Sherwood Contests è un villaggio a un tiro di schioppo da Falmouth, il porto più importante dell’area fra la fine del 1700 e il 1800. Lì facevano il primo approdo le navi che portavano gli schiavi dall’Africa. Verdi colline, vita essenziale, case di legno parenti delle prime abitazioni degli schiavi liberati dopo le rivolte del 1832. All’inizio dell’Ottocento a Trelawny, nella cui area sorge Sherwood Contests, si contavano più di 30mila schiavi, che lavoravano nelle piantagioni di canna da zucchero. Si vive con poco: Bob Marley, reggae e andamento lento. Nella vita, non certo in pista.
Il mondo di Sherwood si accorge di Usain Bolt grazie al cricket. «Quant’è veloce», scherzava il suo primo maestro con il padre, che avrebbe volentieri legato il piccolo Usain la peste. E siccome la Giamaica sarà anche lenta ma in quanto a sistema valorizza tutti i suoi talenti, ecco l’entrata per meriti sportivi alla scuola William Knibb. «Ma io saltavo gli allenamenti, preferivo la sala giochi, un dollaro al minuto, fino a quando non finivo i soldi. Solo che una nipote di mia madre mi scoprì, lo disse a papà che mi mise spalle al muro: senza allenamento non vai da nessuna parte. Così cambiai atteggiamento», racconta il fulmine giamaicano.
Si vedeva che aveva classe. Un ragazzo onesto: «Se esistessero le medaglie d’oro per chi frequenta i party, a 17 anni me le sarei aggiudicate tutte. Uscivo all’una di notte e tornavo alle 6». Usain frequentava e frequenta molto i locali notturni di Kingston e in particolare il Quad, dove si sono svolte numerose feste in suo onore da quando è diventato un velocista di primo piano. In internet girano video su un grande party organizzato per festeggiare il primo record del mondo sui 100, il 9’72” corso il 31 maggio 2008 a New York.
È in occasione del record nella grande Mela che nacque il soprannome. La gara fu preceduta da un forte temporale tanto che la stampa coniò vari giochi di parole chiamandolo “Lightning Bolt” o “Bolt from the blue”. E pensare che era solo alla quinta gara sui 100 metri tra i senior. Una bella presentazione per le Olimpiadi. È il 16 agosto quando, correndo gli ultimi passi con una scarpa slacciata vince l’oro olimpico e porta il record a 9”69. Dopo la corsa sconvolge il sacro tempio dell’atletica. Si muove, fa smorfie, ride, fa finta di avere in mano un fucile o un arco, spara e tira frecce, finge di passarsi la brillantina sui capelli, scappa, esulta, salta, si rotola in terra, si avvolge nella bandiera gialloverde del suo paese, si toglie le scarpe, le esibisce al mondo, urla nelle telecamere: «Sono io il numero 1».
Il suo atteggiamento al Cio non era andato giù. Jacques Rogge, compassato signore belga presidente della massima organizzazione dello sport mondiale, si preoccupa degli avversari che ritiene umiliati: «Non ho problemi col suo esibizionismo: una stretta di mano o una pacca sulla spalla però sarebbe un bel gesto. Meglio anche se non mimasse di nuovo quel prendetemi se ci riuscite». Ma lui è lui, e piace così. Nasce la Bolt Mania, un brand che porterà quest’anno nelle casse del fulmine giamaicano otto milioni di dollari frutto del contratto di sponsorizzazioni firmato con la Puma.
Secondo gli analisti, il brand Bolt vale quanto Cristiano Ronaldo, il doppio di Messi e di Wayne Rooney, uno degli idoli sportivi del giamaicano. «Mi piacerebbe giocare a calcio da professionista in Europa, magari nel Manchester United. Sono un attaccante di movimento come Eto’o. Lui è più forte, ma come stile di gioco siamo simili», ha detto. E in occasione del Golden Gala di Roma, si lasciò anche andare a grandi complimenti al capitano giallorosso: «Se c’è qualcuno in particolare che vorrei incontrare a Roma? Oh sì: Francesco Totti, è un’opera d’arte italiana».
Ma il suo mestiere è la corsa, e allora eccoli i suoi record. Con quello sui 100 fanno quattro ori olimpici cui, presumibilmente, dovremo aggiungere anche quello di 200 (la sua gara preferita) e 4×100. Contro il tempo ha in mano tutto lui: 9”58 sui 100 e 19”19 sui 200 a Berlino nel 2009, 37”04 con la Giamaica (Nesta Carter, Michael Frater, Yohan Blake, Usain Bolt) a Daegu nel 2011. Mondiali dove ha vissuto la sua piccola Corea. Fu squalificato per falsa partenza, lasciando la vittoria al delfino Blake che lo ha battuto anche ai trials giamaicani tanto da pensare di poterlo impensierire a Londra. Da allora lo start è diventato un’ossessione. Ha perfino comprato i nuovi blocchi di partenza dalla Omega. Costo: 5.000 euro. «La partenza non mi fa dormire», ha sempre confidato al suo allenatore Glen Mills. «Ma che ti frega? Tu hai il resto», la replica. E ieri la risposta: «Glenn, ma lo sai che avevi ragione?». Dopo Pechino a Sherwood Contests è arrivata l’acqua calda e la strada. Ora sicuramente partirà un’altra petizione.