Un piccolo passo, che dopo anni di immobilismo vale più di qualcosa. La prima bozza di spending review presentata da Mario Monti e dal suo governo e votata alla Camera certo non basta a gridare alla vittoria, ma stabilisce un principio importante: alla spesa pubblica un governo in carica può (e deve) porre un blocco. Una dinamica di spesa pubblica fuori controllo, e nessun criterio meritocratico applicato alle pubbliche amministrazioni sono uno dei grandi nodi irrisolti, delle zavorre che dalla prima Repubblica sono passate alla Seconda e rischiano di arrivare intonse alla prossima.
Il provvedimento del governo, che la Camera ha approvato con larga maggioranza, prevede che per il biennio 2013-2014 lo stipendio dei pubblici dipendenti non dovrà superare quello del 2011. Sono inoltre sospesi i concorsi di accesso alla prima fascia dirigenziale, mentre le facoltà di assunzione delle pubbliche amministrazione sono progressivamente ridotte fino ad essere azzerate nel 2016. Vengono inoltre ridotti i permessi sindacali e la riduzione è effettuata a far corso dal prossimo anno.
I risparmi possibili sono di pochi miliardi: nulla che cambi l’equilibrio complessivo del difficile rapporto tra pubblico e privato, tra fisco e cittadini. Insomma, questo decreto non è (né poteva essere) il migliore dei mondi possibile, ma segna una strada: ed è quella giusta. Anzitutto, perchè recupera risorse in un settore (quello del pubblico impiego) non più costoso o ampio di altri paesi europei, ma sensibilmente più inefficiente. Poi perchè restituisce primazia alla politica che decide, con gli strumenti che le sono propri, sul destino dei conti pubblici e dei dipendenti dello stato. Infine, perchè segna una strada per il futuro: meglio stimolare gli italiani a inventare economia privata, recidendo una volta per tutte la decennale speranza che sia lo stato a provvedere.
Cosa manca a questo provvedimento? Naturalmente tante cose. A prima vista – e segnaliamo questa come una via da percorrere in futuro – manca senz’altro la volontà e la capacità di premiare, anche nel pubblico, chi è più bravo, sanzionando chi meno lavora. Ma per adesso era importante mandare un segnale nella direzione giusto e questo è stato fatto.
P.s. Note stonate. A parte la virulenta e prevedibile reazione dei sindacati (anticipata peraltro da Susanna Camusso stamane su La Stampa), il cartellino giallo di giornata va – purtroppo – ai dipendenti pubblici più pagati e riveriti, cioè i parlamentari. Le cronache dicono che hanno votato 387 sì, 20 no e 47 astenuti. All’appello mancano poco meno di 200 deputati. Dov’erano? Uno di loro confessa candidamente: “Troppo lunghe le dichiarazioni di voto per rimanere fino alla fine, tanto il voto era blindato…”