Vendere non basta, svendere sarebbe un danno. Dopo che la prima tornata di aste è andata deserta, il Comune di Torino da qualche ora sta raccogliendo le nuove offerte di Iren, F2i e probabilmente A2a per la dismissione delle partecipate. A Palazzo Civico le bocche sono cucite, ma la sensazione è che sui tanti dossier sul tavolo del sindaco Fassino ci siano due tipi di valutazioni, con un punto in comune: la governance, sulla quale il capoluogo sabaudo stenta ad allentare la presa.
A Torino servono 280 milioni di euro per rispettare il patto di stabilità ed evitare i tagli ai trasferimenti statali, che l’anno scorso hanno subìto una sforbiciata da 38 milioni di euro. Per evitarne una nuova, a fine 2011 il sindaco Fassino ha deciso di mettere sul mercato gli ex gioielli di famiglia riuniti sotto l’ombrello della holding Fct, il cui oggetto sociale prevede l’attuazione di «un’azione amministrativa coordinata ed unitaria per organizzare società comunali partecipate in modo efficiente, efficace ed economico». Una mission ambiziosa e impellente, visto che le casse pubbliche sono vuote e il debito ammonta a 4,5 miliardi di euro. Fortunatamente per il Comune, un po’ meno per i cittadini, rispetto al 2011 entreranno 400 milioni di euro in più grazie all’Imu, ma non basta.
Da un lato c’è una partita industriale vera, che riguarda la cessione dell’80% di Trm (termovalorizzatore di Gerbido) e del 49% di Amiat (smaltimento rifiuti). Dall’altro c’è la dismissione del 49% di Gtt (trasporto pubblico locale) e il 28% di Sagat, a cui fa capo l’aeroporto di Caselle. Qui il ragionamento è principalmente sul prezzo. Quale sia quello giusto, visto che in questi casi il mercato c’entra poco, è difficile dirlo, ma una cosa è certa: il Comune è alla canna del gas. Dunque parte svantaggiato, ma non può fare altrimenti.
Come per il Comune di Milano – domani si chiuderà il periodo di sottoscrizione delle azioni di Sea, che gestisce gli scali di Linate e Malpensa – anche a Torino in pole position c’è F2i, il fondo d’investimento infrastrutturale controllato dalla Cassa depositi e prestiti, e dunque dal ministero dell’Economia e dalle fondazioni bancarie. Per il termovalorizzatore di Gerbido e per Amiat il fondo guidato da Vito Gamberale si muove in tandem con Iren. La posizione di A2a sembra più defilata, anche se ufficialmente conferma l’interesse per le municipalizzate torinesi. L’operazione Trm-Amiat, che prevede una joint venture tra il fondo controllato dalla Cdp e l’utility del Nordovest – la quale vanta crediti per 250 milioni di euro nei confronti del Comune, che è tra i suoi azionisti insieme a Genova e Reggio Emilia – è complessa sia dal punto di vista regolatorio che finanziario, tanto sul fronte delle tariffe che del debito da 400 milioni che porta in dote Trm. Da Iren fanno sapere che l’interesse permane: l’ambiente è un business core e Torino è uno dei territori di riferimento. Tuttavia – questa la posizione ufficiosa – a un investimento industriale di questo tipo non possono non affiancarsi poteri effettivi di governance, perché «non siamo una banca». Secondo le indiscrezioni di mercato, lo sconto sulle offerte per Trm e Amiat, per le quali il Comune di Torino ha chiesto rispettivamente 150 e 30 milioni di euro, dovrebbe essere superiore al 10 per cento.
Dieci giorni fa la base d’asta per le due società che gestiscono il ciclo dei rifiuti era stata fissata a quota 172 milioni di euro. Troppi. La richiesta per Gtt è invece di 112,7 milioni di euro. In lizza anche Trenord, joint venture tra Trenitalia e Ferrovie Nord attiva nel trasporto locale milanese, che dopo avere rispedito al mittente la prima offerta ora sembra interessata. Il motivo sta nel cambiamento di governance della società deliberato dalla giunta Fassino a inizio settimana – in particolare sulle decisioni del cda, che ora necessiteranno della maggioranza qualificata (4 voti su 5), e sull’aumento del plafond di spesa a disposizione dell’amministratore delegato, da 1,5 a 5 milioni di euro – oltre a un ampliamento dei poteri tanto dell’ad quanto del presidente.
