FIRENZE – Dalla macelleria messicana della scuola Diaz alla corte di Silvio Berlusconi, sponda Milan, dove ricoprirà il ruolo di addetto alla sicurezza del club rossonero. È la parabola di Filippo Ferri, 44 anni, super poliziotto a capo della Mobile di Firenze fino allo scorso 5 luglio. Quando cioè è arrivato l’ultimo grado di giudizio per i fatti del G8 del 2001: 3 anni e 8 mesi di carcere (pena sospesa) più 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. All’epoca Ferri era il capo della Mobile di La Spezia e venne aggregato a Genova per il delicato evento.
Secondo quanto scrivono i giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni della sentenza che ha messo sotto scacco i vertici della polizia, a lui si deve imputare «l’odiosità del comportamento di chi, in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze, funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un arreso di massa, formulate peraltro in modo logico e coerente, tanto da indurre i pm a chiedere, e ottenere seppure in parte, la convalida degli arresti». In sintesi: mise la propria firma sui verbali dell’irruzione alla Diaz. Le parole della Cassazione però non gli hanno chiuso, giustamente, le porte di Milanello e di San Siro dove gestirà la sicurezza del Diavolo. Un compito delicato e strategico, lontano dai riflettori.
Ma Filippo Ferri non è un poliziotto qualsiasi incappato in una terribile e controversa vicenda. Negli ambienti che contano è un nome, anzi un cognome. In primis, è figlio di Enrico, ministro dei Lavori Pubblici negli anni ’80 e promotore del limite di 110 km in autostrada nonché già segretario del fu Psdi. Una carriera di primo piano continuata anche nella Seconda Repubblica facendo la spola tra il berlusconismo e il centrosinistra (sindaco di Pontremoli ed europarlamentare grazie a Forza Italia, poi nell’Udeur di Clemente Mestella e conseguentemente nel suo staff al ministero di Grazia e Giustizia).
Legge e politica fanno parte nel dna della famiglia Ferri: Jacopo, il fratello minore è attualmente consigliere regionale del Pdl in Toscana; il maggiore, Cosimo, è giudice presso il tribunale di Massa ma, soprattutto, è segretario di Magistratura indipendente, la corrente moderata di Anm. Filippo, nonostante il padre e i fratelli, nella sua seconda vita dopo Genova è riuscito a brillare di luce propria. A capo della Squadra Mobile della questura di Firenze, una delle più importanti d’Italia, ha seguito indagini clamorose. L’ultima è quella sulla sparatoria in Curia dell’anno scorso in cui rimase ferito don Paolo Brogi, segretario dell’arcivescovo Giuseppe Betori (ora cardinale) che si vide a sua volta puntare una pistola alla nuca. La Mobile non solo risolse il caso – arrestando un pluripregiudicato di 73 anni, Elso Baschini – ma cercò di scoprirne il movente: tanto che lo stesso Betori si sarebbe lamentato direttamente dal Papa per la tenacia dell’investigatore che non si sarebbe fatto scrupoli a intercettare i cellulari di mezza Curia fiorentina.
Equilibrato, carismatico, di poche parole, ma mai scortese: così è ricordato Ferri nei corridoi di via Zara, sede della questura fiorentina. Non mancano nel suo curriculum la soluzione di omicidi e di scottanti inchieste come quella sugli appalti di Trenitalia e sulla pubblica amministrazione. Al punto che quando a luglio il dirigente è stato costretto a fare la valigia, La Nazione non ha esitato a scrivere che «qualche nemico potente dunque se l’è fatto anche a Roma per le ricadute investigative, a Napoli». E qui si viene a un nodo cruciale: la scorsa estate la piazza che ha visto Ferri all’opera è rimasta sconvolta dalla notizia della condanna e della conseguente pena accessoria (va ricordato che per la Diaz è stato assolto in primo grado e poi condannato in secondo e in terzo). Anche Paolo Ermini, direttore del dorso locale del Corriere Sera, ha salutato così il capo della Mobile: «Per come lo abbiamo conosciuto, a Firenze ha dato prova di competenza, correttezza, abnegazione e umanità. Non basta per rovesciare un verdetto, ma può servire a fare un bilancio più equo. E per esprimergli gratitudine per come ha dato una mano a questa città. E a noi». E adesso dopo mesi di oblio torna in campo. Dietro le quinte. Al servizio del Milan, “riabilitato” da Berlusconi.