Lo svuotamento dei contenuti del federalismo fiscale è iniziato con l’Imu, ma il Lazio Gate potrebbe essere l’occasione per riprendere una riforma lasciata a metà. Ne è convinto Alberto Zanardi, ordinario di Scienza delle finanze all’Università di Bologna e uno dei massimi esperti in Italia di decentramento. «C’è un mismatch tra i tempi delle riforme e l’urgenza del commissario Bondi di tagliare», osserva l’economista, che ammonisce: «Necessari percorsi condivisi e non i diktat della Ragioneria generale dello Stato».
La prima voce di spesa, e di deficit per lo Stato, è quella sanitaria. Il Lazio di Franco Fiorito ha 10,9 miliardi di disavanzo ascrivibile alle Asl. Nella bozza del piano sanitario 2011-2013 si riprende la disciplina dei costi e fabbisogni standard. Come razionalizzare i trasferimenti mantenendo i servizi essenziali?
Sul fronte sanitario la riforma del federalismo ha affinato gli strumenti di attribuzione di risorse che avevano già un loro grado di adeguatezza. La sanità è tipicamente la funzione di spesa decentrata più importante. I criteri di distribuzione delle risorse sono stati criticati in passato perché sembrano richiamare criteri di efficienza mentre spesso fanno riferimento a medie abbastanza grossolane. Tuttavia la sanità è un settore dove c’è un’esperienza consolidata su come attribuire risorse a centri di spesa decentrati. Può essere criticabile anche l’addossare la cattiva gestione ai contribuenti-utenti dei sistemi sanitari regionali attraverso un aumento della pressione fiscale locale, ma in questo caso emerge con chiarezza la sanzione in termini politici agli amministratori locali. Il ministro Balduzzi, insomma, in questo comparto ha tutti gli strumenti a sua disposizione.
Il Laziogate può essere un’occasione per riprendere il federalismo fiscale svuotato dall’esecutivo Monti?
Premesso che i fatti a cui stiamo assistendo c’entrano poco o niente con la finanza locale, casomai sono materia da codice penale, molto modestamente pretenderei da una riforma della finanza locale una maggiore razionalità e trasparenza nel modo in cui gli amministratori si pongono nei confronti di cittadini, con attribuzioni chiare e non con invasioni di campo di un livello di governo sull’altro.
Significativo che la commissione federalismo fiscale della Regione Lazio sia stata una delle prime ad essere state eliminate in questi giorni. Quale agenda suggerirebbe al Governo per ridare contenuti ai decreti attuativi della legge Calderoli del 2009 costruendo un vero decentramento e non un ibrido?
Lo svuotamento è iniziato con l’Imu, che è stata anticipata ed estratta dal contenitore dei decreti sul federalismo, e poi è stata cambiata nella sostanza, perché un pezzo consistente è ritornato dallo Stato centrale. Ritengo sia ingiusto mettere sul banco degli accusati una riforma su cui, per ragioni politiche, è calata la spinta. La riforma è rimasta a metà, molto gracile e incompleta: gli sono stati tolti dei pezzi e quindi ci sono una serie di blocchi che vanno completati. Oltretutto, il loro completamento potrebbe essere una parziale risposta rispetto alle accuse che vengono fatte.
Ad esempio?
I fabbisogni standard sono un elemento di razionalità importante, per quanto sia un percorso tecnicamente complicato e difficile da comunicare. I fabbisogni standard sono completati per il 7% della spesa dei Comuni, manca il 93 per cento. Siamo all’inizio, ma al di là degli aspetti tecnici bisogna crederci. C’è insomma un mismatch tra i tempi di elaborazione e l’urgenza di Bondi, che deve tagliare. L’altro aspetto riguarda le modalità e i livelli decisionali sulla finanza pubblica, ad esempio nel coordinamento tra Stato, Regioni e Comuni sul patto di stabilità. Qui si impongono tagli dall’alto come se ci fosse uno Stato asburgico che non è coerente con una vera condivisione interistituzionale.
Come si riforma il Patto di stabilità?
Sulla questione delle regole fiscali c’è una spada di Damocle che è rappresentata dalla riforma costituzionale del pareggio di bilancio, approvata in fretta e furia e con una certa disattenzione. Oggi questa norma ha dei riflessi importanti sugli enti decentrati, perché Regioni e Comuni devono essere in pareggio, ma con forme di flessibilità orizzontale tra Comune e Comune. C’è invece bisogno di una legge organica di riforma dell’art. 81 che specifichi chiaramente e in modo condiviso le modalità di attuazione del pareggio di bilancio e i risvolti locali.
La condivisione degli obiettivi richiede tempo, che Bruxelles non ci concede.
L’Europa guarda la Pa nel suo complesso. Credo che in un sistema costituzionale dove Stato, Regione e Comuni sono sullo stesso piano i diktat della Ragioneria generale dello Stato, che indicano le voci da tagliare sui ministeri e le regioni, non vadano bene.
Il presidente di Confindustria Squinzi chiede a gran voce la riduzione dell’Irap. È sostenibile?
La detassazione del lavoro è un discorso che si fa a livello nazionale, mentre l’Irap è attribuita alle Regioni, e questa imposta va a finanziare proprio la spesa sanitaria. Ciò che è rilevante per gli enti locali è avere margini di flessibilità necessari a coprire il deficit.
Ci sono dei Pesi dai quali trarre ispirazione per un decentramento che abbia lo scopo di abbassare la pressione fiscale? E come si coniuga con le esigenze di mettere in sicurezza i conti pubblici?
Fino a qualche di tempo fa andava di moda la Spagna, adesso un po’ meno. Per affrontare il problema del riparto dei tributi alcuni Paesi hanno introdotto dei parlamentini interistituzionali dove questi aspetti vengono decisi in modo più discusso rispetto all’Italia. In Australia, ad esempio, c’è un council ad hoc. Nella riforma del federalismo fiscale era prevista una conferenza permanente per il coordinamento finanza pubblica, dove avrebbero dovuto sedere i rappresentanti delle istituzioni, ma il governo centrale non ci ha creduto, e non ha mai indicato i propri rappresentanti. Poi c’è la questione trita e ritrita della rappresentanza istituzionale, cioè il famoso senato regionale alla tedesca, specializzato nel dar voce ai territori, esattamente come il Bundesrat. Anche in questo caso, tanti annunci ma poi non se n’è fatto nulla.