Commercianti uno, banche zero. Sette milioni di negozianti americani, dai piccoli alle grandi catene, potrebbero ottenere un risarcimento da 7,25 miliardi di dollari da parte di Visa, Mastercard e altri istituti di credito statunitensi – tra cui Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Capital One Financial, Barclays e Hsbc – nell’ambito del più grande accordo extragiudiziale in materia di concorrenza della storia americana. Il condizionale è ancora d’obbligo, l’autorizzazione dei giudici della corte federale di Brooklyn è ancora pendente, ma dovrebbe essere poco più che una formalità.
Il motivo del contendere sta nelle cosiddette swipe fees, cioè le commissioni che gli esercenti pagano a istituti di credito e ai circuiti di moneta elettronica per le transazioni con le carte di credito. Commissioni che ammontavano mediamente al 2% del prezzo del prodotto acquistato, ovviamente a carico degli esercizi commerciali, e che hanno generato introiti ai big di Wall Street per 40 miliardi l’anno. I termini dell’accordo prevedono non solo la negoziazione collettiva delle commissioni, ma anche uno sconto di 10 punti percentuali per la durata di 8 mesi, dal valore di 1,2 miliardi di dollari. Infine, i commercianti saranno obbligati a esporre ai clienti le informazioni sui costi aggiuntivi che potranno aggiungere nel caso di pagamento con carta di credito. I quali, in ogni caso, non potranno andare oltre un tetto fissato per legge. Quest’ultima regola, tuttavia, non sarà valida per la California, il Texas e lo Stato di New York, e gli altri 10 Stati federali dove la pratica è vietata.
I problemi legali di Visa e Mastercard che riguardano le policy dei propri sistemi di pagamento, non sono certo nuovi. Nel 2003 le due sorelle del credito versarono complessivamente 3 miliardi di dollari nell’ambito di una class action partita nel 1996 e capitanata dal colosso Wal-Mart, contro la clausola, posta come condizione per l’accesso ai propri circuiti, di accettare anche le loro carte di debito, con il conseguente aumento delle fees versate dai commercianti. Una battaglia legale finita con la cosiddetta Honor all cards rule. Nel 2008 a muoversi è la Commissione europea, proprio per far rispettare il medesimo principio.
Nel 2010, invece, il Dipartimento di giustizia americano promuove una causa civile nell’ambito della quale Visa e Mastercard hanno accettato di eliminare alcune clausole contrattuali nei confronti dei negozi, che impedivano loro di indirizzare i clienti verso forme di pagamento più economiche. Un provvedimento che non ha però intaccato il divieto, da parte dei negozianti, di alzare il prezzo della merce quando i clienti usano la carta di credito. L’anno scorso, infine, i commercianti americani avevano vinto un’altra battaglia legale, questa volta sui costi di gestione dei pagamenti attraverso le carte di debito, cioè del bancomat. Dalla loro hanno un vantaggio non da poco: il Dodd-Frank Act, la nova legislazione finanziaria promossa da Obama per evitare altre Lehman Brothers, prevede proprio un abbassamento delle “swipe fees”.
Anche in Italia banche e commercianti stanno provando a mettersi d’accordo, ma chiedere agli istituti di credito – con il mercato interbancario congelato – di abbassare i costi e ridurre così una potenziale fonte di finanziamento, è una mission impossible. Secondo quanto previsto dal decreto “Cresci Italia”, entro il 30 giugno il ministero dell’Economia avrebbe dovuto emettere il nuovo regolamento sulle commissioni bancarie, ma le tempistiche si sono allungate a fine luglio. In via XX Settembre, intanto, la prossima settimana si riunirà il tavolo tecnico con banche e rappresentanti degli esercenti proprio per cercare una quadra sulle nuove norme.
«L’obiettivo – spiega a Linkiesta Luciano Gaiotti, vicedirettore generale di Confcommercio con delega al credito – è arrivare alla definizione di un indice sintetico di costo come per i mutui e i finanziamenti, in cui venga indicata con chiarezza l’interchange fee (commissione interbancaria che le banche negoziatrici dell’incasso presso il punto vendita devono pagare alle banche che emettono le carte di credito o debito, ndr)». L’altra proposta dell’associazione dei commercianti riguarda l’introduzione di una flat fee annuale uguale per tutti, invece che su ogni singolo acquisto. Osserva Gaiotti: «È come a metà anni ’90, quando i costi di una singola telefonata al cellulare erano altissimi, mentre oggi esistono quasi soltanto abbonamenti forfettari». «L’altro tema – conclude Gaiotti – è quello del pagamento con la carta bancomat, che è equiparabile a un bonifico e per questo dovrebbe avere costi inferiori».
Se i negozianti americani saranno liberi di applicare, previa dichiarazione, un sovrapprezzo alla merce in caso di pagamento con la carta di credito, quelli italiani propongono l’inclusione dei costi dello strumento di pagamento più efficiente, come il bancomat, nel prezzo finale della merce. Se da un lato la concorrenza va garantita, dall’altro non è detto che una liberalizzazione possa portare beneficio alle tasche dei consumatori, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove l’uso del contante, e quindi dei pagamenti non tracciabili, va disincentivato con tutti i mezzi.