Officine DemocraticheMa cosa c’è scritto nell’agenda Monti dei prossimi tre anni?

Ma cosa c’è scritto nell’agenda Monti dei prossimi tre anni?

Per una parte dei politici e dei commentatori le elezioni sono inutili, un fastidio, tanto la traccia è già definita. Occorrerà seguire l’agenda Monti, il cui corollario logico è che il più adatto a seguirla sia Monti stesso. La domanda sorge quindi naturale. Cosa c’è scritto in questa agenda, al di là dell’ovvia necessità del rigore dei conti? Ovvia perché oggetto di un trattato internazionale e già recepita nella Costituzione della Repubblica.

Sotto la voce agenda Monti su Google esistono 9 milioni di referenze ma non l’agenda stessa. Siamo quindi andati a leggere il Def, documento di economia e finanza, recentemente aggiornato, per il periodo 2012-2015. Sono gli impegni presi con i partner europei che riflettono tutte le misure in programma ad oggi. Forse non è l’agenda, è però il risultato previsto dell’agenda del governo, così come si è concretamente manifestata fino a oggi. Si potrebbe dire che è una sorta di piano industriale dell’Italia. Certo si tratta di aridi numeri ma con un po’ di sforzo si può leggere in controluce l’immagine del Paese che il governo si aspetta (e si impegna a realizzare) nel prossimo triennio. 

Cominciamo dalla riforma del lavoro. Nel 2015 ci si aspetta una disoccupazione al 10,9 sostanzialmente uguale a quella del 2012. La riforma dell’articolo 18 non sembra quindi avere effetti sull’occupazione nel prossimo triennio, quantomeno nelle simulazioni del ministero dell’Economia. Liberalizzazioni. Si prevede una produttività stagnante con una crescita tra lo 0 e lo 0,7 per cento, ciò malgrado le liberalizzazioni che dovevano aggiungere 1 punto alla crescita del Pil e alle ormai mitiche agenda per la crescita e agenda digitale. Il risultato è che malgrado i salari siano attesi crescere meno dell’inflazione, con un impoverimento relativo dei lavoratori, il paese continuerà a perdere competitività con un costo del lavoro per unità di prodotto in crescita.

Esportazioni. Negli ultimi due anni, senza il nuovo Ice, le esportazioni sono cresciute più delle importazioni, con un gap di circa 5 punti percentuali ed un parallelo miglioramento della bilancia commerciale. Risultato ottenuto grazie allo sforzo delle nostre medie imprese, veri campioni di imprenditorialità e innovazione, ma anche grazie alla contrazione della domanda interna. Nel prossimo triennio la domanda interna resta stagnante intorno allo 0, decimale più o meno, e come potrebbe essere altrimenti se i salari si riducono in termini reali. Però riprendono con forza le importazioni, fino ad una crescita del 3,9 per cento nel 2015, quasi uguale alla crescita delle esportazioni, prevista al 4,2 per cento. Si noti poi che la crescita delle esportazioni è prevista in tutto il periodo sempre inferiore alla crescita del commercio internazionale, prevista al 6,4 per cento quell’anno. Non sembra quindi che i piani del Governo prevedano un rafforzamento della posizione competitiva del paese sui mercati internazionali, al contrario si perdono quote di mercato del commercio internazionale.

Spesa Pubblica e Tasse. La previsione è di ridurre i consumi intermedi dai 136 miliardi del 2011 ai 131 miliardi del 2015. Un taglio di ben 5 miliardi in quattro anni! Il 4 per cento! Certo non si può dire che il programma sia di ridisegnare lo Stato o di recuperare i gap di produttività accumulati dal settore pubblico negli ultimi venti anni. Non sorprendentemente l’agenda Monti non prevede riduzione delle tasse con una pressione fiscale al 44,6 per cento del PIL nel 2015, sostanzialmente invariata rispetto ad oggi. 

Deficit e debito. L’Italia ha preso in Costituzione l’impegno di pareggiare il bilancio e nel fiscal compact di pareggiarlo entro il 2013. Non sembra che l’agenda Monti preveda di rispettare questo impegno. Infatti, l’indebitamento netto, previsto al 2,6 nel 2012, scende a 1,6 nel 2013 per poi attestarsi su un deficit all’1,4 per cento nel 2015 (che, corretto per il ciclo, diviene un pareggio di bilancio strutturale, meraviglie della statistica). E il debito? Al 123 per cento del PIL nel 2015, cioè superiore al livello del 2011, che era solo del 119 per cento e solo marginalmente inferiore al livello del 2012, 126 per cento. Non sembrano riscontrarsi i benefici delle dismissioni annunciate dal Ministro Grilli. 

Il quadro che dipinge il governo è dunque chiaro. Un paese in stagnazione, caratterizzato da bassa produttività, perdita di potere d’acquisto, pressione fiscale altissima, spesa pubblica intoccabile, competitività stagnante. Un paese congelato ed in declino. L’agenda Monti 1.0 non sembra aver quindi cambiato la direzione di marcia del paese. L’agenda di un Monti 2.0 con davanti un orizzonte di legislatura, forte di una solida maggioranza politica sarebbe diversa? Potrebbe portare risultati migliori di quelli ad oggi previsti dal governo Monti? Forse ma, come dire, tutto questo è nella mente di Giove e negli articoli dei commentatori, non negli atti di Governo. 

Un’ultima notazione. Nel 2015 gli interessi passivi sono previsti pesare per 105 miliardi, con un onere medio di poco superiore al 5 per cento, su un debito di 2.065 miliardi di euro. Nel 2012, in piena crisi finanziaria e con l’incubo di perdere l’accesso ai mercati, sono previsti in 86 miliardi che, su un debito di 1.976 miliardi, fa il 4,3 per cento. Il Governo prevede quindi di pagare fra tre anni, quando presumibilmente la crisi finanziaria sarà stata risolta, un costo del debito più alto rispetto ad oggi. Sorge spontanea una domanda. Chi scrive questi piani?

Dal blog “Officine democratiche” 

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