È da sempre il vero sport degli americani: portarti su, sempre più su e poi, alla prima occasione – se c’è l’occasione – impallinarti come un pollo. La favola bella di Lance Armstrong, l’ex ragazzo prodigio che a soli 21 anni (il più giovane della storia) si laurea a Oslo campione del mondo, e che poi si trova a combattere con un tumore ai testicoli e lo sconfigge, per poi tornare a correre e vincere la bellezza di sette Tour consecutivi, non c’è più. Dissolta nel nulla. Comunque vada a finire, oggi a livello d’immagine, per Lance Armstrong la parola fine è stata scritta.
Il Re è nudo. Dopo essersi visto respingere quattro giorni fa l’ennesimo ricorso contro l’Usada, l’Agenzia Anti-Doping americana, Lance Armstrong ha deciso di gettare la spugna, e ha reso noto che non tenterà più di contrastare le accuse rivoltegli, pur continuando a professarsi innocente. Immediata la reazione dell’Usada, il cui direttore Travis Tygart ha annunciato che chiederà la revoca di tutti i titoli conquistati dal 1° agosto 1998 dal quasi 40enne ciclista texano, compresi i sette Tour de France che costituiscono tuttora un record assoluto.
«È l’ora di dire basta – ha scritto sul suo sito il corridore – arriva sempre il momento per un uomo di dire ‘quando è troppo è troppo’. Ho dovuto sentire di aver barato e aver tratto illeciti vantaggi nelle mie 7 vittorie al Tour de France». Sul caso non si è fatta attendere la presa di posizione della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, che per bocca del presidente John Fahey ha elogiato l’operato della Usada: «Se Armstrong rinuncia a difendersi significa che le accuse della Usada hanno un fondamento. Il ritiro dei 7 Tour e delle medaglie olimpiche (Armstrong vinse il bronzo nel 2000, ndr) non spetta comunque alla mia agenzia».
A questo proposito, pronta anche la presa di posizione del governo mondiale della bicicletta, l’Uci (l’Unione ciclistica internazionale). «Secondo le regole dell’agenzia mondiale antidoping – è la posizione Uci – in assenza di un processo devono essere presentate ad Armstrong, alla Wada e a noi delle decisioni motivate. E noi le aspettiamo».
Per la serie: aspettiamo di leggere il dossier dell’Usada prima di trarre delle conclusioni, ma il regolamento parla chiaro: dopo otto anni il risultato sportivo viene omologato, cade in prescrizione, non può essere più impugnato da nessun organismo. Va detto anche che l’Usada ha giurisdizione sul territorio americano, quindi se decidesse di radiare Armstrong, il corridore potrebbe correre in qualunque angolo del mondo, purché non sia Stati Uniti. L’unico organismo che può decidere di inibirlo a vita su tutto il globo terraqueo è l’Uci, nessun altro. E sempre al governo della bicicletta spetterebbe il compito di cancellare i suoi Tour, di cui sei sono già prescritti, perché gli otto anni da regolamento sono già scaduti. Armstrong, quindi, rischierebbe di fatto solo un Tour, quello del 2005, vinto precedendo il nostro Ivan Basso, e che cadrebbe in prescrizione nel luglio del prossimo anno. Un conto è il danno d’immagine, evidente e chiaro. Un altro è il regolamento sportivo: sei Tour sono già in cassaforte, il settimo è un sub-judice.
Il punto, però, è un altro. La «favola bella» del supereroe americano malato e vinto, che guarisce e torna a vincere diventando simbolo dello sport mondiale e della lotta al cancro per milioni di uomini sparsi sulla terra, non c’è più. L’Usada ci ha privato di un sogno. Della leggerezza del sogno e dello sport. Da oggi è tutto più maledettamente complicato, cupo e complesso. Non lo vediamo solo nel ciclismo, ma nello sport tutto. Laboratori che hanno la possibilità di analizzare i campioni di sangue e urina, ma anche dei profili dei vari «passaporti biologici», per otto anni.
La ricerca del doping va avanti? Anche quella dell’antidoping non sta ferma. Il linea di principio è tutto giusto. Ma lo capite bene che l’immediatezza del risultato sportivo va a farsi benedire. Capite bene che per festeggiare una medaglia olimpica, per sapere se dietro ad una prestazione non c’era l’inganno, dobbiamo aspettare otto anni. La Wada ha fatto sapere, durante le olimpiadi di Londra, che si stanno analizzando diversi campioni sospetti dei Giochi di Pechino. I bene informati dicono che almeno cinque medaglie potrebbero cambiare padrone. Siamo al grottesco. L’urlo di gioia, l’esaltazione di massa per un risultato conseguito e condiviso con i propri campioni o beniamini, tutto deve rimanere strozzato in gola perché fino alla fine non si sa come può essere andata davvero a finire. È finita l’età dell’innocenza. «La favola bella» di Lance Armstrong non c’è più. Da oggi sarà tutta un’altra storia.
* direttore di tuttoBICI e tuttobiciweb.it