Olio d’oliva, gli stranieri vengono in Italia per imparare ad assaggiarlo

Olio d’oliva, gli stranieri vengono in Italia per imparare ad assaggiarlo

Novembre è finito ed è tempo di assaggiare l’olio d’oliva spremuto da poco. Per l’Italia si preannuncia una produzione inferiore alla media che non dovrebbe superare le 300-330.000 tonnellate, con un calo del 5-10 per cento rispetto allo scorso anno. La qualità, però, è garantita. «Il valore aggiunto del nostro olio è il forte richiamo tradizionale e culturale che solo l’olio italiano ha nel mondo», dice Marcello Scoccia, direttore della scuola di assaggio dell’Organizzazione nazionale assaggiatori olio di oliva (Onaoo). Tanto che «sempre più stranieri vengono in Italia a imparare a degustare l’olio». 

Dottor Scoccia, partiamo dal mercato italiano. Quanto olio produce l’Italia e quanto ne importa?
L’Italia produce mediamente circa 300mila-400mila tonnellate di olio in frantoio. In questo tale rientrano gli olii extra vergine di oliva, ma anche le due categorie inferiori, cioè i vergini e i lampanti. Per quanto riguarda le importazioni, importiamo circa 300mila tonnellate (400mila in particolari annate) principalmente da Spagna, Grecia e Tunisia. 

Qual è il miglior olio italiano?
La qualità si può fare ovunque si rispettino le buone pratiche agronomiche e tecnologiche. Avremo olii con profili ben distinti, ma il concetto di qualità rimane intatto. Una pratica importante per esempio è raccogliere le olive a una maturazione ottimale e nel momento in cui la colorazione cambia da verde a nero. Le olive non vanno raccolte né quando sono troppo mature né quando sono troppo acerbe. Bisogna poi tener conto del tipo frantoio e della conservazione. L’olio non deve entrare a contatto con l’aria e deve esser conservato al buio, in bottiglie di vetro scuro o taniche di acciaio inox. 

Quanti tipi di olio d’oliva esistono nel nostro Paese?
È difficile stabilirlo. L’olio d’oliva è un prodotto naturale al 100%, pertanto troppe varianti naturali condizionano il profilo finale del prodotto. Abbiamo un patrimonio olivicolo immenso, di circa 700 tipi diversi di olive. Anche se questo non significa 700 tipi di extra vergine, in quanto dalla stessa cultivar (la varietà di pianta coltivata, ndr) si ottengono profili differenti. La stessa pianta può dare olii con caratteristiche differenti. Dipende da fattori come il clima e il terreno. L’Italia ha sicuramente un vasto patrimonio olivicolo. 

Come si distinguono i sapori dell’olio?
Esiste un vocabolario specifico normato dalla legge, il regolamento europeo 2568 del 1991, che dice come si deve effettuare l’assaggio del bicchiere. È l’unica procedura di assaggio i cui parametri sono stabiliti per legge. Tra gli attributi positivi, ci sono il fruttato, l’amaro, il piccante. E poi anche il carciofo, quando si avverte il sapore della foglia di carciofo, la mandorla, la mela, l’erba. La valutazione organolettica da parte dell’assaggiatore non è obbligatoria, ma chi imbottiglia l’olio extravergine di oliva è responsabile di quello che dichiara sulla bottiglia. Ci sono laboratori di analisi apposite. Se si dichiara il falso, si incorre in sanzioni penali. 

Quale formazione offrite agli assaggiatori?
Quella della nostra associazione è stata la prima scuola al mondo, nata nel 1983. Abbiamo 500 iscritti come soci. Nel corso degli anni abbiamo formato 20mila assaggiatori. Teniamo corsi sia in Italia sia all’estero. E negli ultimi anni abbiamo una grande richiesta soprattutto da parte di stranieri, dalla Cina al Sud Africa, che riconoscono a noi italiani tradizione e qualità. A seguire i corsi non sono solo produttori di olio, come l’anziano giapponese di 86 anni che ha partecipato al nostro ultimo ciclo, ma anche professionisti di altri settori che sono curiosi e appassionati, dal dentista al commercialista. 

In Italia, però, la cultura dell’olio non è così diffusa come quella del vino. 
Sì, c’è una carenza soprattutto nella ristorazione. C’è la carta dei vini che ti consiglia quale vino abbinare con il cibo, ma non c’è la cultura di abbinare anche gli olii. Certo non siamo per il carrello di trenta olii diversi, che restano aperti per mesi e mesi e finiscono per peggiorare in termini qualitativi. Ma chiediamo che ci sia almeno una bottiglia di olio dolce, una di medio fruttato e uno di intensità elevata.

Marcello Scoccia

Quali sono gli abbinamenti giusti?
Prendiamo ad esempio una qualità taggiasca ligure: può essere usata come condimento che non copre tanto il sapore del cibo, ma solo come accompagnamento, ad esempio, per un pesce lessato. Un tonno dal gusto più forte, invece, è da accompagnare con un olio siciliano Nocellara del Belice. Una bruschetta, un piatto di legumi e i bolliti si accompagnano a olii amari come la coratina di Andria. 

Quale etichetta garantisce la provenienza italiana delle olive?
L’etichetta 100% italiana garantisce con sicurezza la provenienza italiana dell’olio, a meno che non ci sia una frode dietro. Solitamente, invece, si trovano miscele di olii comunitari. Poi ci sono i dop, denominazione di origine protetta, adottata per l’olio ligure e siciliano, e l’igp per il toscano. 

Quali sono i parametri per stabilire  la qualità?
I parametri sono il grado di acidità, il numero di perossidi (quantità di ossigeno già assimilata dall’olio, ndr) e poi il test da parte del panel di assaggiatori. Poi ci sono altri parametri che accertano la genuinità, cioè che l’olio d’oliva non sia stato contaminato con altri olii di origine vegetale. Oggi ci sono buoni laboratori e l’olio è più controllato. 

Quali sono le fiere più importanti nel settore?
In Europa c’è la fiera di Jaen in Andalusia. In Italia a Verona nel corso del Vinitaly c’è il Sol dedicato all’olio. Intorno a questi eventi c’è un certo interesse, ma più che le fiere quello che attira molta gente sono le giornate a tema, dove c’è un po’ di tutto, come l’Olio Officina che ci terrà a Milano nel 2013. 

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