Nonostante guidi la sesta compagnia petrolifera al mondo, è il manager più “green” di Piazza Affari. E quando si tratta di investire nelle rinnovabili, Paolo Scaroni, numero uno dell’Eni, preferisce affidarsi agli amici di vecchia data, molti della natia Vicenza. L’atto di fondazione della Sviluppo Energie Alternative Spa (Svea), società «dedicata ad investimenti nel settore delle energie rinnovabili», come si legge nella presentazione sul sito web, è dell’ottobre 2011. I soci fondatori sono Giuseppe Gotti, che riveste anche la carica di presidente, l’amministratore delegato Giulio Dolcetta, ex presidente della Fiamm – azienda di famiglia che si occupa della fabbricazione di batterie industriali, passato per il board di Palladio Finanziaria – il direttore finanziario Roberto Perini, l’imprenditore Italo Festa e, per l’appunto, l’amministratore delegato del Cane a Sei Zampe, che detiene il 13,5% delle quote e non ricopre cariche negli organi sociali. Stando alle visure camerali più recenti, oltre all’Eni, Scaroni è consigliere della clinica milanese Humanitas, delle Generali di Trieste e socio unico dell’Immobiliare Cortina Srl, che gestisce alcuni immobili di proprietà.
Gotti, «imprenditore con esperienze diversificate», è attualmente presidente della Sarplast Iniziative Industriali. Nel 1994 Gotti finì nel mirino dall’allora sostituto procuratore di Roma, Vittorio Paraggio, nell’ambito dell’inchiesta sulle frodi sugli aiuti della cooperazione internazionale del ministero degli Esteri. Secondo quanto emerge dall’autorizzazione a procedere contro Mario Raffaelli, all’epoca deputato del Psi, firmata proprio da Paraggio, Gotti avrebbe pagato il defunto segretario amministrativo del Psi Vincenzo Balzamo 650 milioni di vecchie lire dall’87 all’88 e altri 250 milioni «per aver compiuto e per compiere atti contrari ai propri doveri d’imparzialità inerenti la carica di sottosegretario, con riferimento alle iniziative di cooperazione» in Zimbabwe, Tanzania e Congo.
L’inchiesta portò a 44 avvisi di garanzia, uno dei quali recapitato a Paolo Scaroni, allora amministratore delegato della Techint. Raffaelli fu poi assolto, Scaroni patteggiò e Gotti fu prescritto. Gotti è poi passato indenne per il fallimento della Sarplast, nel 1997, divenuta poi Sarplast Iniziative Industriali. A Vicenza, i bene informati sostengono che sia proprio Gotti ad amministrare parte delle sostanze del top manager suo amico. Contattato più volte, l’imprenditore, impegnato all’estero, non ha dato seguito alle richieste de Linkiesta. Nemmeno il presidente del collegio sindacale della Sarplast Iniziative Industriali, Roberto Zanco, ha voluto rilasciare alcun commento.
A giudicare dagli altri investitori illustri, tra cui il presidente di Sator Carlo Puri Negri e l’amministratore delegato del broker assicurativo Aon Italia Carlo Clavarino (Puri Negri siede anche nel cda di Aon Italia), e Adriana Maltauro, dell’omonima impresa di costruzioni, Svea è un vero e proprio salottino buono. Verde, e con una mission ben precisa: «Realizzare investimenti nel campo delle energie rinnovabili, sia in nuovi impianti di produzione che in impianti esistenti, con particolare attenzione a campi fotovoltaici di circa 1 MW, a impianti idroelettrici e impianti biogas», sia come partner finanziario che come investitore di maggioranza o minoranza. Al giugno 2012 Svea controllava sei società (Wind One, Sea, Fotosintesi 5, Fotosintesi 10, Rite Alto, Hydrocad), che hanno acquisito quattro parchi fotovoltaici tra Brindisi, Lecce e Mantova, e un impianto idroelettrico in provincia di Belluno. Finora sono stati attratti 20 milioni di euro, che equivalgono a investimenti per 70-100 milioni.