Un modo per rendere la pietanza più appetibile. Come si legge sul bilancio 2011 di Fct, «l’Agenzia per la Mobilità Metropolitana (consorzio partecipato pariteticamente al 37,5% da Comune e Regione, ndr) ha erogato il 65% dei corrispettivi dovuti, portando GTT ad una crisi di liquidità superata solo con il ricorso a nuove linee di credito».Una posizione aggravata dal bond da 10 milioni di euro emesso nel 2007 di concerto con la Fondazione Crt, azionista al 3,85% di Unicredit – recentissimo l’avvicendamento tra il presidente uscente Andrea Comba e Antonio Maria Marocco – di cui rimangono ancora 8,9 milioni da rimborsare, e che ha generato interessi per ben 150mila euro.
Gli interessi sono il motivo per cui le banche – Unicredit in primis – sembrano ben disposte a non chiudere i rubinetti nei confronti del capoluogo sabaudo. Ammonta a ben 241 milioni di euro, infatti, l’esborso a servizio degli interessi iscritto nel bilancio previsionale 2012. Una cifra allettante. Peraltro un ente pubblico non fallisce, eventualmente viene commissariato, e dunque il rischio legato all’esposizione è sicuramente inferiore rispetto a quello di un normale creditore privato. Stando al consolidato 2011 di Fct, risulta che l’esposizione a breve nei confronti degli istituti di credito sia di 200 milioni di euro, di cui circa la metà erogata da Piazza Cordusio, mentre l’indebitamento complessivo, 412,5 milioni, è il doppio del valore del patrimonio netto. Cambiano le voci del bilancio ma non il risultato: ci si indebita per ripianare i debiti.
Ieri a Roma si è tenuto anche il consiglio di amministrazione di F2i, che ha dato l’ok alla presentazione di una nuova offerta per il 28% di Sagat, la società aeroportuale torinese. Anche in questo caso la prima asta era andata deserta. La valutazione di Sagat di F2i è di 130 milioni (e dunque 36,4 milioni di euro per il 28%) ben lontani dai 210 milioni ipotizzati dal Comune, ma ugualmente distante dal valore dello scalo se fosse messo sul mercato. Gamberale – a cui brucia la minusvalenza potenziale sulla quotazione di Sea, 64,7 milioni nella parte alta della forchetta del prezzo e ben 146,52 milioni nella parte bassa – pare non abbia voluto comunque forzare la mano per ottenere uno sconto ulteriore. L’altra busta pervenuta oggi al Comune, riporta l’agenzia Agi, è quella di Sintonia, holding che fa capo ai Benetton già azionista di Sagat, che ha messo sul piatto 22,5 milioni di euro.
Originariamente, dal piano per cedere Trm, Amiat, Gtt e Sagat la giunta Fassino stimava un incasso di circa 350 milioni di euro. Una cifra difficilmente raggiungibile. Rispetto ai circa 70 milioni originari, per Sagat l’incasso, qualora venga accolta l’offerta di F2i, sarà di 36 milioni. Stesso discorso per Amiat e Trm, l’asticella si abbasserà da 172 milioni ai più verosimili 140 milioni. Esclusa Gtt, l’incasso potenziale è di 200 milioni di euro. Mancano all’appello un’ottantina di milioni, ma solo nei prossimi giorni si saprà qualcosa di più.
Un’altra strada per non svendere le partecipazioni è quella suggerita da Lo Spiffero. Il quale nota che il Comune vanta nei confronti dei cittadini residui attivi, cioè crediti, per 1,5 miliardi, derivanti in gran parte da multe non riscosse, concessioni e oneri di urbanizzazione. Basterebbe recuperarne il 20% per avere un po’ di ossigeno utile a rispettare il patto di stabilità. Contattato più volte da Linkiesta per un commento su quest’ultima soluzione, l’assessore al bilancio Gianguido Passoni ha preferito non rispondere.