Addio margherita e napoletana, la pizza diventa gourmet

Ogni giorno un milione e 800mila persone la consumano

Più pericoloso riscrivere il mito di Garibaldi, demolire il Festival della Canzone di Sanremo o ridiscutere la pizza? Per gli appassionati di uno dei pochi simboli – non solo gastronomici del Paese – sicuramente il terzo tentativo è quello che più indigna e suscita reazioni. Del resto non è solo questione di pancia e palato. Secondo la Fipe – Federazione italiana pubblici esercizi – in Italia sono attive 25mila pizzerie con il servizio al tavolo, più o meno un quarto dei locali in totale. Solo queste fatturano 5,3 miliardi di euro all’anno, dando lavoro a circa 150.000 persone.

Se aggiungiamo il numero delle pizzerie al trancio o take away che dir si voglia e dei locali etnici dove – orrore per i puristi – si servono “Margherite” insieme a kebab o involtini primavera, c’è da perdere il conto. Comunque sia, pare che ogni giorno ci siano un milione e 800mila persone che consumano una pizza rotonda o al trancio. La vera sorpresa è che di fronte al pericolo di imbarbarimento della cara vecchia Napoletana o Quattro Stagioni, non è che si lavora per difenderla – tanto è vero che non esiste una sola catena italiana seria nel mondo – ma avanza la filosofia opposta: quella della pizza gourmet che per lavorazione e interpreti appare (in parte lo è) un’antitesi.

Uno dei maestri è Massimiliano Alajmo, grandissimo talento de Le Calandre, che non si nasconde dietro un dito. «Bisogna rompere gli schemi della pizza, per me è un disco su cui posare gli ingredienti che devono essere di qualità eccelsa. Con il mio sistema non si può imbrogliare». Il sistema, presentato all’ultima edizione di Identità Golose si basa su cotture a vapore in due o tre fasi e un forno speciale. Per ora se lo possono permettere solo gli Alajmo che gestiscono il loro impero di locali nel Veneto con un socio come Palladio Finanziaria.

Il risultato è un impasto croccantissimo all’esterno e morbidissimo dentro – molto digeribile – che può essere farcito o fare da base per gli ingredienti, tutti di livello come lo è la farina classica o integrale. Altro profeta della pizza gourmet è il veronese Simone Padoan che ha fatto di un’abitudine – quella di assaggiare la pizza degli altri commensali – una regola del suo locale Ai Tigli di San Bonifacio: ciascuno ordina una pizza (mai banale) e lui le mette in scala, servendole dalla più delicata alla più gagliarda ma soprattutto tagliate a spicchi.

In pratica, siamo alla degustazione per l’intero tavolo, sogno di ogni chef. La fama guadagnata dalla new age pizzaiola ha messo in subbuglio chi sulla tradizione ci campa. Unite il fatto che nell’ultima Guida del Gambero Rosso, sul podio c’erano appunto due locali di Roma (Fucina e Sforno), uno a Caiazzo (Pepe) e quello di Padoan, ecco che si spiega la rivolta dei napoletani con l’immancabile contorno di polemiche e un’ampia dose di razzismo culinario e politico, da entrambe le parti.

«Tra poco ci diranno che la pizza non l’abbiamo inventata noi», è il commento amaro di Gino Sorbillo, forse l’ultimo maestro in quel di Napoli. Ma forse, più che prendersela con capitolini e nordestini, si dovrebbe chiedere se il Manifesto della Pizza Italiana – stilato all’ultima edizione di Pizza Up, chiamamoli stati generali dei pizzaioli – difenda il presente o punti di più al futuro. Forse sarebbe il caso di codificare quella classica una volta per tutte. Di certo, il meccanismo attira sempre di più, non fosse altro che in tempi di crisi è più facile mettere d’accordo tutti in pizzeria che all’osteria chic.

Un altro esempio? Tra breve, sotto la Madonnina, aprirà un secondo Pisacco proprio di fronte al primo che in via Solferino ha conquistato il pubblico “colto” per la sua proposta culinaria: semplice, curata e soprattutto low cost rispetto alla cucina alta. Bene, sapete quale sarà uno dei punti fermi dell’offerta? Pizze gourmet, studiate da Andrea Berton, l’ex-chef dello stellato Trussardi Alla Scala e tra i soci del locale. Fermo restando che l’avanguardia ha i suoi diritti e i suoi meriti (per carità), noi temiamo che la nuova tendenza si trasformi in una manovra più furbetta che occulta. Se vogliamo simile a quella che sta trasformando l’hamburger in un piatto nobile, ben lontano dall’abituale X-burger di McDonald. A Milano, capitale dell’hamburger gourmet, il ticket viaggia ormai sui 15 euro e oltre. Ora sapendo che lo scontrino medio (sempre dati Fipe) di una pizza classica con bevanda si aggira sui 10 euro non è che…

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