Silvio Berlusconi torna a “ruggire” e propone la sua ricetta: la priorità è abbassare la pressione fiscale, perché altrimenti non si esce dalla recessione; e la priorità della priorità è farlo abrogando l’Imu, perché la casa è il pilastro su cui ogni famiglia fonda il proprio futuro. È indubbio che, se non si riesce ad abbassare la pressione fiscale, non si uscirà mai dalla recessione. Il tema, però, oggi, si gioca tutto sul lato della spesa.
Vuoi parlare di riduzione della pressione fiscale? Devi parlare di riduzione della spesa pubblica. È chiaro che per Berlusconi, i suoi colonnelli e i suoi capitani di lungo corso è difficile affrontare il tema della riduzione della spesa. I numeri parlano chiaro e ci ricordano come durante il quinquennio Berlusconiano, tra il 2001 e il 2006, la spesa pubblica al netto degli interessi passivi sia clamorosamente cresciuta in termini reali del 16,95%, passando, in valori assoluti e nominali, dai 475 miliardi del 2000 ai 662 miliardi del 2006.
In verità, però, analoga ritrosia dovrebbero provare anche sul tema della riduzione della pressione fiscale; perché, se andiamo a scomporre gli interventi attuati mediante le tre grandi manovre finanziarie del secondo semestre 2011, di cui le prime due a cura del Governo Berlusconi e la terza a cura del Governo Monti, è agevole vedere come il 76,25% degli aggravi di imposizione determinati dal complesso delle manovre è riconducibile a quelle varate proprio dal Governo Berlusconi.
Il Governo Monti ci ha aggiunto un ulteriore 23,75% e, per il resto, ha dato soltanto triste, ma inevitabile concretezza ad alcuni degli aumenti che il precedente governo aveva già deciso, solo però con formule normative assai indefinite e, quindi, poco serie e credibili. È nella fase successiva che il Governo Monti ha mancato “in proprio”, trastullandosi per mesi su pseudo-liberalizzazioni e pseudo-semplificazioni, quando gli unici interventi risolutori erano sin dal principio quelli di ridimensionamento dello Stato, a favore di un immediato ritorno su livelli di pressione fiscale meno insostenibili.
È però “la priorità della priorità”, ossia la volontà di ridurre la pressione fiscale partendo dall’abrogazione dell’Imu, a lasciare esterrefatti. Ipotizzando anche di credere che, chi non ha mai ritenuto di provare a farlo in passato, possa davvero trovare la forza di recuperare ora qualche decina di miliardi di euro di spesa da impiegare in riduzione di imposte, come si può pensare di anteporre l’Imu agli interventi, anch’essi molto onerosi, su Iva, Irap e tassazione del reddito di imprese e lavoratori?
La sterilizzazione integrale e definitiva dei già previsti aumenti Iva costa 16 miliardi. Per abrogare l’Irap su lavoratori autonomi e imprese del settore privato ne servono circa 24. Con altri 20 si potrebbe arrivare a dimezzare l’attuale aliquota Ires a quelle imprese che veicolano oltre il 50% del loro valore aggiunto in stipendi per dipendenti e collaboratori, garantendo quindi lavoro e ricchezza diffusa.
Prima di arrivare a parlare di abrogazione dell’Imu, qualsiasi persona di buon senso, che abbia in testa la ripartenza del Paese e non la mietitura di voti, partirebbe da qui.
Cominciamo a trovare 60 miliardi di minore spesa per porre in essere questi interventi. Poi, forse, dal sessantunesimo in poi cominciamo a parlare di Imu. Non vi è dubbio, infatti, che la casa è il pilastro su cui ogni famiglia fonda il proprio futuro, ma se non si parte (e in fretta) dall’impresa e dal lavoro, avremo presto un Paese di gente che, per l’appunto, potrà solo che starsene a casa.