Da oggi Matteo Renzi è più forte. Il candidato leader che anche noi, più volte, abbiamo pungolato a dire in modo chiaro quel che pensa dell’Italia, del lavoro e del futuro, è entrato dritto al cuore di una questione centrale e reale, per simbolismo storico e peso concreto. Parliamo di Fiat e di quel giudizio – preciso e tagliente – che Renzi ha consegnato agli italiani durante l’intervista con Repubblica.tv.
“Non sono io che ho cambiato idea su Marchionne” ha spiegato Renzi a Giannini che gli ricordava il suo sostegno all’ad di Fiat: «È Marchionne che ha preso in giro lavoratori e politici dicendo una cosa che non avrebbe fatto». Renzi ha detto una cosa che pensiamo in tanti, una cosa che qui su Linkiesta abbiamo documentato con costanza: Fabrica Italia non esisteva neanche prima che Marchionne ce lo dicesse; la crisi dell’auto avrebbe impattato su Fiat più che su molti competitors perché erano mancati investimenti e giuste intuizioni; Sergio Marchionne dice molte cose giuste sulla politica industriale e le relazioni sindacali, ma ha fallito la missione di un rilancio e riposizionamento industriale della Fiat.
E dunque, Renzi, mai abbastanza di sinistra per gli elettori tradizionali del Pd bersaniano, ha spiazzato tutti e rimesso al centro della scena una politica che parla dei problemi, delle speranze, delle ansie di un paese. Proprio nel giorno in cui Massimo D’Alema si trova a smentire un retroscena (davvero verosimile) sul fiele che avrebbe riversato su Renzi, il sindaco di Firenze parla come un politico che sta dentro a un paese, e non nelle stanze dei palazzi di Roma. Dice piatto piatto quello che tantissimi pensano, anche tra i politici, ma che dicono solo off the records, mentre lui lo ha detto davanti alle telecamere. Basterebbe solo questo a dare la misura di una innegabile forza. Poche parole, chiare, comprensibili e interessanti per tutti, a fronte di fiumi di tattica e di interviste incomprensibili, o di retroscena pilotati e/o smentiti, per parlare a un intero paese e, sicuramente, a tutto l’elettorato del Pd. Ma c’è di più. Perché Marchionne, con tutto quello che ha da fare, ha trovato anche il tempo di rispondergli prontamente buttandola sullo sfottò: «Renzi? Si crede Obama». Ecco la definitiva consacrazione, con un Marchionne evidentemente punto sul vivo (e forse intimorito da un politico giovane e non liquidabile come “estremista”) che gioca a ridicolizzare chi lo attacca ma senza davvero volersi (o potersi) difendere nel merito.
Ovviamente, per Renzi, questo passaggio rappresenta un salto di qualità ambizioso: perché se e quando avrà l’occasione di governare, dovrà dimostrare la stessa fermezza e lo stesso coraggio che mostrato coi poteri forti (in questo speciale elenco Fiat resta, nonostante tutto, ai primi posti) adesso, che si gioca una complessa partita elettorale dentro al centrosinistra. E tuttavia, nel coraggio che ha mostrato oggi, nella libertà che si è preso rispetto ai rituali delle prudenze e degli steccati ereditati, ha segnato un punto a suo favore, non da poco. Ha saputo parlare agli operai, agli osservatori attenti delle dinamiche industriali e sindacali, ha spiazzato la Camusso e il suo asse con Bersani, ha saputo cogliere anche una strisciante e diffusa stanchezza per il Marchionnismo che non circola solo dalle parti della Fiom, ma anche nel cuore delle élite finanziarie, manageriali e industriali di questo paese. Insomma, ha fatto un passo avanti nella strada che porta alla leadership e, soprattutto, ha sfatato un tabù che durava da troppo tempo: della Fiat si può parlare in libertà e verità. Vi sorprenderà, ma per la politica italiana che si candida a governare dal centro, è una vera e propria rivoluzione.