Li chiamano cervelli in fuga: hanno fatto le valigie e scelto un altro paese dove costruire futuro e carriera lavorativa. Eppure alcuni di loro vorrebbero tornare a casa. È quanto emerge da un sondaggio realizzato da ITalents, neonata associazione che mira ad approfondire la conoscenza sul fenomeno dell’emigrazione e a studiare soluzioni per mantenere i contatti con gli italiani trasferitisi oltre confine. Dallo studio, realizzato su un campione di 1.400 soggetti (1.200 residenti all’estero e 200 ex espatriati ora rientrati in Italia) emerge che un intervistato su tre vorrebbe tornare. Solo il 13% non rientrerebbe assolutamente in Italia, mentre il 55.4% invece dichiara, seppur non avendo al momento intenzione di lasciare la nazione ospitante, di non escludere tale possibilità. «Sono dati molto interessanti, che ci fanno capire che stiamo andando nella giusta direzione» commenta il deputato Guglielmo Vaccaro, che insieme ad Alessia Mosca è fra i principali promotori della legge 238/2010, più conosciuta come legge “Controesodo”.
La 238 è una normativa che prevede incentivi fiscali per coloro che decidono di rientrare in Italia per intraprendere un’attività d’impresa, di lavoro autonomo o per essere assunti come dipendenti. A tutti i laureati under 40, che abbiano lavorato fuori dal Paese per almeno 24 mesi, viene infatti garantito uno sconto sul pagamento dell’irpef: per le donne l’imposta è calcolata sul 20% dello stipendio, mentre per gli uomini sul 30 per cento. La normativa, che in origine doveva riguardare solamente chi era partito entro il 2009, grazie all’emendamento presentato dal decreto Milleproroghe, riguarderà anche coloro che hanno lasciato l’Italia negli ultimi tre anni. Per fare in modo che il rientro dei cervelli non rappresenti semplicemente una “toccata” con ulteriore “fuga”, per godere dei benefici della legge è necessario rimanere in Italia per almeno cinque anni dalla data della prima fruizione degli sgravi fiscali.
«Stiamo lavorando a tre ulteriori misure», spiega Vaccaro. La 238 sarebbe solo la prima di un pacchetto di norme che vogliono rendere più attrattivo il nostro Paese. La prima prevede minori imposte sui redditi per quegli stranieri che scelgono l’Italia per compiere i loro studi e poi lavorare; la seconda consiste in un rimborso per coloro che si qualificano all’estero, ma poi tornano qui a produrre ricchezza; la terza garantisce incentivi per chi vuole restare in un paese straniero, ma investire in Italia». E proprio a quest’ultima categoria si rivolge parte dell’attività di ITalents, che aspira alla creazione di una rete di contatti fra gli italiani all’estero e quelli rimasti entro i confini. «L’idea è quella di trasformare la fuga in una circolazione di cervelli e idee, dando vita a una “Italia diffusa” – racconta Alessandro Rosina, presidente di ITalents e docente di demografia all’università Cattolica di Milano – Chi si trova all’estero può comunque partecipare alla crescita del Paese, se non direttamente, segnalando best practice o condividendo la propria esperienza. I cosiddetti “cervelli fuggiti” non sono in realtà persi, l’86% dei nostri intervistati si dice disponibile a fornire proposte che possano poi portare alla stesura di leggi come la 238. Noi vogliamo sfruttare questo grande potenziale».
Anche il Comune di Milano ha deciso di darsi da fare per favorire il recupero di queste risorse, creando Welcome Talents, un apposito sportello che fornirà informazioni e servizi di accompagnamento per chi sceglierà Milano come città per il proprio rientro. «Vogliamo inoltre sostenere lo sviluppo di incubatori e spin off universitari», aggiunge Cristina Tajani, assessore a sviluppo economico, università e ricerca del capoluogo lombardo. «Per far sì che i talenti emigrati rientrino e che ne arrivino di nuovi è necessario continuare a crescere e rendere la città sempre più internazionale». Infatti ciò che spinge maggiormente gli italiani a lasciare il proprio Paese non sono tanto gli stipendi più bassi o la ricerca del tanto discusso posto fisso, bensì l’assenza di meritocrazia (l’80% degli intervistati ha dichiarato di essere “molto d’accordo” nel ritenere questa una delle principali cause di abbandono) e l’impossibilità di svolgere al meglio il proprio lavoro in Italia.