«Vorremmo introdurre una tassa generalizzata sui patrimoni ma non avendo gli strumenti non vorremmo favorire l’allontanamento dei capitali». Mario Monti al Forum del Financial Times a Milano, prima apre alla patrimoniale, poi fa marcia indietro indietro attraverso una nota ufficiale di Palazzo Chigi, in cui si spiega che «dopo aver precisato di non essere pregiudizialmente contrario ad una modesta tassazione generalizzata del patrimonio, il presidente ha ricordato il contesto in cui il governo ha operato e i vincoli alle scelte in materia di imposizione fiscale, in particolare la mancanza di una base conoscitiva sufficientemente dettagliata e la necessità di evitare massicce fughe di capitali all’estero». Pietro Modiano, presidente di Nomisma (e uno dei circa 80 soci de Linkiesta), aveva lanciato l’idea già nell’estate del 2011: «Bene che Monti faccia cadere un tabù – spiega Modiano – perché in politica economica è meglio che non ci siano». Per il numero uno di Nomisma ora tocca alla politica raccogliere il testimone e trovare una sintesi sulla proposta: «La questione determinante è quanto la redistribuzione del reddito diventi un elemento forte di politica economica».
Monti ha aperto alla patrimoniale, anche se non «come premessa di futuri interventi», come precisa una nota diramata poco fa da Palazzo Chigi. Sulle pagine del Corriere della Sera lei aveva lanciato l’idea nell’estate 2011. Come vanno interpretate le parole di Monti?
Monti fa cadere un tabù, ed è sicuramente una cosa utile perché in politica economica è meglio che non ce ne siano troppi, oltretutto si dimostra un uomo capace di andare controcorrente e di far prevalere le proprie convinzioni intellettuali sul mainstream – e lui l’ha sempre fatto – come negli anni ’80, quando si discuteva di divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Ovviamente in questa fase Monti nel merito ne parla in modo molto vago, giustamente fissando alcuni elementi e lasciandone aperti altri. Ad esempio che ci sia o non ci sia, che sia una tantum o regolare e con il paletto che non venga fatta surrettiziamente e che non favorisca una fuoriuscita di capitali. Sarebbe bene, ma forse è la vera illusione, farla senza l’opposizione frontale, non dico col consenso, di quelli che ne saranno colpiti: era un po’ questo il senso del mio appello, auspicando che attorno alla patrimoniale si creasse un sentimento non negativo, a partire dalla consapevolezza di chi poi l’avrebbe dovuta pagare.
Tra le tante, sono due le obiezioni ricorrenti quando si parla di patrimoniale: la tassa deprimerebbe i consumi e stimolerebbe evasione e fuga di capitali.
L’obiezione sui consumi è seria, nel senso che stiamo parlando di una patrimoniale che, se una tantum, sarebbe nell’ordine di parecchi punti di Pil. Sarebbe un intervento senza precedenti, e per quanti conti econometrici si possano fare, la certezza che l’impatto sia limitato non l’abbiamo. La contro-obiezione è che se la tassa gravasse, come sarebbe opportuno, solo su patrimoni liquidi non verrebbe pagata attraverso il reddito, come con gli immobili, e se gravasse solo sulla parte più alta dei percettori di reddito, avrebbe un impatto di per sé limitato sui consumi. Avevamo fatto anche qualche conto: una tassa del 10% sul 20% dei patrimoni liquidi avrebbe un impatto sul Pil largamente inferiore al punto percentuale. Per quanto riguarda la seconda obiezione, dal punto di vista morale non è il massimo dire che non si può mettere una tassa perché qualcuno la evaderebbe. Bisognerebbe trovare dei meccanismi tecnici che rendono l’evasione recuperabile, ad esempio controllando i comportamenti elusivi attraverso la misurazione delle uscite che si fossero verificate all’indomani di una certa data. L’altra grande obiezione è che si tratti di un anestetico rispetto alle terapie di aggiustamento che servivano a rimettere il Paese in ordine: a un anno di distanza da allora il saldo primario della nostra pubblica finanza ha raggiunto i vertici mondiali al netto del ciclo economico, siamo tra i primi al mondo e adesso mi pare non si possa più pensare che sia un anestetico.
Come giudica la decisione di Hollande di applicare un’aliquota del 75% sui redditi superiori al milione di euro, approvata dall’Assemblea nazionale qualche settimana fa?
Rispondo che ai tempi di Eisenhower, che era repubblicano, l’aliquota era al 91%, ai tempi di Nixon al 70 per cento. È insomma una questione di mentalità prevalente, non di giustizia in assoluto. La progressività della tassazione è diventata un tabù, ma le tasse hanno per natura una funzione redistributiva.
La politica avrà il coraggio di fare propria questa proposta?
Ora si riapre il dibattito. La questione politica determinante è quanto sia importante pensare a terapie di politica economica che mettano al centro la redistribuzione del reddito, e ne facciano un elemento strategico, peraltro opportunamente, non solo sul piano dell’equità ma anche dell’efficacia anti-ciclica.
È ottimista su una sintesi della politica attorno a una proposta di patrimoniale?
L’aupicio è che la politica cominci a discuterne con serietà, poi le soluzioni tecniche arriveranno: ad esempio sulla questione della sua progressività, questione delicata visto che molti hanno patrimoni che sono dispersi in diversi conti, si possono trovare soluzioni. Per quanto complessi, i problemi sono risolvibili a patto che la riflessione sia sostenuta da discrezione, approfondimento e prudenza.