Buio nel grande hangar riattato a sala eventi, in quella Milano che un tempo fu industria e oggi è patria chic dei creativi. Tre schermi luminosi che propongono in grande, sullo sfondo, e in alta definizione il volto e la voce di chi parla sul palco. Mixer e regia, uno stuolo di pr, comunicatori, giornalisti e lettori, tutti tirati a lucido, nella grande sala in cui due giorni fa Lucia Annunziata ha presentato il suo Huffington Post, in una serie di interventi chiusi da Arianna Huffington in persona.
“Una bella prova di forza”, dicevano all’unisono i colleghi che, come noi de Linkiesta, sono impegnati in prima fila nelle sfide del giornalismo online italiano. Inutile nascondere che tutti quanti hanno visto il battesimo dello Huff Post italiano, il lancio online e quello off line in Via Savona a Milano, sono rimasti colpiti da una cosa: i mezzi, la solidità, un grande brand, un direttore dalla carriera importante, un sistema di relazioni da grande stampa, subito un bello slot di pubblicità pesante, con alle spalle una corazzata come Manzoni. Insomma, lo Huffington Post ha i muscoli, e li fa ben vedere. Tutto funzionava alla perfezione alla festa, mentre sul sito si vede – tutta – la lunga affidabilità di un brand mondiale che in Italia si è sposato con un gigante: e le nozze, in quei casi, non si fanno coi fichi secchi.
Non ho potuto, naturalmente, non ripensare agli inizi de Linkiesta. Un’idea nata dal basso, attorno al tavolo di una trattoria ormai tanti anni fa, e poi piano piano costruita, plasmata, decostruita e ripensata. Sempre con alcuni principi fermi: indipendenza editoriale assoluta, vocazione all’approfondimento, costruzione di una community di blogger e non privilegiando il talento e il merito rispetto alla notorietà, attenzione costante ai costi. Non ho potuto non ripensare alle lunghe riunioni, prima di partire a casa dell’uno o dell’altro. E dopo, col passare dei mesi, nella nostra redazione seminterrata.
L’altra sera ho provato ammirazione per quella grande festa, e ho respirato l’aria bella che tira quando succede qualcosa di nuovo. Ma nessuna invidia per quell’evidente di più di mezzi, né alcun rimpianto per le scelte profonde del giornale che ho l’onore e la fortuna di dirigere. Perché il nostro giornale e la nostra comunità – una comunità di diversi, di noti e ignoti, di ricchi e di studenti spiantati, di lavoratori percossi dalla crisi, ecc. – sono nati con una scomessa forte: dare spazio e voce alle notizie che altrove non trovate, raccontare il Paese reale delle aziende, delle scuole, degli ospedali che altrove è invisibile. Guardare, bilanci alla mano, il re nudo del capitalismo italiano dei salotti. E costruire attorno a sé una comunità sempre più grande di intelligenze, competenze e saperi che hanno meriti, e nessuno spazio. Con il lavoro giornalistico e con il contributo di blogger di qualità.
Siamo nati “senza star”, e questa era per moltissimi una criticità che avrebbe reso impossibile a Linkiesta di affermarsi, di farsi conoscere e farsi rispettare. Siamo nati con un gruppo di soci importanti ma senza il traino di nessuno, proprio perchè volevamo una public company e nessun “padrone”. Un anno e otto mesi dopo da quella fine di gennaio, ci confrontiamo ora con un cambio di gioco e di clima: con l’arrivo di Huffington Post, internet è riconosciutamente “serie a” anche in Italia. Già, perchè, nel nostro Paese un po’ provinciale se non arriva il player straniero, con le spalle grosse e i grandi nomi, le cose non vengono prese sul serio.
Sia come sia, da un paio di giorni la musica è cambiata. Lo Huffington Post, e la direzione di prestigio e professionalità, unite a un solido rapporto col potere politico ed economico, di Lucia Annunziata impone a tutti (anche ai più riluttanti brontosauri italiani) di guardare la realtà: l’informazione on line è una cosa seria, che merita investimenti e fiducia perchè su internet, per qualche decennio, si informerà la maggioranza delle persone, e anche e soprattutto la classe dirigente di oggi e domani.
Noi de Linkiesta ci siamo e ci saremo, e cercheremo di usare al meglio le nostre armi: la libertà dai condizionamenti, la forza di un network che parte dai nostri soci e arriva ai giovani nativi digitali (o viceversa), la curiosità per quei pezzi di Paese che tirano per tutti e che nessuno racconta, la voglia di scoprire nuovi talenti e di valorizzarli. Intanto, di tutto cuore, buon lavoro e buona fortuna a tutti.