Al via da giovedì 24 il settimo festival tematico di fine stagione organizzato dal Teatro Ringhiera per tornare a parlare di lavoro provando ad arginare gli effetti di una crisi macinata dai processi mediatici. Una pratica anticamente sociale quella delle assemblee declinate da WORK IN PROGRESS Il lavoro prima di tutto?! sia come appuntamento intensivo di quattro giorni di testimonianze, sia come proposta di spettacoli, proiezioni, concerti e letture cui è stato affidato un ruolo di partecipazione attiva tra le voci più abusate di sciopero, lotta e precariato. Un palco sgombro da denunce anonime è presto reso piattaforma incalzata da esperienze creative e discussioni pubbliche.
A un anno dall’occupazione del Teatro Valle di Roma, due rappresentanti del movimento ne hanno ricordato le tappe e risposto a inevitabili interrogativi sul futuro delle economie di una gestione partecipata. Un’ipotesi che, dietro consultazione di giuristi di chiara fama come Rodotà e Mattei, si è evoluta in “Fondazione Teatro Valle bene comune”. L’innesco è stato la dismissione dell’Ente teatrale italiano che gestiva il Valle accanto a realtà quali La Pergola di Firenze, teatro faticosamente riaperto anche su intervento della giunta. Un fenomeno sempre più distante dalla preistoria di beni inalienabili quali la formazione delle maestranze e la cultura del teatro. Quel che infatti attualmente proviene alla Fondazione Teatro Valle da un finanziamento collettivo, altrimenti detto crowd funding, preluderebbe in seguito all’accesso a finanziamenti pubblici altrettanto inalienabili.
Se allora dall’opposizione alle ingerenze partitiche è nata la macchina dell’occupazione gentile, la seconda sveglia milanese di Macao si è però tradotta in un silenzio stampa discutibile e nella rinuncia conseguente a prendere parte al festival. Silenzio rotto invece da chi, come il sociologo Aldo Bonomi, intervenuto riguardo a crisi individuale e sociale, ha riproposto l’occupazione nei termini di quei lavoratori sopraffatti dall’essere i nuovi servi della gleba. O piuttosto di quegli autonomi impossibilitati a fare del lavoro un racconto tramandato evitando atti di ribellione tragica, schegge contro se stessi per chiudere con debiti e mediocrità.
Sullo stesso palco ha preso posto la lettura interpretata di Ribellioni possibili, testo in fieri e premessa di una produzione della Compagnia Atir in collaborazione con il drammaturgo Edoardo Erba. Il copione originale di Luis Garcìa-Araus e Javier Garcìa Yagüe è stato scritto un mese prima dello scoppio del movimento degli indignados e ripercorre la parabola di un Garcia qualunque che, per un reclamo a una compagnia telefonica, diviene a breve paladino di lotte comunitarie. La forza dell’uno si fa cioè riscatto plurale, con tutta la fatica di indossare le macerie altrui e lo scherno grottesco di tipi fissi dai movimenti sincopati ed elenchi lessicali che ripetono default e rating come lame fredde in mezzo alle battute.
Ma negli intenti del festival i racconti facilmente detti di protesta vanno al di là del palcoscenico trattando di morti bianche in Cosa è morto con i ragazzi della Thyssen con Massimo de Vita, di inchieste sulle origini dello sciopero attraverso il documentario di e con Gianluca Di Lauro e Alessandro Girami, e delle testimonianze dei licenziati dei Treni Notte in presidio al Binario 21 della stazione centrale di Milano. Atti certo non alieni a Lo stato del quinto stato, che nelle fattezze di una performance a cura di Marcela Serli insegue la condizione di assoluta frenesia dei lavoratori autonomi di seconda generazione. Quelle gilde contemporanee in cui si è costretti a non distinguere tra l’ufficio e la casa per fare dell’autonomia prima una leva di flessibilità, poi di faticoso rilascio dell’identità più precaria.
E non c’è esclusione di popolo, ugualmente precario è colui che ammette l’approdo a uno stato di dispersione, di vuoto pressoché ultranazionale o di concreta oppressione indotta come il caso dei suicidi a catena a France Telecom. Caso oggetto del monologo Lavorare stanca di e con Matilde Facheris o della serie Racconti a progetto che comprendono La ballata dei precari introdotta dal critico Sandro Avanzo e seguita dalla coreografia Mattanza di Rossana e Simona Cieri.
A ogni dibattito aperto fa eco il senso di un viaggio che deve pur coinvolgere anche i più piccoli con tracce e racconti immaginari di fiabe e, successivamente, con Viaggio al termine del lavoro (Radio Travagghju) di e con Marco Rovelli e la partecipazione di Moni Ovadia, mostra la veste scenica di situazioni lavorative al limite. A chiudere però davvero questo settimo festival è King’s working day, del collettivo Drag King dove l’esplorazione del quotidiano e l’assemblea sociale continuano tra lazzi e risposte di una vita agra.
WORK IN PROGRESS
IL LAVORO PRIMA DI TUTTO?!
7° Festival del Teatro Ringhiera
24-27 maggio
INFO E PRENOTAZIONI
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Teatro Ringhiera 02 84892195
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TUTTI I GIORNI
mostre e proiezioni video
zona aperitivo/bar con spazio relax all’aperto