La provincia di Piacenza verso lo sbarco in Lombardia

La provincia di Piacenza verso lo sbarco in Lombardia

PIACENZA – Se ne parla, per carità. Ma trovare per strada cinque persone che la pensino uguale è difficile. Per esempio, c’è l’autista dell’autobus che afferma perentorio: «Di là dal Po non sono buone nemmeno le uova. Meglio rimanere dove stiamo e meglio che “loro” vadano a lavorare». In compenso il presidente ciellino della Provincia, Massimo Trespidi, fresco di conferenza stampa con il Forum per il sociale, rilancia con una battuta: «La famiglia Farnese all’inizio stava qui, eravamo noi la capitale, poi si spostò a Parma dopo aver subito una congiura. Beh, adesso siamo noi a voler fare una congiura all’Emilia, a partire appunto da Parma. Ce ne andiamo in Lombardia, e tanti saluti». «Macché – gli risponde a distanza il sindaco democratico di rito lettiano Paolo Dosi – questa storia della secessione è solo propaganda di un centrodestra in difficoltà. Andremo con Parma, purtroppo, ma venderemo cara la pelle».

Benvenuti a Piacenza, terra di mezzo. Ultimo lembo di Emilia Romagna in piena disfida delle province. Un risiko molto italiano (invece dei carrarmatini usano i tortelli di zucca). Sulla carta, il riordino imposto dal governo Monti lascia poco spazio alle chiacchiere: dall’anno prossimo, gradualmente, piacentini e parmigiani ritorneranno sotto un’unica insegna. Un solo ente territoriale per il remake di quello che fu il Ducato, con buona pace di campanilismi mai sopiti. Così vuole il ministro Patroni Griffi, così ha deciso anche la Regione governata da Vasco Errani. Ma è qui che viene il bello: lo scorso 24 settembre il consiglio provinciale a maggioranza (Pdl, Udc, Lega) ha deliberato il via libera alla richiesta di avviare l’iter per indire un referendum popolare. 

Il quesito: volete che il territorio della Provincia di Piacenza sia separato dalla Regione Emilia Romagna per entrare a far parte integrante della Regione Lombardia? Giovedì sera la Cassazione ha detto sì, per la prima volta nella storia d’Italia. Adesso – entro 90 giorni – il governo dovrà individuare la data delle elezioni. «L’ideale – dice ancora il presidente Trespidi – sarebbe in concomitanza con le politiche». Altrimenti raggiungere il quorum – il 50% più 1 degli aventi diritto e cioè quasi 150 mila persone – sarà pressoché impossibile. 

A dire il vero, vista l’aria che tira quando si parla di province e regioni, l’impresa sembra comunque durissima. Effetto Fiorito, anche quassù tra questi palazzetti con i mattoncini ocra. In via XX Settembre una coppia di professionisti passeggia dopo il caffè prima di rientrare in ufficio. «Noi non andremo a votare: Lombardia o Emilia non cambia niente, tanto rubano lo stesso». Populismo, demagogia, grillismo acuto? Sta di fatto che davvero in molti, qui, anche qui, la pensano in questa maniera. E se il sentimento popolare si trasformerà in menefreghismo elettorale, cioè astensione, ecco fatto che gli sforzi del presidente della Provincia saranno stati vani. 

C’è da dire che Trespidi è un bel personaggio. «Ciellino, legatissimo a Roberto (Formigoni, ndr), amante della mia terra e con le idee molto chiare. Anzi, vuole sentire la mia riforma costituzionale?». Prego. «Abolire tutte le regioni, lasciare le province storiche, unire i comuni sotto ai 5.000 abitanti». Nel frattempo sogna lo sbarco in Lombardia. Ma perché? «Noi abbiamo i piedi qui ma la testa a Nord. Tutte le mattine 9.500 piacentini prendono il treno per Milano; i rapporti con Cremona e Pavia sono ottimi dal punto di vista commerciale, basti pensare che con Lodi e Cremona facciamo parte anche di un distretto energetico».

A leggere la delibera pro referendum spuntano fuori altri nobili motivi per immergersi ancora di più nella nebbia padana: i servizi di vigilanza sul fiume Po, migliori servizi al cittadino e, udite udite, anche il casello Piacenza Nord sull’A1 che, informano dalla maggioranza, «già si trova in Lombardia (comune di Guardamiglio)» e quindi è un segno del destino. Per non parlare poi che l’accorpamento affonda in radici storiche: «Nel 1947 l’istanza fu accolta dalla subcomissione dell’Assemblea costituente», ma il colpaccio alla fine sfumò. «Non sono scuse: vogliamo parlare dell’Università?», rilancia il presidente. E in soccorso gli viene incontro anche il direttore della Cattolica di Piacenza: «Abbiamo solo vantaggi a passare con la Lombardia – dice Mauro Balordi – se vogliamo potenziare per esempio la linea ferroviaria. Per non parlare dei milanesi che apprezzano le eccellenze enogastronomiche locali. Andare con Parma significherebbe lasciare a loro lo scettro: dalla gestione dei centri direzionali alla valorizzazione del marketing territoriali, verremmo fagocitati. Finora abbiamo sempre raccolto le briciole da Bologna». Sarà per motivi politici? Trespidi sottolinea fiero di essere l’unico presidente della provincia di centrodestra in tutta la Regione («E mi faccio valere!»). 

