Hanno tutti ragione. Decifrare i contorni della polemica che in queste settimane coinvolge l’aeroporto Marco Polo di Venezia è come distinguere il cielo dal mare nella laguna su cui si affaccia, in una giornata di nuvolo. Da una parte c’è Save, società che gestisce il terzo sistema aeroportuale dopo Roma e Milano, dall’altra lo Stato, prima Enac – l’ente di vigilanza dell’aviazione civile – e ora il ministero dei Trasporti. A perderci, ovviamente, sono i passeggeri.
Quando è passato a Nordest, atterrando proprio a Tessera (VE), è stato addirittura tirato per la giacchetta il presidente Giorgio Napolitano, attraverso una “lettera appello” in cui Save ha denunciato lo stallo ormai decennale del nuovo contratto di programma con Enac. Le tariffe che l’ente presieduto da Vito Riggio assegna agli aeroporti consentono di programmare e remunerare gli investimenti. E il numero uno della società veneta, Enrico Marchi – manager di lunghissimo corso arcinoto in Regione – ha deciso recentemente di congelarli in segno di protesta, creando non pochi disagi ai clienti. Salvo poi ritornare ieri sui suoi passi e, assieme a Codacons, rendersi disponibile a rimborsare «sulla base di prove concrete» tutti coloro che «per via di una eccezionale attesa ai varchi di sicurezza abbiano perso il volo nella giornata del 22 maggio scorso». L’esito dell’incontro in prefettura ha evidenziato
Al netto dell’incertezza causata dai tempi biblici con cui l’Enac rinnova i contratti, ragione per cui, prima di Save, anche Gemina ha deciso di stoppare i 12 miliardi di investimenti 2012-2044 nell’agonizzante sistema aeroportuale della Capitale, il comportamento della società non solo stride con il buongusto, ma anche e soprattutto con i bilanci. La governance di Save è piuttosto intricata: è controllata al 39% da Marco Polo Holding, a sua volta controllata all’87% da Agorà, scatola partecipata da FinInt, Assicurazioni Generali e da una holding olandese riconducibile a un fondo infrastrutturale della banca americana Morgan Stanley. FinInt, guidata da Marchi assieme ad Andrea De Vido, è oltretutto azionista in Ferak, che possiede l’1,7% del Leone di Trieste.
Sebbene, a livello di Gruppo, la gallina dalle uova d’oro sia la catena Ristop (Airest), i conti 2011 non hanno dato crucci particolari agli azionisti, ai quali è stato distribuito un dividendo di 37 centesimi, sempre in crescita dal 2008 (ad un tasso annuo composto del 17,6%, vedi a pagina 12 della presentazione).
Dettaglio ricavi 2011 Save (Fonte: bilancio 2011 Save)
Il 2011 è stato archiviato con un utile a quota 42 milioni di euro (+42% sul 2010) e ricavi a 347 milioni (+3%). Il 57% dei quali circa 200 milioni di euro, deriva dal food & beverage (+0,7% sul 2010), mentre la gestione aeroportuale contribuisce per il restante 36%, pari a 130 milioni di euro (+7,1% sul 2010). Nel dettaglio, la business unit Gestione Aeroportuale evidenzia 34 milioni di utile (+43% a/a), un margine operativo lordo di 50 milioni (+10,2% a/a). I ricavi aeronautici, che pesano per 79 milioni su 126 totali, sono cresciuti dell’8,7% rispetto al 2010 grazie all’incremento dei passeggeri (+7,1%). E sebbene il primo trimestre del 2012 evidenzi un leggerissimo calo (-0,7%) a quota 1,9 milioni, nel solo mese di aprile a Treviso i passeggeri sono cresciuti del 12% e a Venezia del 15,4 per cento. Stesso discorso per lo scalo di Bruxelles Charleroi, partecipato al 27%, dove sono transitate 1,2 milioni di persone (+2%).
