Bye bye Obama, Google adesso finanzia l’ultradestra

Bye bye Obama, Google adesso finanzia l’ultradestra

Clamorosa virata politica in casa Google. Il motore di ricerca di Mountain View sponsorizzerà la Conservative political action conference (Cpac), tradizionale meeting organizzato dai sindacati conservatori statunitensi e dal Tea Party, in programma dal 9 al 12 febbraio a Washington. L’incontro vedrà scendere in campo gli all star della politica di destra a stelle e strisce, da Michelle Bachmann a Sarah Palin, da Rick Perry a Rick Santorum, oltre ai due candidati che si stanno giocando più realisticamente la chanche di entrare alla Casa Bianca: Newt Gingrich, appoggiato dal Governatore del Texas Rick Perry, e Mitt Romney, dato in testa a poche ore dal voto in Nevada.

L’evento, tenutosi per la prima volta nel 1973 e nato grazie all’iniziativa dei Giovani americani per la libertà, formazione creata negli anni ’60 da William Buckley Jr., giornalista figlio di un petroliere che contribuirà non poco alla fortuna elettorale di Ronald Reagan, è tradizionalmente promosso, tra gli altri, dalla National Rifle Association, la potentissima lobby che riunisce i possessori di armi da fuoco. Un mondo che, almeno in apparenza, sembra distante anni luce dall’ideologia liberal dei Nerd californiani della West Coast. Tanto più che lo stesso presidente esecutivo Eric Schmidt, numero tre di Google dietro ai due fondatori Sergey Brin e Larry Page, era stato chiamato da Obama subito dopo la sua elezione, nel novembre 2008, come consulente. Non solo: secondo il blog Opensecrets.org, la società figurava nella top ten dei grandi donatori del presidente Usa, con 814mila di dollari. Sebbene sia da tempo che, con sano pragmatismo, il motore di ricerca abbia iniziato a foraggiare anche il partito repubblicano, è la prima volta che il suo logo colorato campeggerà in bella mostra all’hotel Marriott Wadman Park.

La web company ha spiegato la scelta con una motivazione puramente commerciale, attraverso una nota in cui specifica che: «Per noi questo evento rappresenta una grande opportunità per mettere in vetrina Google.com/elections e altri tools come Google+, che speriamo siano utilizzati da ogni candidato in questa campagna presidenziale». Proprio la piattaforma Google.com/elections ha avuto un ruolo di primo piano nella copertura mediatica in tempo reale del caucus dell’Iowa, dal quale è uscito vittorioso Rick Santorum per una manciata di voti.

Business as usual, insomma. Eppure c’è un precedente che dimostra con chiarezza la marcia di avvicinamento di Google alle posizioni repubblicane. A metà novembre scorso, assieme a Facebook, il colosso di Mountain View si è apertamente schierato con i Tea Party contro le nuove leggi a protezione del copyright studiate dall’industria dell’intrattenimento americana e dalla Camera di commercio Usa. È la famosa Sopa (Stop online piracy act), grazie alla quale qualche settimana fa l’Fbi ha chiuso il sito di file sharing Megavideo arrestandone i fondatori. Il leader del partito, Michelle Bachmann, aveva allora espresso «seria preoccupazione per un coinvolgimento del governo nella regolamentazione del web», non soltanto per possibili bavagli contro la libertà d’espressione ma anche e soprattutto per non imbrigliare uno dei settori economicamente più vivaci degli Usa, come dimostrano le recenti quotazioni di Linkedin, Groupon, e, il prossimo maggio, di Facebook, il cui valore è stimato in 5 miliardi di dollari.

Per salvaguardare la propria rendita di posizione il motore di ricerca californiano ha messo inoltre in campo una task force di lobbisti che stazionano a Washington per dirottare le richieste della compagnia all’uno o all’altro parlamentare. L’Huffington Post ha calcolato che le spese per fare pressione al Congresso nell’ultimo trimestre del 2011 sono salite a 3,76 milioni di dollari, più del triplo rispetto allo stesso periodo del 2010. Una spia significativa del cambiamento di approccio tanto di Google quanto dell’amministrazione Obama. L’inquilino della Casa Bianca, che ha fatto la sua fortuna elettorale grazie alle micro donazioni attivate proprio attraverso i social newtork, ha ceduto alle richieste delle major hollywoodiane, mentre Google, sostanzialmente in posizione dominante, è determinata a mantenere salda la sua rendita di posizione. L’ideologia politica non è mai stata un cavallo di battaglia dei genietti di Stanford, almeno da quando si sono accorti di appartenere all’1% degli americani che contano davvero. E probabilmente, se si decidesse di restringere la percentuale di quelli inluenti allo 0,1%, loro ci sarebbero lo stesso. 

Twitter: @antoniovanuzzo