E dire che nell’estate 2010, a margine della presentazione di un progetto di ricerca sul solare del Mit di Boston, finanziato dall’Eni per 50 milioni di dollari, Scaroni sosteneva che «le rinnovabili che sono a disposizione oggi non sono la risposta per il futuro: è per questo che dobbiamo studiare e investire». Detto, fatto. Anche perché il piatto degli incentivi all’energia pulita messi in campo dal ministero dello Sviluppo Economico è stato rimpinguato da 9 a 12 miliardi di euro l’anno. E un manager di Stato come Scaroni – la Cassa depositi e prestiti, controllata dal Tesoro, è il maggiore azionista di Eni con il 26,3 per cento – lo sa bene. Tanto che l’obiettivo degli investimenti fotovoltaici è per l’appunto:«Allaccio alla rete, ottenimento autorizzazioni e tariffe incentivanti». Pagati da noi.
Niente d’illegale, ovviamente. Lo conferma l’ultima relazione sulla corporate governance di Eni: i membri del consiglio di amministrazione possono detenere partecipazioni in altre società, ma non ricoprire cariche apicali. Nulla da eccepire nemmeno in riferimento alle operazioni con parti correlate. Secondo la relazione del gruppo di San Donato, infatti: «Resta ferma la previsione di un parere obbligatorio non vincolante da parte del Comitato per il controllo interno qualora l’operazione sia di competenza del Consiglio di Amministrazione di Eni. Inoltre, al fine di assicurare un efficace sistema di controllo sulle operazioni effettuate, è stato previsto che l’Amministratore Delegato renda al Consiglio di Amministrazione e al Collegio Sindacale sia un’informativa bimestrale, sull’esecuzione delle singole operazioni con parti correlate e soggetti di interesse di Amministratori e Sindaci, sia un’informativa semestrale, in forma aggregata, su tutte le operazioni con soggetti di interesse, eseguite nel periodo di riferimento».
Insomma, basta avvisare. Svea, peraltro, non figura nel novero delle parti correlate indicate nella semestrale al 30 giugno scorso (vedi pag 143). Contattati da Linkiesta, dalla società vicentina hanno preferito non rilasciare alcun commento sul nuovo parterre de roi della finanza ecosostenibile. Rimane però un dubbio: è normale che l’amministratore delegato della sesta compagnia al mondo possa investire nel fotovoltaico senza comunicarlo a tutti gli azionisti?
Riceviamo e pubblichiamo le precisazioni dell’Eni:
Caro direttore,
nel contestare il tono capzioso e inspiegabilmente malevolo della ricostruzione, fatta nell’articolo “Scaroni diventa green con gli amici di Tangentopoli”, di un’operazione totalmente legittima e già nota alle cronache (il Mondo del 9 dicembre 2011) senza alcun impatto sulle attività di Amministratore Delegato di Eni di Paolo Scaroni, ci preme precisare quanto segue.Con riferimento alla partecipazione azionaria di Paolo Scaroni in Svea non esiste alcun obbligo di comunicazione agli azionisti in quanto le due società, Eni e Svea, oltre a non essere parti correlate, come da voi correttamente indicato, non sono concorrenti. In base alla normativa interna di Eni, più rigorosa di quanto prescrive la legge, Paolo Scaroni, come tutti i Consiglieri della società, rilascia ogni sei mesi una dichiarazione che indica tutte le società in cui detiene partecipazioni e che operano in settori potenzialmente collegati agli ambiti di attività di Eni. La partecipazione in Svea viene regolarmente dichiarata (in data 17/01/2012 e 12/07/2012).
Inoltre, in base a quanto prevede il codice etico di Eni, il dottor Scaroni ha informato della sua partecipazione anche il Consiglio di Amministrazione (in data 14/02/2012) e l’organismo di vigilanza garante del codice etico (in data 26/01/2012).
Ciò chiarito, le situazioni e le paventate connessioni tra persone, procedimenti giudiziari, operazioni finanziarie e societarie descritte appaiono ricostruite in modo da indurre il lettore a convincersi che tra le persone citate si sia stabilito un sodalizio “operativo” nei fatti inesistente ma tale da gettare cattiva luce sul tema affrontato e sulle sue motivazioni.
Si consideri che si tratta di fatti accaduti più di venti anni fa.