Battistoni, dagli stadi di Gaucci e Tajani alla regione di Batman

Battistoni, dagli stadi di Gaucci e Tajani alla regione di Batman

Folklore, d’accordo. Ma non solo. È il 6 settembre del 1999, nel piccolo stadio di Viterbo va in scena un affresco molto ultras della Seconda Repubblica. In panchina c’è Carolina Morace, primo (e ultimo) allenatore donna di una squadra di calcio all’esordio tra i professionisti. L’idea è di quel vulcano di Lucianone Gaucci, figurarsi.

Nella mini tribuna d’onore del “Rocchi”, seduti uno vicino all’altro, ci sono la biondissima Elisabetta Tulliani (fidanzata di big Luciano e attuale compagna del presidente della Camera Gianfranco Fini) con il fratello minore Giancarlo, subito accasatosi in società come team manager (l’altra di casa, quella di Montecarlo, verrà dieci e passa anni dopo). Qualche poltroncina più in su, vicino a Gaucci, spunta la zazzera di Antonio Tajani, già all’epoca potentissimo europarlamentare azzurro e ras di Forza Italia nel Lazio. Le cronache dicono che lui a chiamare la ola ogni cinque minuti, e i tifosi gli vanno dietro: «Olè, olè».

Tra di loro, sempre in tribuna centrale, c’è anche un altro giovanotto rampante: si chiama Francesco Battistoni, ha 32 anni e della Viterbese gaucciana è il direttore generale. Gestisce e comanda, per quanto si possa comandare dovendo rispondere a un presidente del genere. Non solo: questo trentenne con il pizzetto da moschettiere contemporaneamente è anche coordinatore provinciale di FI.La Viterbese targata Morace vince contro il Marsala (3–0): i fotografi sono tutti per lei e per l’entourage molto berlusconiano. Nelle foto di gruppo Battistoni – colui che ieri dimettendosi da capogruppo del Pdl alla Pisana ha detto di «sacrificarsi per il bene della Regione» – non manca mai. E il giorno dopo il suo sorriso compiaciuto fa capolino un po’ su tutti i quotidiani nazionali con tanto di didascalia.

Proprio come in questi giorni di scandali, ruberie e tumori da estirpare. Battistoni rimane un protagonista, il suo sorriso però ora è cambiato: in bocca ci ha scritto sfida. È lui il grande accusatore di Francone Fiorito, a cui è succeduto come capogruppo in estate, e a sua volta è accusato proprio dal Federale di Anagni di essere uno sprecone e un ingordo come tutti i suoi colleghi di consiglio. Una guerra a suon di dossier e contro–dossier. Colpo su colpo. Fango su fango. Di sicuro c’è che quando Battistoni è diventato il capogruppo del Pdl in via Cristoforo Colombo senza pensarci su due volte ha portato tutte le carte in Procura e, sapendo di avere tra le mani una bomba a orologeria ha fatto la telefonata al nume tutelare di sempre: Tajani. Che a distanza di 13 anni non fa più l’ultras allo stadio ma continua a essere europarlamentare nonché Commissario ai Trasporti per l’Unione Europea

È il gran capo dei forzisti laziali – in lotta con Cicchitto – a dire al pupillo «vai avanti, sei nel giusto, hai la mia copertura politica, con Silvio ci parlo io». Ed è sempre Tajani ad ascoltare in queste sere gli sfoghi e le giuste perplessità di un consigliere regionale rimasto impigliato in una storia più grande di lui. E ieri, il giorno della resa, i due si sono di nuovo sentiti, come sempre. Battistoni uscendo da Palazzo Grazioli dopo un incontro con Berlusconi ha spiegato alle agenzie: «Mi dimetto da capogruppo per il bene del partito e per tenere in vita la Regione Lazio». E in qualche modo Renata Polverini, quel presidente che da due anni a questa parte, da quando cioè il centrodestra ha preso il posto di Marrazzo, non lo ha mai amato. Fino all’aut aut pubblico dei questi giorni: «Via lui e Abbruzzese (il presidente del consiglio regionale –ndr) oppure mollo io». Alla fine l’unico a fare un passo indietro – e chissà in cambio di cosa – è stato proprio il consigliere regionale di Proceno, piccolo comune dell’Alta Tuscia al confine con la Toscana.

