Altro che modello Germania, alle banche serve la Sindrome di Stoccolma

Altro che modello Germania, alle banche serve la Sindrome di Stoccolma

L’austerity non abita a Berlino ma più a nord, esattamente a Stoccolma. La Sveriges Riksbank, la banca centrale più antica del mondo – fondata nel 1668 – assieme alla Finansinspektionen (FSA), il regolatore del mercato, ha deciso di mettersi un passo avanti rispetto ai requisiti di capitale richiesti agli istituti comunitari da Basilea III, con l’obiettivo di creare un nuovo modello bancario per i Paesi europei.

Mentre Monti e Rajoy esultano per aver ottenuto da Angela Merkel il via libera all’intervento diretto del fondo salva-Stati Efsf/Esm nel capitale delle banche in difficoltà, fa specie vedere che ci sia un Paese che, molto più della Germania, sta dettando l’agenda in termini di solidità bancaria. Anche perché, come sottolinea stamani il Financial Times, i potentati politici locali alla guida delle Landesbanken regionali potrebbero non prendere bene la decisione di una supervisione bancaria in seno alla Bce. Per non parlare del campione nazionale Deutsche Bank, la più “americana” tra le banche comunitarie, in termini di utilizzo della finanza strutturata. 

A leggere il Financial Stability Report di Riksbank diffuso a inizio giugno, si scopre che il Core Tier 1, cioè il cuscinetto patrimoniale di vigilanza per attutire l’effetto negativo degli shock macroeconomici aveva raggiunto il 10% delle attività ponderate peril rischio con ben due anni di anticipo rispetto alla scadenza imposta lo scorso novembre dall’istituto centrale, e addirittura con sei anni d’anticipo sulle tempistiche previste dal Comitato di Basilea. Più che di un ottimo risultato, si tratta di un nuovo standard, oltre ad una dimostrazione della capacità di dettare la propria agenda senza aspettare, come ad esempio Mps, l’ultimo secondo utile per mettersi (costosamentte) in linea con le decisioni adottate dall’Eba, l’autorità bancaria europea. 

Tuttavia, gli svedesi non si sono seduti sugli allori: sebbene le loro banche siano ben capitalizzate, Riksbank ha stabilito che «le maggiori banche dovranno innalzare ulteriormente in futuro il livello di capitale in grado di assorbire le perdite (Core Tier 1)». Oggi Handelsbanken e Swedbank hanno già raggiunto l’obiettivo del Core Tier 1 al 12%, mentre quello di Nordea Bank AB – declassata ad Aa3 da Moody’s lo scorso 24 maggio – nell’ultima trimestrale, era pari al 10,5% e SEB all’11,6 per cento. Tanto per fare un paragone, il coefficiente Core Tier 1 di Unicredit è al 9,97%, quello di Intesa Sanpaolo al 10,01%, mentre Mps è al 10,5 per cento, sebbene le banche italiane siano molto più grandi in termini di asset. 

Invece che applaudire, il presidente Stefan Ingves, che peraltro è nato in Finlandia, non è ancora soddisfatto: a pesare sui libri delle banche svedesi, dice lui, è soprattutto la bassa ponderazione dei rischi connessi ai mutui ipotecari, nonostante essa derivi dallo scarso tasso di bancarotta nella popolazione e dal welfare generoso. C’è poi il problema della funding: «Le principali banche svedesi sono particolarmente vulnerabili ai rischi di liquidità, poiché utilizzano in larghissima parte il canale del finanziamento all’ingrosso a breve termine», ragione dietro al recente declassamento “light” di alcuni istituti. Una volta messo in sicurezza il capitale, dunque, la banca centrale suggerisce di concentrarsi sulla liquidità. 

In Svezia, per ragioni storiche, il rapporto tra prestiti e depositi è tradizionalmente elevato: i contribuenti preferiscono investire i propri risparmi nei fondi pensione e in quelli collettivi, invece che tenerli sul conto corrente o vincolarli in un conto deposito. Il canale retail pesa sulla metà del funding, mentre l’altra metà, sul medio termine, deriva dall’emissione di covered bond, cioè titoli garantiti dall’attivo patrimoniale, denominati in corone o in euro (mentre a servizio dei mutui il finanziamento via covered bond pesa per il 75%, vedi pag. 55). Lo stock di questi strumenti sul mercato è pari a 1.700 miliardi di corone, circa 200 miliardi di euro, ma è relativamente poco rischioso vista la fuga degli investitori dall’euro in direzione di porti sicuri come la valuta del Paese.

La Svezia, in ogni caso, non è immune dai problemi dell’Eurozona, come si legge ancora sul report dell’istituto centrale: «Una recessione profonda e prolungata nell’area euro potrebbe portare a un rapido deterioramento dell’attività economica in Svezia, che potrebbe colpire anche i prezzi delle case», i quali dopo la discesa del 2011 sono stati protagonisti di una moderata risalita nella prima parte di quest’anno. Un altro rischio per i covered bond, in genere basati sui mutui immobiliari, che avrebbe l’effetto di rendere più costoso il finanziamento per le banche del Paese, portando a una crisi di liquidità, ma non di solvibilità. Tuttavia, i correntisti svedesi possono dormire sonni tranquilli: il net stable funding ratio, cioè l’indicatore di finanziamento “di primaria qualità”, che comprende depositi, prestiti interbancari oltre un anno, bond governativi e azioni e deve superare del 100% l’ammontare degli strumenti a breve, ibridi e fuori bilancio entro il 2018. Lo scorso marzo le banche svedesi erano all’80 per cento. Insomma, non sarebbe male che le banche europee si facessero venire la sindrome di Stoccolma. 

Twitter: @antoniovanuzzo

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