Due mesi senza Linus, dopo 48 anni di storia. Uscirà di nuovo a luglio, senza cambiamenti in redazione, e forse il numero previsto per giugno vedrà la luce online. Intanto, non trovare la rivista in edicola ha fatto sentire improvvisamente orfane parecchie persone.
Linus ha una storia affascinante, che nasce dalla curiosità di alcuni borghesi progressisti nella Milano dei primi anni Sessanta. Stiamo parlando di una coppia di intellettuali, Giovanni Gandini e sua moglie Anna Maria, fondatrice della libreria Milano Libri (dal 1962 in via Verdi, accanto alla Scala), con i loro colti amici, avidi delle novità artistiche in arrivo da fuori. E conquistati dai “Peanuts” di Charles Schulz (peraltro già importati in Italia, su Paese Sera, con i nomi dei personaggi tradotti) al punto di spingere la libreria a diventare casa editrice per stamparne le strisce in volumetti. E, visto il loro successo, di ideare un periodico incentrato sulle strips.
Il primo numero di Linus (con l’omonimo personaggio in copertina), “rivista dei fumetti e dell’illustrazione”, vede la luce nell’aprile del 1965. Per la testata è scelto un font essenziale, modernissimo ancora oggi. A pagina 1, un Umberto Eco poco più che trentenne intervista Elio Vittorini (che aveva inserito delle strip nelle pagine del suo Politecnico) e Oreste del Buono (presto noto a tutti come OdB) su «una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown». «Era la prima pagina di una rivista nuova, uno dei tre o quattro momenti di editoria italiana di questo secolo», dirà con orgoglio Gandini vent’anni dopo.
Primo numero di “Linus”
Cos’ha di nuovo Linus? Primo: «Rivaluta il fumetto come strumento intellettuale, con cui lanciare messaggi, fare arte e politica. Non più soltanto un mezzo di massa», spiega il sociologo Fausto Colombo. Il concetto di fumetto d’autore era per noi inedito. Secondo: «Guardando alla cultura americana, contribuisce ad aprire quella italiana al mondo». L’Italia di allora era ancora in gran parte autarchica: basti pensare alle tante canzoni straniere arrivate nei juke box con testi riscritti in italiano.
Su Linus invece non si usano adattamenti, si traduce con competenza e Charlie Brown rimane tale. A proposito, perché Linus e non “Charlie Brown”? La risposta è sempre a pagina 1: «Perché Linus, partner e antagonista di Charlie Brown, è un personaggio pieno di fantasia (anche grafica: disegna nell’aria!), è simpatico e ha un nome facile da dire e da ricordare». Descritto così, viene quasi da pensare che Linus sia stato scelto per somiglianza con Gandini, uno snob pieno d’ironia, convintissimo del potenziale creativo dell’ozio.
Il direttore-editore ama le strisce made in Usa (“B.C.”, “Pogo”, “Popeye”, “Krazy Kat”…) ma, per quanto illuminato, non si appassiona ai fumettisti italiani: pubblica solo alcuni amici suoi. Come Guido Crepax, che inizia una storia già nel secondo numero. La ragazza del protagonista si chiama Valentina. Da personaggio secondario diventerà una celebrità internazionale. Ma per Gandini e i suoi, le idee e gli stimoli dei comics stranieri sono tanti. Il solo Linus non basta e quasi subito viene affiancato da supplementi. Per la prima volta in Italia, ecco star come i supereroi Marvel, Asterix, Tintin. Nel 1967, spinto – tra gli altri – da Oreste del Buono, esce Ali Baba, dedicato all’avventura e alle avanguardie. Dura pochi numeri, ma lascerà tracce nel Linus del futuro, quando Gandini avrà passato la mano, nonostante il giornale vada bene e talvolta superi le centoventimila copie. Tanti giovani vogliono scoprire creazioni poco convenzionali, e Linus fa al caso loro.
Nel 1967, su spinta daiOreste del Buono, esce “Ali Baba”, dedicato all’avventura e alle avanguardie
“Valentina” di Crepax
Tra i collezionisti del mensile ci sono «molti degli scrittori, registi e, va da sé, illustratori e fumettisti che esordiscono nella seconda metà degli anni Settanta», ricorda Alberto Saibene introducendo le Storie Sparse di Gandini (ed. Il Saggiatore). Ma il fondatore comincia a stancarsi. Non si sente più libero come agli esordi, teme le perdite economiche e decide di vendere. Non se ne occuperà mai più. «Linus era diventato un oggetto diverso da quello che pensava», spiega Paolo Interdonato, esperto di fumetti, titolare del blog Spari d’inchiostro. Non abbastanza giocoso, «forse addirittura più vicino a OdB che a lui stesso».
