Il lavoro del giornalista non è semplice. Soprattutto quello del rubrichista. Voi lettori ovviamente non potete neanche lontanamente immaginarlo, magari ci fate una risata su (per non dire altro), ma una rubrica è croce e delizia per un giornalista. Delizia perché in fondo è la consacrazione, il direttore ti chiede di avere uno spazio fisso in cui puoi dire bene o male quel che ti va. Il giornale sceglie te per dire la sua su quell’argomento. Ed è sempre motivo di vanto. Croce perché la rubrica ha una sua periodicità. E bisogna rispettarla.
È un po’ come quando da piccoli si riesce a convincere i genitori a prendere un cane. I primi giorni sono feste, coccole e litigi per chi debba portarlo giù a fare i suoi bisogni e le passeggiate. Passata l’euforia del momento, ogni qual volta l’amico a quattro zampe provi a sollecitare qualcuno di casa per l’uscita di rito, è tutto un fuggi fuggi.
Ecco, per la rubruca è un po’ così. Una volta assegnata, bisogna riempirla. E – mi perdoni l’amico Michele Fusco – può capitare persino a un grandissimo come Aldo Grasso di non sapere come riempire le sue quaranta righe o giù di lì sul Corriere. Può capitare che anche i più grandi talvolta si rifugino nel mestiere. Il caldo opprime, l’estate è alle porte, e scrivere di tv alla lunga stanca. A mio avviso essere costretti a guardarla equivale a una tortura, ma questo è un altro discorso.
E insomma, messo all’angolo, Aldo Grasso se ne esce con un colpo d’esperienza. La verve scarseggia? E allora parliamo male delle telecronache Rai, in fondo è un sempreverde. Un po’ come buttarla in vacca accusando Berlusconi. Si va sul sicuro. E dire che Aldo Grasso (che ovviamente non ha bisogno delle nostre difese) è un giornalista che in genere non si rifugia nell’ovvio, anzi. Solo per menzionarne una, quest’anno era da incorniciare la sua stroncatura del duo didattico Fazio-Saviano.
Ma veniamo al punto. Partendo da Nando Martellini, Grasso rivisita brevemente il modo di condurre le telecronache, stronca la Rai, elogia la nuova narrazione introdotta da Caressa ai mondiali del 2006 e conclude con un elogio di Nicolò Carosio.
Eccoci al punto: perché bisogna sempre parlare male delle telecronache della Rai? Il duo Gentili-Dossena non è affatto male. Puntuali, attenti, nemmeno tanto faziosi (Caressa di fatto è un ultrà) e anche competenti. Bruno Gentili ha alle spalle decenni di giornalismo radiofonico e quindi ha un eloquio all’altezza e anche un discreto vocabolario. Certo, come direbbe ancora l’amico Fusco, non arriverebbe mai alla genialità di un Sandro Ciotti con la sua “ventilazione inapprezzabile”, ma non è mai noioso e raramete ripetitivo.
Beppe Dossena, poi, è uno che di calcio ne capisce. Già negli Ottanta era uno dei pochi che sapeva coniugare congiuntivo e condizionale senza tentennamenti. Che cosa c’è che non va nelle loro telecronache? Non si capisce perché debba sempre copiare il modello Sky, intriso di ritmo sincopato, improvvise accelerazioni di decibel, e continui elogi della partita in corso anche se stiamo assistendo allo zero a zero più noioso della partita di calcio. Eppure basta farsi un giro sul web: è zeppo di stroncature.
Poi se vogliamo discutere di quel che accade finisce la partita, e quindi di quella sorta di bar sport inguardabile che manda in onda la Rai (con Mazzocchi, Paola Ferrari e compagnia), allora è un altro discorso. È una roba da fiera paesana, con tutto il rispetto per le ferie paesane. Ma se ci atteniamo alla telecronaca, il duo Gentili-Dossena è di tutto rispetto. Anzi, con ogni probabilità la miglior coppia della Rai dai tempi di Fabio Capello commentatore tecnico. Perché gridare come un ossesso a un gol non significa per forza essere più bravi di altri.