Chi conosce Battistoni sa che è democristiano dentro. Zio prete, grandi sabati sera nel mondo del volontariato, associazionismo a go–go. Tanto che dopo il liceo a Montefiascone diventa il presidente provinciale della Fuci, la federazione universitaria dei cattolici italiani. Ma per motivi anagrafici, è nato nel 1967, non si può godere i flutti della Balena bianca.
In compenso arriva Forza Italia di cui diventa dalla primissima ora – quando cioè Silvio mandava a casa a tutti i soldati il kit del bravo promotore della libertà – esponente di spicco in un’enclave conservatrice e paleo diccì con spruzzate missine come Viterbo. Francè, e non Franchino come lo chiamano in questi giorni le cronache nazionali nei ritratti, c’è sempre. Manifestazioni a Roma, iniziative nella Tuscia. Nascono i giovani di FI e lui ci si mette a capo. È scaltro. Cura i rapporti. Sa fare buon viso a cattivo gioco anche con i nemici.

Nei giornali locali è di casa. Un saluto al caposervizio ci scappa sempre. È uno soprattutto che dà le notizie – perché da pubblicista – conosce un po’ come funziona la macchina dell’informazione, soprattutto in provincia, dove il retroscena prende spesso il posto della scena. «Te lo dico, ma non sono stato io… ». E quando in piena ubriacatura berlusconiana arriva a Viterbo Gaucci per «portare questa squadra in serie A» lui c’è. Anche perché intanto Tajani – colui che poi terrà a battesimo i suoi tre figli – è diventato un amico raro. Così diventa il coordinatore provinciale del partito. Così quando c’è da completare l’organigramma di una società ambiziosa che punta, tra frizzi e lazzi, a far parlare di sé viene naturale metterci “Francè” come direttore generale.

Ma il ciclone Luciano è una parentesi destinata a sedurre e abbandonare la cittadina dei papi. In compenso Francesco nel 2000 diventa assessore provinciale. Va a dirigere l’Ambiente. Settore strategico, si parla di rifiuti, ma anche di permessi per le cave ad esempio. Nel frattempo, però, c’è da tenere salda la guida di un partito che si ingrassa a vista d’occhio: c’è tutta la cordata che fa capo a Nando Gigli, storico democristianone sbardelliano già governatore del Lazio, da tenere a bada. E lui ci riesce, seppur con l’aiuto del sodale Giulio Marini, all’epoca presidente della Provincia, poi di seguito senatore, deputato e ora sindaco di Viterbo dimissionario ma in procinto di ritornare in sella ritirando la spugna gettata. Sono anni di guerre fratricide. Nascono Forza Italia 1, quella di Battistoni e Marini, e Forza Italia 2, quella di Gigli, si favoleggia anche di una 3. Le anime inquiete si sfidano in congressi e convention che sembrano quelle del vecchio Msi, altro che nuovi linguaggi politici.

Alla fine la corrente gigliana prende armi e burattini e trasloca nell’Udc. C’è spazio per Battistoni, praterie. Ma siamo nel 2005 e si vota per le provinciali. Il partito è di nuovo diviso: due i nomi in lizza, entrambi assessori uscenti. Inevitabile spaccatura. Ma da Roma ecco l’input: il candidato alla presidenza sarà Francesco, e non Giammaria Santucci, che dopo poco per stizza andrà nell’Udc. Si va al voto. Il centrodestra alla fine converge sul ragazzo di Celleno, spuntano nuove liste di scontenti forzisti e alla fine il favorito Battistoni va al ballottaggio con il centrosinistra. Al secondo turno, a sorpresa, e grazie ad alchimie da piccoli stregoni del tandem democrat Fioroni–Sposetti il candidato dato per sconfitto, Alessandro Mazzoli, vince. Questione di poche centinaia di voti. Quanto bastano per decretare la sconfitta – a tratti storica – del grande accusatore di Fiorito. Che però non scappa, anzi. Smaltita la rabbia – in cui pensa anche di farla finita con la politica – si mette a fare il capo dell’opposizione. È il classico consigliere provinciale tutto interrogazioni e mozioni.

