Ad agosto sarà stato solo un sogno. E Viterbo tornerà ai suoi placidi problemi di provincia da profondo Sud. Nell’ordine: disoccupazione giovanile al 30%, l’unico distretto industriale (quello ceramico di Civita Castellana) sempre più sventrato dalla concorrenza cinese e dalla cassintegrazione, una buona dose di infiltrazioni mafiose che fanno capolino un giorno sì e l’altro pure sui quotidiani locali (quei pochi che resistono alla crisi). Il tutto ben sigillato da una politica rissosa e romanocentrica, incapace quasi sempre di decidere.
Basti pensare che la città dei papi è dotata da 4 anni di un assessore all’aeroporto. Uno scalo, che non esiste nemmeno sulla carta, sventolato da destra e da sinistra quando c’era da prendere i voti, e ora finito nel dimenticatoio. Così come il raddoppio della Cassia e il completamento della Trasversale Viterbo-Civitavecchia al palo da 40 anni.
Ma è proprio in questo scenario che la città medievale sta cambiando pelle. Una mutazione genetica violenta che porta il nome di “Caffeina”, ormai una vera e propria industria culturale, arrivata alla sesta edizione. Il taglio del nastro c’è stato il 29 giugno, le luci si spegneranno il 14 luglio. In mezzo: quattrocento appuntamenti disseminati nei quartieri medievale di San Pellegrino e Pianoscarano e nel resto del centro storico. Fra gli ospiti del festival l’attivista liberiana Leymah Gbowee, premio Nobel per la pace 2011, Niccolò Ammaniti, Dacia Maraini, Antonio Monda, Moni Ovadia, Walter Siti e Santiago Gamboa. Non solo: la kermesse sarà tappa ufficiale del Premio Strega e ospiterà il Tuscia Film Fest (rassegna cinematografica di primo piano con i protagonisti del cinema italiano: da Daniele Vicari a Ivan Cotroneo). Una baraonda organizzata, puntellata da stand di birra e gelati un po’ ovunque, con una media di trenta appuntamenti a serata, i più importanti dei quali a pagamento.
Tra vicoletti di peperino e piazzette incorniciate da profferli, si parla di anti mafia, noir, giornalismo, musica e, ovviamente, di letteratura. La stella cometa, un po’ offuscata nel casino generale, in un tutto questo ambaradan. L’aulico e il pop, il commerciale e il radical chic. Giusto per fare qualche altro nome degli invitati: il maestro del pensiero ebraico Haim Baharier, Serena Dandini, Vittorio Sgarbi, Niccolò Fabi, Corrado Augias, Ilaria D’Amico, Diego De Silva, Flavio Insinna, l’inglese William Blacker, il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, Alain Elkann, Gianni Vattimo, Veronica Pivetti e il ”Camilleri di Atene’ Petros Markaris. Insomma, si salvi chi può.
Ma chi c’è dietro Caffeina? Le menti sono due: il primo è Andrea Baffo, brillante dipendente comunale laureato in Lettere, e poi c’è Filippo Rossi, già esegeta del pensiero finiano con la nascita di Fli e da poco reduce dalla sfortunata avventura editoriale del Futurista. Il primo è l’uomo macchina dell’organizzazione, colui che per tutto l’anno tiene i rapporti con le case editrici italiana e le fila del programma. Il secondo, invece, è uomo di relazioni politiche e culturali, aumentate all’ennesima potenza grazie alla stagione di anti berlusconismo militante nata con il celebre ditino di Fini a Silvio (“Che fai mi cacci?”). Ormai un vicolo cieco, visto l’epilogo della faccenda, da cui Rossi è riuscito comunque a uscire (tra le tante cose che fa ha un blog su Fatto quotidiano, media partner della manifestazione). Con una capriola si è trasformato da profeta a eretico alla ricerca dell’ennesima, nuova destra di lotta e, possibilmente, di governo.
L’obiettivo della strana coppia è quello di far diventare Viterbo un satellite dell’Estate romana. Un contenitore di «cultura in libera circolazione, senza vincoli, senza confini e soprattutto senza etichette», dicono Rossi e Baffo. Le premesse ci sono tutte, viste anche le edizioni precedenti. E la città dei papi, stordita, ringrazia. Così come i suoi amministratori che in questi giorni si bellano, in maniera un po’ ipocrita, di un vuoto pneumatico colmato per tre settimane non da loro ma dagli “altri”. La manifestazione, infatti, si regge in gran parte sui fondi dei privati (in primis Confindustria, banche e fondazioni locali, più sponsor nazionali).
Il Comune come tutti gli anni prova a fare la sua parte. Palazzo dei Priori probabilmente ridarà alla manifestazione 20mila euro di contributo. Uno sforzo per le casse cittadine non indifferente, visto la contabilità dell’ente. L’amministrazione, infatti, ha da poco ripianato un debito monstre di circa 10 milioni di euro provenienti dal buco delle società partecipate Cev, Robur e Francigena. Entro agosto il consiglio comunale è pronto ad approvare il bilancio facendo conto su 5 milioni di euro di crediti che dovrebbero arrivare dalla spa pubblica Talete che gestisce il servizio pubblico nella provincia di Viterbo, a sua volta in pieno baratro.