In caso di accorpamento con la capitale grillina la maggioranza della nuova assemblea provinciale (e già si litiga se chiamarla Pa-Pi o Pi-Pa oppure ancora Terre Verdiane) andrebbe ai parmigiani. «Una iattura!», urla la fornaia vicino piazza Duomo. In effetti il campanilismo c’è ed è forte, specie tra chi ha i capelli bianchi. E chi se le dimentica, poi, le botte tra i tifosi «quando noi eravamo in seria A» o quelle tra istituti bancari quando si decise di unire le due casse di risparmio portando poi il quartier generale da «quei maledetti con l’erre moscia»? Sembra, a dire il vero, che i cugini facciano paura. Nonostante il debito monstre da quasi un miliardo di euro del Comune governato dal «marziano Federico Pizzarotti», nonostante il crack Parmalat, nonostante insomma una grandeur che non c’è più. «Ma rimane il brand», dice un manager, che vuole rimanere anonimo insieme al suo rotacismo. 

E allora sì, è meglio superare il Po, almeno per alcuni. Ma non per tutti. «La Confindustria locale la pensa come me, ad esempio», tiene a far mettere a verbale il sindaco Dosi, pacato e riflessivo. Che sotto i portici di piazza del Duomo spiega: «Premesso che era meglio abolirle tutte, le province, ora dobbiamo essere responsabili. Il ministro Griffi e il governatore Errani si sono impegnati a non ‘svenderci’ al nemico. Penso alla gestione dei centri direzionali, alla Camera di Commercio, alla Prefettura, agli uffici insomma».
Dosi è convinto che il referendum sarà un flop. «E certo: non ci sono comitati dal basso per sostenerlo, non è una questione così sentita. Un anno e mezzo fa per un referendum comunale sulla destinazione d’uso di un’area ci fu una grandissima mobilitazione e si arrivò a 30.000 votanti, troppo pochi lo stesso. Figuriamoci questa volta, su». 

E come lui la pensa anche il suo predecessore Roberto Reggi, ora agit prop di Matteo Renzi. Diversa, invece, fu tempo fa la posizione di un altro ex sindaco, ma fuori dagli schemi, come l’economista Giacomo Vaciago: «Mai con Parma, piuttosto cambio residenza». Come andrà a finire? C’è un precedente storico a favore degli “scissionisti”. Piacenza fu la prima città a chiedere l’annessione al Regno d’Italia tanto che si porta ancora dietro l’appellativo di primogenita. Sarà così anche questa volta?

Il dibattito – molto di Palazzo – viene monitorato ormai da giorni dal quotidiano locale della città. La Libertà, fondato da Ernesto Prati nel 1883 forte di una tiratura di 40 mila copie, sta spingendo la volata del referendum. Tutti i dì interventi, pro e contro, ed editoriali. Giorni fa il giornale diretto da Gaetano Rizzuto ha pubblicato anche un piccolo sondaggio (4.500 adesioni): meglio il referendum, la deroga alla provincia per motivi storici e geografici, la mega provincia Emiliana o il tandem con Parma? «Ha vinto la prima opzione», assicura un giornalista, uno dei quadri del quotidiano. Che aggiunge: «Sono pochissimi quelli che vogliono ritornare al Ducato, insomma». 

Le malelingue del Comune giustificano l’attivismo de La Libertàcome una mossa per scongiurare lo scontro con La Gazzetta di Parma, giornale più antico d’Italia e, nonostante la crisi dell’editoria, ancora una corazzata (numero di redattori alla mano, cinquanta, giusto per fare un esempio). Teoria respinta in via Benedettine: «Macché, mai un piacentino la comprerebbe, anzi siamo noi che diamo fastidio al Cittadino di Pavia spostandoci a Nord». Dimenticando che senza confini marcati chi ha più fiches può allargarsi sul mercato. 

In compenso La Libertà dà in allegato a 8,80 euro il libro Con Verdi in casa Barizzi. Ma come? «Beh, il maestro è nato Busseto, nel Parmense, ma è anche un po’ piacentino, dai…». Giusto riderci su, in fin dei conti. E a proposito: se dovesse vincere il sì come farà Crozza a imitare (il piacentino) Bersani in dialetto lombardo?