Nel 2010 la ruota gira. Ci sono le regionali. Per il Pdl dovrebbe essere una passeggiata di salute, prendere il posto di Marrazzo. A Viterbo si sfidano all’ultimo voto Giancarlo Gabbianelli, ex sindaco proveniente da An e molto popolare in città, e Francesco Battistoni, “lo sconfitto” che è riuscito di nuovo ad avere un altro giro di giostra. Sulla carta sembra che non ci sia storia. E invece grazie a una campagna elettorale “pancia a terra” l’outsider di Proceno conquista 9.149 preferenze contro le 8.484 dello sfidante. Un successone. Festeggiato in una pizzeria della periferia della città con una decina di fedelissimi, e con la moglie a capotavola. «Sarò assessore», dice quella sera tra una margherita e una birra.

E in fin dei conti il ragionamento ci sta tutto: Polverini in campagna elettorale ha promesso in caso di vittoria la rappresentanza in giunta dei territori. Gallone che spetta a chi arriva primo nella competizione interna. E così è seppur per poco. Gli danno l’assessorato all’Agricoltura. Questione di pochi mesi. Perché visto che il Pdl romano è stato estromesso dalla corsa – per la questione del panino mentre si presentavano le liste – l’ex sindacalista dell’Ugl è costretta a nominare quasi tutti assessori esterni. Le scelte diventano ancora più stringenti per la questione delle quote rosa, obbligatorie da statuto. Sicché nemmeno il tempo di un’estate da assessore, tra sagre e tagli di nastro, ed ecco che arriva la seconda delusione per il forzista con il pizzetto da moschettiere: per uno strano gioco di rimbalzi politici, deve farsi da parte. Al suo posto viene nominata Angela Birindelli. Un’ingegnere prestata alla politica proveniente da Bolsena, sempre nel Viterbese. È lei la “nuova assessora” all’Agricoltura, come la chiamano sulle sponde del lago.

Per Francesco c’è la presidenza dell’omonima commissione consigliare. Ma non è la stessa cosa. Perché il deluso vorrebbe – o forse così gli è stato prospettato – continuare a esercitare il proprio potere, come quando era in giunta. Ma Birindelli a fare la parte dell’Avatar non ci sta. Inizia una guerra senza quartiere. Il presidente della commissione contro l’assessore, e viceversa. Una questione politica e anche personale. Visto che i due non si parlano. Anzi si mandano cordialmente a quel paese appena spunta fuori un’occasione. La guerra diventa pesante quando Battistoni va in Procura e accusa la nemica di essere la mandante di alcune campagne stampa contro di lui portate avanti da un quotidiano locale, che godrebbe di alcuni finanziamenti (leciti) della suddetta. Viene aperta un’inchiesta e l’assessore viene indagata per concorso in estorsione.

Il caso esce dai confini viterbesi e va a finire sui quotidiani romani. Un caso, l’ennesimo. E Polverini, che dal primo momento si è schierata con l’ingegnere, tiene il punto: non la fa dimettere nonostante le pressioni che arrivano da un pezzo importante del Pdl romano (chissà quale, eh?). Ma Battistoni va avanti. E inizia a capitanare la rivolta contro Fiorito, «un capogruppo così opaco» che non riunisce mai il gruppo e quei soldi…

Con una mossa da vecchia corrente democristiana Francesco raccoglie le firme dei suoi colleghi e riesce a sfiduciare Er Batman. Nemmeno il tempo di prenderne il posto che comincia la bufera politica e giudiziaria. E questa volta non si sa come andrà a finire. A Viterbo dicono che potrebbe ripiegare sulla poltrona da sindaco, proprio contro il suo ex amico Marini, facendo forza sulla “corrente dei quarantenni”. Un’altra partita che sta per iniziare. Chissà se Tajani farà sempre la ola.
 

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