Di imposte sgangherate questo Paese ne ha viste passare tante, ma i creatori e gli attuatori dell’Imu sembrano davvero determinati a vincere il primo premio.
Un obiettivo a dir poco ambizioso, perché qua stiamo parlando di scalzare niente di meno che l’Irap, la più folle delle avventure tributarie degli ultimi decenni a livello planetario.
Eppure, c’è da credere che fretta, faciloneria e un po’ di sano menefreghismo di ciò che si scarica sui cittadini possano davvero teletrasportarci nella futuristica dimensione di Star Trek e farci arrivare tutti lì, dove nessun uomo e nessun fisco è mai arrivato prima.
È dallo scorso dicembre, quando l’Italia fu salvata, che sappiamo cosa dice il comma 11 dell’articolo 13 del DL 201/2011: «È riservata allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell’abitazione principale e delle relative pertinenze di cui […], nonché dei fabbricati rurali ad uso strumentale […], l’aliquota base [quella dello 0,76%]. La quota di imposta risultante è versata allo Stato contestualmente all’imposta municipale propria. Le detrazioni previste dal presente articolo, nonché le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato di cui al periodo precedente».
Ciò non di meno, fino a quando non abbiamo dovuto sbatterci il naso, con l’approvazione dei provvedimenti attuativi e l’istituzione dei codici tributo per i versamenti dell’Imu, abbiamo tutti sperato che almeno il compito di dividere i pani e pesci tra Stato e Comuni non venisse disinvoltamente scaricato su quello che sempre più si palesa, sotto ogni punto di vista, come l’ultimo anello della catena alimentare della pubblica amministrazione italiana: il cittadino contribuente. Mai speranza fu più vana e i provvedimenti attuativi lo confermano.
Tocca al contribuente, per ogni immobile posseduto, calcolare in primo luogo l’imposta complessivamente dovuta e, in seconda battuta, calcolare pure quanto è di competenza dello Stato e quanto del Comune, evidenziando separatamente gli importi sul modello F24.
Una sorta di “possiedi un immobile, ma calcoli due” che può anche essere vista nell’ottica di un fisco che, di fronte alle complicazioni, non solo non lascia, ma, anzi, orgogliosamente raddoppia. Il tutto in attesa di vedere se l’ennesimo aggiornamento in corsa della disciplina Imu, che è in questi giorni al vaglio del parlamento, produrrà trovate geniali quali la ipotizzata rateizzazione dei versamenti per venire in contro ai contribuenti, ma limitatamente alle sole imposte dovute sull’abitazione principale per venire incontro ai comuni.
D’altro canto, bisogna anche mettersi nei panni dello Stato e dei comuni, poveretti.
Di fronte alla possibilità lasciata a ciascun comune di introdurre detrazioni e di diminuire o incrementare a proprio piacimento, seppur all’interno di range prefissati, le aliquote applicabili su questo o quell’immobile, diventa veramente arduo capire come gestire a livello macro una compartecipazione al gettito che è tarata sul livello micro (riferito, a scanso di equivoci, non all’encefalo di chi ha così strutturato la compartecipazione, ci mancherebbe, ma proprio alla tipologia del criterio di suddivisione “immobile per immobile” prescelto).
Ecco allora che non resta che scaricare il tutto sul contribuente, come si fa del resto ogni qual volta gli si chiede di comunicare telematicamente dati che l’anagrafe tributaria già possiede, ma che chi la gestisce non è capace di estrarre da solo.
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno anche quando è praticamente vuoto del tutto, possiamo dire che questa metodologia consente se non altro al cittadino di avere piena consapevolezza di quanto della sua Imu sta versando ai comuni ove i suoi immobili sono ubicati e quanto allo Stato. L’ottimismo è il profumo della vita.
Peccato che, di questi tempi e con queste leggi, meno odori si sentono e meglio si sta.
Per approfondire: