Due alleanze, in Europa, sono assolutamente fondamentali per noi tedeschi: quella con la Polonia e quella con la Francia. Le ragioni sono da rintracciarsi sia nella storia che nell’attualità. Entrambi i paesi hanno patito duramente la dominazione nazista. E il mutuo impegno per la riconciliazione ha posto le basi, dopo la Seconda Guerra Mondiale (e ancora, dopo la caduta della Cortina di Ferro) al programma, pacifico, di costruzione dell’Unione Europea. Ma il processo di riconciliazione non è affatto finito. Almeno, questo è quanto si può dire a giudicare il dibattito di questi giorni sulla leadership europea.
Qualche settimana fa, il ministro degli Esteri polacco ha rivolto al governo tedesco un appello appassionato. La Germania, sosteneva, deve assumere un ruolo di comando per guidare l’Europa fuori da queste acque tempestose. La più grande economia, con la più forte influenza nelle questioni finanziarie ed economiche globali avrebbe il dovere di farsi portavoce dell’Eurozona. In Germania l’appello è stato ricevuto con una certa sorpresa: di solito, i nostri vicini si dimostrano molto sensibili – e molto scettici – sugli interessi di potere tedeschi. Ricordano ancora un’epoca in cui i loro nonni vissero sotto l’occupazione tedesca.
In Francia, poi, il presidente Sarkozy ha caldeggiato il “modello tedesco” per far funzionare l’economia e tenere sotto controllo il bilancio nazionale. Ancora una volta, siamo rimasti sorpresi dagli elogi che stavolta venivano da Parigi. La nostra relazione con Francia e Germania, fissata nel 1945, è ancora più profonda di quella che abbiamo con la Polonia, ma sappiamo quanto i francesi siano in sintonia con le ambizioni tedesche. Da quando Carlomagno ha suddiviso l’impero tra i suoi figli, francesi e tedeschi sono rimasti legati nella buona e nella cattiva sorte. Potremmo non piacerci sempre (a parte in occasione delle riunioni di famiglia, dove prevalgono le simpatie) ma la nostra connessione è inestricabile.
Queste valutazioni definiscono le dimensioni storiche delle nostre relazioni con Polonia e Francia. Ma, appunto, c’è anche una dimensione contemporanea: i tedeschi, al momento, non hanno nessuna intenzione di essere la guida dell’Europa. Non ci interessa ritornare in una situazione in cui la Germania si trova a dominare sui suoi vicini. Diffidiamo della retorica nazionalista che sta riemergendo in Francia e Polonia. Del resto, non avevamo forse stabilito che anche il nazionalismo fosse una cosa che apparteneva al passato? Non è stato proprio il nazionalismo sciovinista a provocare due guerre devastanti? E non doveva invece il progetto di un’Unione Europea superare la componente ideologica nazionalista? Oggi, i tedeschi sono meno nazionalisti dei polacchi e dei francesi; nessuna campagna elettorale in Germania può essere vinta cavalcando la retorica nazionalista. Soprattutto, sono disapprovati i discorsi sprezzanti nei confronti dei nostri vicini.
Questo è proprio il motivo, allora, per cui la Germania è destinata a lasciare il segno in questo momento decisivo della storia europea. Quando Volcker Kauder, il presidente del partito tedesco conservatore Cdu, ha detto in un dibattito parlamentare che «il tedesco deve, ancora una volta, diventare la lingua dell’Europa», non ha dimostrato di aver scelto con attenzione le sue parole. I suoi colleghi di partito lo hanno subito rimproverato, e sono stati molto precisi nell’indicare tutti i difetti della sua affermazione.
I francesi dicono che, in quanto economia che si basa sulle esportazioni, la Germania avrà da trarre beneficio dalla crisi. Vero. Siamo fieri della nostra economia e dei risultati che abbiamo raggiunto. Ma non crediamo che questi risultati siano intrinsecamente tedeschi, cioè prodotti del nostro corredo genetico e del nostro sangue. Il mito del genio tedesco è perpetuato, spesso, dagli altri (un esempio perfetto è la recente monografia di Peter Watson, intitolata “Il Genio Tedesco”). Per noi, i risultati economici si riflettono in schemi di calcoli e percentuali. Il successo è spesso il risultato di cooperazioni tra aziende tedesche e alleate europee e non europee, o tra nativi europei e immigrati dall’estero.