L’affare va in porto con Rizzoli. Anche Del Buono ha una quota di minoranza: è l’unico che a non venderla. E diventa direttore. È il 1972. A questo punto, addio snobismo. «Del Buono leggeva tutto con lo stesso interesse. Riassumeva cultura alta e cultura bassa. E il suo Linus era così», dice Colombo, sottolineando un approccio che ha fatto cambiare faccia all’industria editoriale italiana.
Ora su Linus trovano spazio i tanti interessi che non fanno dormire Odb più di due ore a notte. I lettori vengono, in buona parte, dall’Italia della contestazione. Nelle pagine compare la satira, l’attualità fa capolino in articoli e storie disegnate, si parla di politica (che Gandini teneva fuori, anche dopo il ’68), si discute sulla letteratura di genere. Così, secondo Colombo, Linus diventa «il grande giornale degli intellettuali di sinistra. Con una dimensione ludica necessaria in un contesto altrimenti serioso». E con la porta aperta per giovani collaboratori destinati a diventare, qualche anno dopo, firme note (un nome tra tanti: Paolo Mereghetti).
Ovviamente, anticonformista com’è, anche del Buono tratta i migliori autori di fumetti come se fossero scrittori di primo piano. Sulle pagine della rivista arrivano i giganti dell’epoca, a partire da Hugo Pratt con Corto Maltese. E dal 1974 parte AlterLinus (poi diventerà Alter Alter), casa dell’avanguardia come anni prima Ali Baba. Dentro ci sono la fantascienza di Moebius, il realismo allucinato di Sergio Toppi, l’erotismo di Pichard, il «nero sporchissimo» (definizione di Interdonato) dell’Alack Sinner di Munoz&Sampayo. E i lucidissimi deliri di “Pentothal” (1977), opera prima di Andrea Pazienza, genio destinato a precoce morte e (non sempre onesta) mitizzazione.
La copertina dedicata al referendum sul divorzio
La copertina con “Corto Maltese”
“AstreLinus”
Poi, per entrare negli anni Ottanta, Linus cambia veste e si fa tascabile. Il pocket guadagna subito popolarità. Ancora una volta, l’ormai leggendario Odb ha visto giusto. Quel che non può prevedere è l’esplosione dello scandalo P2 ai vertici della Rizzoli. Disgustato, non ci pensa un minuto a fare le valigie.
Da allora è un’altra storia. Nella società, l’attivismo di sinistra del decennio precedente comincia ad attenuarsi. Con Fulvia Serra, a capo di una redazione tutta femminile (altra idea di OdB), salgono alla ribalta i disegnatori satirici, da Staino a Panebarco, da Altan a Vauro e Vincino. Linus può ancora vantare grandi firme come Goffredo Fofi e Nanni Balestrini. O collaboratori di valore come Enzo Baldoni, traduttore di Doonesbury. Ma deve lanciare un’inchiesta per capire chi sono “i ragazzi dell’‘85”. In più, nota Interdonato, «i grandi autori ci passano ormai marginalmente», e si fa strada, secondo vari osservatori, una certa noia. Con alcune eccezioni. La più importante: la prima pubblicazione al mondo di “Maus” di Art Spiegelman (dopo le edizioni autoprodotte), pietra miliare del graphic novel.
Con gli anni Novanta, Linus viene venduto a Baldini e Calstoldi, e ritorna in scena Oreste del Buono. È parente dei Dalai, titolari della nuova casa editrice. Ma lui ha un’altra ragione: «Linus è la cosa più bella che abbia mai fatto». Il formato è tornato grande, Snoopy e Doonesbury sono sempre lì a fare da marchio di fabbrica. Ancora qualche soffio di novità, poi il giornale ritorna fin troppo fedele a se stesso, un po’ come negli anni Ottanta. Charles Schulz muore nel 2000. Tre anni dopo se ne va OdB.
È un’altra epoca, i lettori sono dieci volte di meno che nei decenni passati. Restano i fedelissimi ma invecchiano, mentre i giovani seguono altri interessi. Ma il marchio resiste. «Linus ha un merito storico», afferma il professor Colombo: «Ci ha fatto conoscere Schulz, il Dickens del secolo scorso». Peccato che non abbia intercettato i fenomeni più recenti del fumetto, le narrazioni verticali nate su internet, come quelle di Zerocalcare. Anche l’editore ammette che il posto di Linus è nella memoria. Del resto, gli anni della fondazione sono ormai mitologia: «Anche per noi che li abbiamo vissuti», ricorda la signora Gandini. «Ci divertivamo come pazzi. Si lavora meglio, col divertimento». Probabilmente, la pensano così anche due o tre generazioni di lettori di Linus.
La redazione di “Linus”
Twitter: @galbusang