Intanto l’addizionale Irpef è stata aumentata del 60%, facile che anche l’Imu subisca una ritoccatina all’insù. E come se non bastasse le ultime manovre del Governo hanno tolto al Comune capoluogo 5 milioni di trasferimenti statali. Con questi numeri serve la fantasia. Tanto che quest’anno si sono inventati la Fiera di Caffeina, spazi pubblici messi a disposizione dei commercianti – pagando la Tosap – per far girare un po’ l’indotto di gelaterie e pizzerie, pub ed enoteche. Con buona pace dell’ex ministro Tremonti, da queste parti si mangia e si beve con la cultura. «Se devo essere sincero ci aspettavamo più pubblico agli eventi – dice Rossi a Linkiesta – e meno in giro per le strade. Ma anche questa è da mettere in conto, quando si fa cultura architettonica».
L’organizzazione della kermesse ha comunque costi molto elevati. Il bilancio di quest’anno si aggira intorno ai 350mila euro. La maggior parte dei quali, più dell’80%, arrivati dai privati. Oltre al Comune, ci sono le fiches di Provincia e Regione, attraverso i bandi. Senza troppa fatica ora il Palazzo ha dato le chiavi ai caffeinomani per poi riprendersele quando sarà il momento, riponendole nel cassetto della sciatteria: basta passeggiare in questi quartieri medievali tra un mese per rendersene conto.
Ma non è stata sempre così, la faccenda. Nel periodo di massimo conflitto interno al Pdl, le istituzioni cittadine hanno provato a snobbare Caffeina. Oppure a ridimensionarla, puntando su altri eventi. Una sconfitta. Perché sotto l’egida di Rossi sono passati tantissimi campioni dell’antiberlusconismo militante (da Saviano a Travaglio fino a Vauro e Vladimir Luxuria) ma anche più responsabile (Mentana e Pansa) in grado di riempire le piazze.
Tant’è che alla fine il sindaco Giulio Marini, azzurro della prima ora, ha dovuto abdicare davanti ai numeri, figli dell’interesse reale della gente ma anche dello struscio serale più menefreghista della cittadina. Discorso diverso per il presidente della Provincia, l’ex An Marcello Meroi, strenuo oppositore della kermesse un po’ fascio-comunista che due anni fa gelò tutti in conferenza stampa spiegando: non vi diamo un euro, il programma non ci piace.
Ricordi. Perché ormai il processo di santificazione di Caffeina non si frena. Il luna park culturale ha avuto la meglio sulla politica e sui conformismi della Seconda repubblica, ma anche sul deserto lunare di programmazione, idee e contatti del Pubblico. «Ora, nell’era dei tecnici, non ci sono più polemiche politiche feroci sugli ospiti – continua Rossi – la situazione è diventata più pacata».
Bisogna però raccontare com’è Viterbo nel resto dell’anno per capire ancora meglio il fenomeno. Quella che Mario Monicelli definì la “Cinecittà naturale degli anni ‘60” ormai si sta trasformando “nella piccola città, bastardo posto” di gucciniana memoria. Nel capoluogo e nel resto della Tuscia i grandi del cinema italiano girarono film memorabili: Il Vigile, I Vitelloni, Uccellacci uccellini, l’Armata Brancaleone e l’Otello, giusto per fare qualche esempio. Polvere di stelle, ormai. Di quell’afflato magico non è rimasto niente. Solo il ricordo dei vecchi e di qualche irriducibile cinefilo.
A Viterbo, nel 2012, c’è solo un cinema che lavora a mezzo servizio. Tutti gli altri hanno tirato giù, uno dopo l’altro, il bandone. Crisi dei botteghini, affitti troppi altri, mancanza di investitori le cause sbandierate. In ordine di tempo, l’ultima sala ha preferito abbassare i battenti e cambiare destinazione d’uso pur non di non pagare l’Imu: i locali erano, e sono, della Curia. Sicché per godersi un film occorre mettersi in macchina, fare dieci chilometri e raggiungere una multisala. Stesso discorso anche per i teatri: buio totale. Gli unici due palcoscenici presenti nel capoluogo versano nella più profonda agonia, tra ristrutturazioni eterne e programmazioni saltate.
Il teatro comunale dell’ Unione è chiuso dal 2009, il San Leonardo ha interrotto la programmazione. Uno scenario globale che ha spinto un pugno di associazioni culturali a celebrare, all’inizio dell’anno, un simbolico quanto realistico funerale della cultura tra le vie del centro. Le reazioni? Titoli per i quotidiani locali e qualche proclama di maniera del Pd (sempre più marginale nel territorio nell’eterna lotta intestina tra le correnti di Giuseppe Fioroni e quella di Ugo Sposetti) ma niente di più. Le vita va avanti, e i “compro oro” aumentano a dismisura in centro. In compenso c’è Caffeina. E quindi Viva Caffeina, come urla il pensiero unico dei media locali. Un eccitante culturale che lascerà i viterbesi ancora più soli e storditi. Almeno fino alla prossima estate.