Insomma, anche senza il nuovo contratto di programma, per Marchi & De Vido gli affari vanno benone. Grazie anche a qualche aiutino, arrivato proprio dal settore pubblico. Ad esempio, l’opzione di vendita della partecipazione in Save da parte della finanziaria regionale Veneto Sviluppo. Un episodio che risale al 2007, sul quale si sono scannati i due ex presidenti, Paolo Sinigaglia e Irene Gemmo. In sintesi: il primo, ex patron di Alpi Eagles, piccolo vettore poi finito con i libri in Tribunale, accusava la seconda – molto legata all’ex governatore Giancarlo Galan e allora titolare dell’omonima azienda di famiglia, attiva nell’impiantistica – di aver svenduto la partecipazione della holding veneta nella società aeroportuale. La vicenda fece molto rumore, con dichiarazioni di guerra e paginate sulla Tribuna di Treviso, Il Mattino di Padova e il Gazzettino di Venezia. Nessuno, però, ha quantificato quanto ha risparmiato Save, che ha rilevato le azioni della finanziaria, e quanto hanno perso i cittadini veneti.
«In tempi di emergenze sul fronte lavoro e di credito alle imprese (la vendita della quota in Save, ndr) permetterà di ottenere risorse fresche» aveva detto Luca Zaia nell’ottobre 2010, una volta messo sul mercato (si fa per dire) il 12,8% della Marco Polo Holding, valorizzato 19 milioni di euro. Tuttavia, a fronte di 20 milioni di euro freschi, la finanziaria ha rinunciato a 650mila euro, su 1,5 milioni totali, in dividendi provenienti da Save. Sul bilancio 2010, infatti, si legge: «Nel corso dell’esercizio la società ha percepito dividendi per complessivi Euro 1.560.623 (-19,72% rispetto all’esercizio precedente). All’interno di tale voce assume un peso rilevante (quasi il 42% del totale) il dividendo erogato da Marco Polo Holding S.r.l. (il cui unico asset è la partecipazione in SAVE S.p.A.), pari ad Euro 653.031». Dividendi che, come detto, sono cresciuti costantemente dal 2008 ad oggi, non certo un periodo di prosperità economica.
Per capire invece quanto ci abbia guadagnato Marchi bisogna risalire ai patti parasociali comunicati a Consob nel lontano aprile 2006. Dove, a proposito dell’opzione di vendita di Veneto Sviluppo, c’è scritto: «Si prevede che il prezzo di vendita dela quota oggetto dell’Opzione di Vendita debba essere determinato attribuendo a SAVE la valorizzazione più elevata (in termini di equity value) tra Euro 480 milioni ante quotazione e quella ricavabile dalla media del prezzo delle azioni SAVE nei 6 mesi precedenti l’esercizio dell’Opzione di Vendita […] fermo in ogni caso il limite minimo di Euro 480 milioni». In termini tecnici è il “floor” della put. Che tradotto significa: indipendentemente dalla capitalizzazione, la valutazione complessiva della società che gestisce gli scali veneziani e trevigiani non può essere inferiore a 480 milioni di euro.
Un paletto che, magicamente, scompare al rinnovo del patto, nell’ottobre 2007. Al punto 11 del documento, infatti, la dicitura cambia: «Si prevede che il prezzo di vendita della quota oggetto dell’Opzione Put sarà determinato attribuendo a SAVE (in termini di equity value) la valorizzazione ricavabile dalla media ponderata del prezzo delle azioni SAVE nei 6 (sei) mesi precedenti l’esercizio dell’Opzione Put». Il calcolo, dunque, è presto fatto: con il limite minimo di 480 milioni, il 12,8% di Marco Polo Holding, che controlla il 39,8% di Save, vale circa 24,6 milioni di euro. Ergo: cinque milioni di euro in meno per le Pmi venete, cinque milioni in più per Save. Contattata da Linkiesta, Irene Gemmo ha preferito non rilasciare alcun commento su una vicenda ormai «strachiusa».
I numeri dicono che Save è in grado di stare sul mercato anche senza rialzi delle tariffe, e alla luce degli “aiutini”, uno sciopero da parte dei padroni è una vera e propria caduta di stile.
Twitter: @antoniovanuzzo