Oggi l’Europa ha bisogno di cooperare per costruire un futuro stabile. Le regole fissate a Maastricht (che ponevano il limite per il deficit nazionale al 3% del Pil) sono state violate sia da Germania che da Francia. Berlino, ora, non punterà il dito contro Parigi. Quello che conta è il futuro, e la Germania ha molto da contribuire al progetto. E il motivo non sta né nel nostro sangue né nei geni, ma nella nostra ricchezza, che è composta dalle esperienze e dai dati che abbiamo accumulato. Però, ciò di cui abbiamo bisogno è trasformare in realtà gli accordi che finora sono stati fatti, e in più uno sforzo concreto per spingere ancora più in avanti l’integrazione europea. Non serve un altro Trattato dell’Eliseo: riporterebbe il rapporto tra Francia e Germania ai livelli del 1963, e ciò significherebbe porre un limite all’Unione Europea nella sua interezza.
Eppure questo è stato proprio ciò che hanno proposto: il candidato alle presidenziali francesi François Hollande vuole rinnovare il Trattato dell’Eliseo del 1963. Gli europei che si trovano sulle due rive del Reno devono resistere con determinazione a questa proposta. Hollande attinge al nazionalismo del diciannovesimo secolo per vendicare la perdita di potere della Francia. Perché la “grande nation” non è riuscita a imporre tutte le sue richieste negli ultimi summit della Ue a Bruxelles? Perché Sarkozy si è piegato di fronte alle pressioni di Berlino? Hollande vuole perfino rinegoziare il fiscal pact europeo. Dal momento che la Gran Bretagna si è rifiutata di cooperare, sembra che Hollande creda che una grande potenza degna di questo nome debba prendere una posizione forte contro la UE. Ma la vendetta è una cosa che appartiene al passato, un concetto che non ha spazio nella cassetta degli attrezzi dell’Europa moderna.
Hollande non è un buon europeo. Il suo discorso sul fiscal pact e il Trattato dell’Eliseo hanno creato confusione tra le persone e i mercati. Guardiamo a Parigi e ci chiediamo: cos’altro ci sarà in serbo se Hollande vincerà le elezioni? Cosa che, tra l’altro, non implica che noi, automaticamente, dobbiamo stare con Nicolas Sarkozy!
I francesi dovranno costringere Hollande a espungere questi passaggi dal suo programma elettorale: subito, e senza eccezioni. Gli rimane ancora una lunga lista di idee per portare il cambiamento in Francia. Ma il progetto europeo è troppo serio per essere adoperato come giocattolo politico – e l’amicizia franco-tedesca troppo preziosa. Si vergogni, signor Hollande, per aver rispolverato il vile istinto al nazionalismo e alla vendetta!
* Alexander Görlach è fondatore e direttore della rivista di opinione e dibattiti The European. Ha lavorato per diverse testate tedesche, sia televisive che cartacee. È stato anche redattore per la rivista Cicero. Ha studiato teologia e filosofia a Roma, Il Cairo, Monaco, Mainz. Ha studiato anche Scienze Politiche, Musica e Germanistica. Ha due dottorati.
Alexander Görlach
English Version:
To us Germans, two European partnerships are absolutely fundamental: Our alliances with Poland and France. The reasons are historical as well as contemporary. Both countries suffered tremendously under the Nazi regime. The mutual commitment to reconciliation laid the foundation for the peaceful agenda of the European Union after the Second World War, and again after the fall of the Iron Curtain. But the process of reconciliation is far from over – this much we can tell from contemporary debates about European leadership.
A few weeks ago, the Polish foreign minister addressed the German government with a dramatic appeal. He argued that Germany must take over the helm to steer Europe through stormy waters: The biggest economy with the strongest influence on global financial and economic discussions ought to become the spokesperson for the Eurozone. In Germany, the appeal was received with surprise. Usually, our neighbors are very sensitive to – and skeptical of – German power interests. They can still remember a time when their grandparents lived under German occupation.
