«Se fossi Monti, la domanda che farei a Marchionne è la seguente: che prodotti vuoi fare in Italia una volta usciti dalla crisi?». Ne è convinto Francesco Zirpoli, docente di Economia e gestione aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, tra i massimi esperti di automotive in Italia. Ieri Marchionne ha rotto gli indugi sulle sue reali intenzioni, e alla vigilia dell’incontro di oggi con il premier ha scritto: «Sono sicuro che il ministro sappia che le case automobilistiche che vanno a produrre in Brasile possono accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali». Secondo Zirpoli, tuttavia, più che dagli incentivi la sopravvivenza degli stabilimenti italiani e dell’indotto dipende da quale tipologia di auto sarà fabbricata nel Paese, e con quale infrastruttura. Per quanto i volumi della nuova Panda siano stati ampi, infatti, il valore aggiunto in termini di margini è stato basso. È qui che bisogna invertire la tendenza.
Ieri Marchionne ha scritto sibillino: «le case automobilistiche che vanno a produrre in Brasile possono accedere a finanziamenti e agevolazioni fiscali». Monti concederà nuovi incentivi?
Non so quali siano i desiderata di Marchionne, certo è che quello che lui dice sul momento del mercato è un dato di fatto. Invece, sulle motivazioni per cui Fiat si trova indietro rispetto a sviluppo di nuovi prodotti ci sono questioni decisamente più complesse: lui dice che con il lancio di nuovi prodotti avrebbe profondamente disastrato i conti, senza però fornire numeri sulla sua strategia. Per Marchionne non chiudere stabilimenti è già un investimento, e lo ha detto chiaro e tondo nell’intervista a Repubblica.
La Fiat rimarrà in Italia con i guadagni degli Usa, dice Marchionne. Per quanto è sostenibile un paradigma di questo genere, se per quest’anno l’Europa costerà al Lingotto 700 milioni di euro?
Dipende dalle scelte di localizzazione dei nuovi prodotti. Sul tema gli studiosi non hanno stessa visione: chi pensa con mix nuovi prodotti si arrivi a rendere economici gli stabilimenti attuali e chi invece pensa che, nonostante un mix di prodotti adeguato, comunque non sia giustificabile la scelta di lasciare in vita gli stabilimenti attuali. Dal mio punto di vista l’aver ritardato alcuni prodotti non è deriva soltanto dalla débacle del mercato, perché se fosse questa la motivazione allora nemmeno la stima di 1,4 milioni di auto vendute sarebbe stata valida. In realtà c’è un motivo tecnico più ragionevole, ovvero che la pipeline è stata condizionata dalla messa a punto delle piattaforme comuni con Chrysler. In sostanza, il rallentamento è dovuto a una razionalizzazione della produzione. L’alleanza con Chrysler, infatti, richiede tempi tecnici per essere messa a regime. Semmai il problema è capire bene cosa sta capitando in Italia dal punto di vista del tipo di prodotti che Fiat localizzerà in futuro. Il punto è questo: con la Panda, nonostante gli ampi volumi, i margini sono bassi, e ai margini bassi corrisponde anche una catena di fornitori che produce componentistica con un costo unitario più basso. Se fossi Monti, la domanda che farei a Marchionne è la seguente: che prodotti vuoi fare in Italia una volta usciti dalla crisi?
Sempre a Repubblica Marchionne ha detto: «Sopravvivere alla tempesta con l’aiuto di quella parte dell’azienda che va bene in America del Nord e del Sud, per sostenere l’Italia, mi pare sia un discorso strategico». È un po’ vago come discorso strategico. Quali sono gli stabilimenti che manterrà?
Pomigliano, Cassino e Melfi sono sostanzialmente stabilimenti che ruotano intorno allo stesso baricentro. Una delle motivazioni storiche perché la Fiat ha aperto stabilimenti in aree diverse, al netto degli incentivi pubblici, derivava dall’idea di non concentrare produzione e massa operaia in un centro urbano a grossa industrializzazione. Fu una decisione che ebbe risvolti significativi sulle relazioni industriali e sindacali, e che faceva parte di un disegno strategico ormai non più valido. Oggi infatti gli stabilimenti sono molto più flessibili di una volta, in quanto la tecnologia consente di tenerli aperti tutti. Il problema è un altro: cosa ci metti? Cassino ospita una piattaforma, la “C”, che è in condivisione con Chrysler, tanto che la Chrysler Dart è stata la prima auto uscita su piattaforma Fiat. Peraltro è la stessa piattaforma della Giulietta. Quale sarà l’architettura di veicolo che sarà prodotta a Cassino? E quale a Melfi, per essere economicamente sostenibile? Teniamo presente che l’industria dell’auto ha una sovraccapacità produttiva fisiologica praticamente da sempre.
Il Corriere parla di una vendita di Alfa Romeo a Volkswagen, tema che ritorna periodicamente. È una mossa che aiuterebbe? E in che misura?
Mettiamoci nei panni del governo italiano, io proverei a fare come la Merkel, cioè entrerei nella negoziazione e farei un accordo che tuteli occupazione e produzione: se Volkswagen vuole Alfa allora si compra anche uno stabilimento, e questo potrebbe risolvere un problema di sovraccapacità produttiva. Nei panni di Fiat invece il discorso è più difficile, molto dipende da quanto si vuole investire nel brand. Ad esempio: qualche anno fa la Lancia in termini di tecnologia era sullo stesso livello se non addirittura migliore di Audi, ma l’investimento nel marchio, da parte di Volkswagen, è stato incredibile. Se si guarda invece ai prodotti è inevitabile osservare che Alfa vende poco e niente. Con le adeguate garanzie produttive l’operazione Alfa-Volkswagen sarebbe un bene anche per l’indotto, perché a differenza dei fornitori piemontesi o veneti, che hanno già diversificato il portafoglio clienti, quelli del centro sud non sono ancora riusciti a farlo e dipendono interamente da Fiat. Tutti questi discorsi decadono nel momento in cui Fiat deciderà di andarsene da Mirafiori, ovvero dallo stabilimento vicino alla testa pensante del Lingotto.
Perché in Cina, primo mercato Volkswagen, Fiat è assente? È possibile recuperare questo ritardo?
Ci sono motivazioni legate alle scelte di Fiat in termini di partner commerciali sbagliati. È evidente che un ingresso in Cina doveva essere accompagnato dalle istituzioni italiane in un’operazione coordinata. Negli anni ’90 Kohl era in prima persona impegnato nella promozione delle aziende tedesche industriali in Cina. Ora Fiat sta entrando con un prodotto nuovo che è la Viaggio, derivata dalla Dart a sua volta derivata dalla Giulietta, è indietro ma ha un progetto industriale serio. Tuttavia Fiat va bene in Sudamerica dove molti altri arrancano. Nel caso dell’estremo oriente, una parte di colpa ce l’ha il governo.