BANGKOK – Tre esplosioni hanno scosso Bangkok nel giorno di San Valentino. Tre deflagrazioni avvenute presso la centralissima Sukhumvit Road, la cui dinamica diventa sempre più chiara con il passare delle ore, così come il profilo dei tre presunti attentatori, arrestati tra Bangkok e la capitale malese di Kuala Lumpur. Tre uomini di origine iraniana che hanno spinto le autorità israeliane prima e quelle thailandesi poi, a credere che le bombe fossero destinate all’ambasciatore d’Israele a Bangkok, Itzhak Shoham.
Ma non è solo la nazionalità dei tre sospettati ad aver convinto il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ad accusare l’Iran di «destabilizzare l’equilibrio mondiale» e puntare il dito contro Hezbollah. La bomba magnetica esplosa accidentalmente nell’appartamento di Bangkok, occupato da Saeid Moradi – rimasto gravemente ferito agli arti inferiori dopo aver lanciato i due ordigni rimanenti ad un taxi che gli aveva negato la fuga e alla polizia accorsa sul luogo dell’esplosione –sembrano avere stesse caratteristiche di quelli utilizzati il giorno prima a Nuova Delhi e Tblisi. Anche qui gli obiettivi erano esponenti della diplomazia israeliana. Se nella capitale georgiana la polizia è riuscita a sventare l’attentato, il detonatore piazzato sull’auto del rappresentante diplomatico per la difesa a Nuova Delhi, ha provocato il ferimento, non grave, di sua moglie, Tali Yehoshua-Korenla.
Da Nuova Delhi a Bangkok cambia lo scenario ma non le dinamiche. Sebbene la polizia sia ancora «in attesa di ulteriori verifiche e accertamenti», per il ministro della difesa Ehud Barak, raggiunto dalla notizia mentre si trovava a Singapore, non ci sono stati dubbi sin dall’inizio: è un complotto iraniano con il sostegno logistico di Hezbollah. Gli attentatori avrebbero agito un giorno dopo il quarto anniversario dalla morte di Imad Mughniyeh, capo militare del movimento sciita libanese, ucciso con un’autobomba a Damasco. Ma Tehrān smentisce.
Smentite che non sembrano convincere osservatori e scettici, secondo cui gli attentati sarebbero atti di ritorsione dopo la morte di alcuni scienziati iraniani avvenuta, secondo Tehrān, per mano del Mossad, i servizi segreti israeliani. L’undici gennaio scorso, Mostafa Ahmadi Roshan, vicedirettore dei dipartimenti dell’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz, nella provincia iraniana di Isfahan, era stato ucciso con una bomba magnetica piazzata sulla sua auto.
Una trama dalle non facili letture e che si infittisce se si tiene conto che le bombe di Nuova Delhi e Bangkok sono esplose durante il tour asiatico di Barak. A Singapore, il ministro della difesa era arrivato per assistere al consueto appuntamento annuale dell’air show e per garantire contratti alla industria bellica del suo Paese. Secondo quanto riportato dal “Jerusalem Post”, infatti, le autorità della città Stato asiatica – tra i maggiori acquirenti di sistemi di difesa israeliani – sarebbero interessate ad acquistare sistemi anti-sottomarini e di assistenza aerea. Ed è proprio a Singapore, che le autorità locali, in collaborazione con il Mossad, sarebbero riuscite a sventare un attentato a Barak. Almeno secondo quanto sostenuto dal quotidiano kuwaitiano, al-Jarida, che cita fonti anonime della sicurezza israeliana. Servizi segreti che non sono comunque riusciti ad evitare l’attentato di Nuova Delhi, nonostante il capo del Mossad, Tamir Pardo, sia arrivato nella capitale indiana pochi giorni prima dell’attentato. A capo di una delegazione di agenti, Pardo ha discusso con la controparte indiana possibili attacchi a cittadini israeliani. Uno scambio che si era concluso con le rassicurazioni del capo del Mossad che, secondo il “Times of India”, avrebbe definito la Repubblica sud asiatica «più sicura di Turchia e Sud America». Dubbi, incertezze ed esplosioni che scandiscono il tempo.
Lasciata Singapore, Barak è volato in Giappone per spingere il governo nipponico a sostenere Israele nella tela diplomatica per isolare Tehrān. Tokyo ha risposto positivamente e con chiarezza alla politica sanzionatoria promossa soprattutto da Stati Uniti e Unione europea, limitando già da gennaio le importazioni di petrolio iraniano, che contano un 9% circa sul fabbisogno nazionale. Con altrettanta chiarezza, il primo ministro Yoshihiko Noda ha esortato Barak a non compiere azioni militari verso l’Iran, perchè «estremamente dannose» e causa di una potenziale «escalation» in Medio Oriente. Mentre le indagini in Georgia, India e Thailandia vanno avanti, per Israele il colpevole pare essere già chiaro e il timore di ritorsioni e azioni preventive diventa sempre più concreto. In un gioco che ormai non si limita più ai confini regionali, ma segue le rotte di conflitti globalizzati.