Ormai è chiaro, il G8 di Genova si iscrive di diritto nei misteri italiani. O meglio, negli pseudomisteri italiani. Ma stavolta è un po’ diverso. In fin dei conti, sia pure non certificata dalla magistratura (che in fin dei conti in Italia non ha mai chiarito nulla), una verità spesso ce la siamo fatta. Su piazza Fontana, così come su Ustica. La verità è lì e in tanti ormai hanno un quadro chiaro di quel che accadde. Anche se a questo quadro manca – e non è affatto poco – la firma dello Stato italiano.
Stavolta è diverso. Anche perché diversi sono gli schieramenti. E in fin dei conti è fin troppo banale sostenere che la verità è sempre figlia dei vincitori. Ovvero di chi ha più forza al momento in cui viene scritta. Una verità c’è, direte voi. C’è una sentenza appena passata in giudicato che mette uno dietro l’altro i nomi dei poliziotti responsabili del massacro avvenuto alla scuola Diaz quel sabato a Genova undici anni fa. Quando tutto era finito e si tornava a casa a ripensare alla follia di quei tre giorni, con i potenti del mondo sugli yacht e una guerra in strada.
La Quinta sezione penale della Cassazione ha confermato le condanne d’appello per falso nei confronti dei vertici della polizia e ha prescritto le lesioni per gli altri agenti coinvolti nei pestaggi. Venticinque in tutto. Per loro è scattata l’interdizione dai pubblici uffici. Nei loro confronti ora le vittime potranno chiedere un risarcimento danni, anche se – come scritto da Linkiesta – quei danni li pagheremo noi contribuenti.
Ma il punto della storia è un altro. Da sempre, giustamente, si va alla ricerca del perché e del mandante più che dell’esecutore. In questi giorni qualcuno la domanda l’ha posta, ma in pochi e in maniera blanda. In tutti questi anni, ne sono trascorsi undici, abbiamo sempre guardato il dito – ossia il massacro avvenuto quel sabato sera alla scuola Diaz – e mai la luna: cioè chi l’ha ordinato e perché. E questo probabilmente non lo sapremo mai.
Fa impressione – ma non può certo stupire, altrimenti saremmo tanto ingenui quanto stupidi – che in questi undici anni gli esecutori di quel massacro a sangue freddo abbiano fatto le loro brave carriere. E magari, perchè no?, si siano anche mostrati validi difensori dell’ordine pubblico. Del resto non si affida una delle operazioni più delicate della storia repubblicana a gente che non reputi affidabile.
Vogliamo continuare a guardare il dito? Vogliamo davvero credere che di loro sponte quei dirigenti siano entrati alla Diaz quel sabato sera e picchiato a sangue indiscriminatamente chiunque capitasse loro a tiro? La giustizia, sì la magistratura, ha messo nero su bianco che quelle due molotov, prese a pretesto dai vertici della polizia per giustificare quello scempio, furono messe lì dagli stessi agenti. E che il loro capo, Gianni De Gennaro, istigò sul punto i suoi agenti alla falsa testimonianza. E per questo è stato condannato a un anno e quattro mesi. Voleva che dicessero il falso. La Cassazione ha poi ribaltato il verdetto per mancanza di prove, vero, ma con una sentenza che non ha fugato alcun dubbio, anzi.
Non a caso lo stesso sottosegretario, premiato da Mario Monti con la promozione a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi, oggi balza agli onoridelle cronache per un comunicato che non trova aggettivi per essere descritto. Difende i suoi uomini, coloro i quali quella sera rispondendo a un ordine del loro capo entrarono alla Diaz. Questo il testo della nota diffusa Palazzo Chigi. «Le sentenze della magistratura devono essere rispettate ed eseguite, sia quando condannano, sia quando assolvono. In seguito alle decisioni per i gravi fatti di Genova, le competenti autorità hanno puntualmente adempiuto a tale dovere, operando con tempestività ed efficacia. Per quanto mi riguarda ho sempre ispirato la mia condotta e le mie decisioni ai principi della Costituzione e dello Stato di diritto e continuerò a farlo con la stessa convinzione nell’assolvimento delle responsabilità che mi sono state affidate in questa fase. Resta comunque nel mio animo un profondo dolore per tutti coloro che a Genova hanno subito torti e violenze ed un sentimento di affetto e di umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosco il valore professionale e che tanto hanno contribuito ai successi dello Stato democratico nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata».
Ci sarebbe poco da aggiungere. La macchina di Repubblica invece si è messa in moto. Stamattina Michele Serra, nella sua consueta rubrica “L’amaca”, nemmeno adombrava ma metteva nero su bianco che Gianfranco Fini «visse in prima persona, ma dietro le quinte, quei giorni terribili e oggi è terza carica dello Stato. L’ipotesi – aggiunge – è che i fatti della Diaz non siano estranei al successivo “strappo” di Fini e al suo tentativo di costruire (o forse di “inventare”) una vera destra liberale». Oggi il direttore Ezio Mauro ha scritto il seguente tweet: “#G8, solo il governo di allora non sente il dovere di chiedere scusa. Ma la polizia risponde al governo, che dunque deve risponderne”.
Insomma, secondo Repubblica l’azione alla scuola Diaz fu voluta dal Governo Berlusconi e quindi – stando alle leggi e alle competenze – dal ministro dell’Interno Claudio Scajola e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Per Repubblica Gianni De Gennaro fu un mero esecutore. Così come probabilmente lo fu quattro mesi prima, a Napoli, in occasione del Global Forum dove di fatto furono celebrate le prove generali.
La domanda: “chi è stato il mandante e perché” resta senza risposta. Certo, qualcosa è accaduto nel decennio successivo ai fatti di Genova. De Gennaro (e non Fini né Scajola) è stato condannato in Appello per aver incitato i suoi poliziotti a dire il falso sulla vicenda delle molotov, sia pure successivamente prosciolto in Cassazione con una sentenza che ha fatto molto discutere. Nel decennio successivo De Gennaro è sempre stato ai vertici della polizia italiana, passando dai governi di centrosinistra a quelli di centrodestra e ottenendo un incarico prestigioso in quello dei tecnici. È De Gennaro a firmare oggi una dichiarazione che tutto è tranne che un passo indietro o uno offerta di scuse come quella presentata in settimana dall’attuale capo della polizia Antonio Manganelli. E glissiamo qui sulla lotta tra De Gennaro e il suo rivale Pollari in cui un ruolo non secondario giocò proprio Repubblica.
Insomma, possiamo giocare ai bambini e dirci che Fini è stato il mandante della Diaz. Suona ben strano che il capo della polizia e tutti i più alti dirigenti in quei giorni prendessero ordini da lui. Comunque il gioco è semplice, il popolo della sinistra potrebbe abboccare, anzi forse ha già abboccato. E chi conosce Linkiesta sa che tutto siamo tranne che fan del presidente della Camera. Probabilmente, chissà, Fini – come altri – in quella occasione non toccò palla. E magari capì che tutto questo potere non era proprio nelle loro mani. Come suggerisce anche la recente nomina di Mario Monti. Anche se la giustizia dice altro. Ma in fondo, anche stavolta, la magistratura una risposta alle due domande non l’ha data.