In France, president Sarkozy has recommended the “German model” of running an economy and controlling the national budget. Again, we were surprised by the praise from Paris. The Franco-German partnership, established in 1945, is even deeper than our relations with Poland, but we know how attuned the French still are to German ambitions. Since Charlemagne divided his empire among his sons, the French and the Germans have been bound together in good times and bad. We might not always like each other (except during family gatherings, when sympathies prevail), but our linkage is inextricable.
Those sentiments illustrate the historical dimension of our relations with Poland and France. But there’s a contemporary dimension as well: Germans are not keen to be Europe’s leaders at the moment. We are not interested in a return to a situation where Germany towers over its neighbors. We are wary of the nationalist rhetoric that is resurging in Poland or France. Didn’t we conclude that nationalism, too, was a thing of the past? Wasn’t jingoist nationalism the reason for two devastating wars? Wasn’t it the project of the European Union to overcome the ideological component of nationalism? Today, Germans are less nationalistic than the Polish or the French. No electoral campaign in this country can be won with nationalist rhetoric – and dismissive words about our European neighbors are especially frowned upon.
That is precisely the reason why Germany is predestined to leave its mark at this decisive moment of European history. When the chairman of the German conservative party CDU, Volker Kauder, said during a parliamentary debate that “German must once again become the language of Europe,” he didn’t pick his words carefully. His party colleagues immediately scolded him, and they were correct to point out the flaws of his argument.
The French say that as an export economy, Germany stands to benefit from the crisis. True: We are proud of our economy and our achievements. But we do not think that these achievements are inherently German, like products of our gene pool and our blood. The myth of German genius is often perpetuated by others – the recent monograph by Peter Watson (titled “The German Genius”) is a case in point. To us, economic achievement is reflected in spreadsheets. Success is often the result of cooperation between German firms and their European and non-European allies, or between native Europeans and immigrants from abroad.
Today, Europe needs to cooperate to build a stable future. The Maastricht regulations (which limited the national deficit to 3 percent of GDP) were violated by Germany and France. Berlin won’t point the finger at Paris now. What matters is the future, and Germany has much to contribute to that project. The reason lies not in our blood and genes, but in the wealth of experiences and data that Germans have accumulated. What we need is a realization of existing agreements, and a determined effort to deepen European integration even further. We don’t need another Elysée Treaty. That would reduce the Franco-German friendship to its 1963 level. It would mean limiting the European Union as a whole.
But that is precisely what has been proposed: The French presidential candidate François Hollande wants to renew the 1963 Elysée Treaty. Europeans on both sides of the Rhine must resist this proposal with determination. Hollande draws on 19th century nationalism to revenge the French loss of power: Why did the “grande nation” not succeed with all its demands at recent EU summits in Brussels? Why did Sarkozy bow to pressure from Berlin? Hollande even wants to re-negotiate the European fiscal pact. Since the British refused to cooperate, Hollande seems to think that a proper great power must take a strong stand against the EU. But revenge is a thing of the past; the concept does not feature in the political toolkit of modern Europe.
Hollande is not a good European. His speech about the fiscal pact and the Elysée Treaty has led to confusion among people and markets. We look to Paris and wonder: What else will be up for grabs if Hollande wins the election? That, by the way, does not imply that we must automatically side with Nicholas Sarkozy!
The French must force François Hollande to eradicate those passages from his campaign manifesto – immediately, and without exception. He still has a long list of other proposals to bring change to France. But the European project is too serious to be turned it into a political toy – and the Franco-German friendship is too precious as well. Shame on you, Mr. Hollande, for dusting off the base instinct of nationalism and the idea of revenge.
*Alexander Görlach is the founder and Editor in Chief of the German opinion and debate magazine The European. Görlach has been writing and publishing for several German TV stations and national newspapers. He also was executive editor of the online part of Cicero magazine before founding the Berlin based magazine The European. The 35-year old publishes at Linkiesta, The Huffington Post, Mediapart and Der Standard. After graduating from High School, Görlach studied theology and philosophy in Rome, Cairo, Munich and Mainz. He also studied German studies, Political Science and music. He received two PhDs.