazioni Paolo Gentiloni

Rosario Donato, direttore della Federazione Radio Televisioni, associazione di categoria che riunisce le televisioni e le radio private (comprese Mediaset e TI Media), spiega a Linkiesta: «Non è giusto che il criterio di ripartizione della compensazione non tenga conto della salute, della storia, dei servizi offerti e delle dimensioni delle aziende, questo sistema non accontenta nessuno». Sulla stessa lunghezza d’onda l’Aeranti-Corallo, l’altra associazione che raggruppa imprese radiofoniche e televisive locali, che punta l’attenzione sui disagi del cambio di numerazione sul decoder, che andrà nuovamente sintonizzato. 

I commissari del Pd in Vigilanza Rai, Vinicio Peluffo e Luigi Vimercati, hanno promesso invece un’interrogazione al ministro Passera per chiedere una revisione dei criteri, affermando: «Non è accettabile che l’esproprio delle frequenze alle tv locali, in favore degli operatori della telefonia mobile, si traduca in un identico rimborso per emittenti con tre dipendenti e poche migliaia di telespettatori ed emittenti con centinaia di dipendenti e centinaia di migliaia di telespettatori». I tempi sono strettissimi: la deadline prevista per la pubblicazione del decreto è il prossimo 31 gennaio, e ora gli editori televisivi locali puntano a ottenere che alla compensazione fissa per ogni frequenza sia affiancata una parte variabile parametrata sul vero peso dell’editore che detiene la frequenza in questione.

Un modo per riequilibrare la sperequazione tra grandi e piccoli in una battaglia tra poveri: come per i tassisti, è la licenza di trasmettere il vero asset pregiato delle emittenti locali. Ironia della sorte, il dicastero di Corrado Passera non si è ancora espresso sul beauty contest, la gara gratuita con cui l’esecutivo voleva assegnare nuove frequenze a Rai e Mediaset. 

Twitter: @antoniovanuzzo 

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