Tuonano e scalciano, annunciano sfracelli, sfidano il salotto costituito e il suo potere parruccone, e poiché le risorse finanziare ovviamente non gli fanno difetto, allora si circondano pure d’intellettuali, di giornalisti amici, di consiglieri e bru-bru, distruggendone spesso la carriera, perché imprimono su di loro il marchio di portaborse, senza la levità che aveva Gianni Agnelli, l’Avvocato che riusciva a far splendere di luce riflessa anche i brocchi, mentre loro rendono brocchi dei cavalli che splendevano di luce propria. Così li invitano in villa e poi in montagna a sciare, a Natale e a capodanno, per discutere di straordinari orizzonti, per disegnare nuove architetture, grandi acquisizioni e rivolgimenti nel paese lento e fradicio che loro vogliono sempre scuotere e sempre risvegliare. Una flûte di Christal e un sogno di gloria, annegano il mondo nelle bollicine. E dunque si sottopongono a ogni genere d’analisi del sangue politico e imprenditoriale, si fanno istruire e studiano un po’, parlano in pubblico e si mostrano in televisione, occupano una poltrona nel teatro di Michele Santoro, d’altra parte la loro anima liberale geme a sinistra, e dunque faticosamente si consegnano alle tac ideologiche e alle risonanze culturali, parlano di progresso e di sviluppo, di concorrenza e di merito, vagheggiano conquiste, scalate nelle vette più alte e ambiziose del potere italiano.
E poi? E poi niente. Amici, soci e gemelli d’Italia, loro sono “i ritirati”: quello che prometteva di conquistare la politica e di travolgere la palude ma non si è mai nemmeno candidato, e quello che voleva controllare il Corriere della Sera, ma renitente si è fatto superare dalla Fiat e da John Elkann, dopo aver perso La7, e anche le Generali da cui pure aveva cacciato il potentissimo Cesare Geronzi. E insomma Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo visti da lontano sembrano fratelli, indentici per indole e destino, ma poi come sempre capita, quando ci si avvicina le differenze sono invece enormi. Se non altro perché Della Valle, che pure non riesce a sfondare nell’editoria e nel potere vero, è uno degli imprenditori più efficienti e produttivi d’Italia, padrone di un marchio, Tod’s, invidiato nel mondo, belle scarpe e una gestione intelligente; mentre l’altro, Montezemolo, vende più che altro polvere di simpatia, che sarà anche simpatia, ma è pur sempre polvere.
Negli ultimi anni Montezemolo ha speso dei soldi, ha speso il suo nome, ha speso del tempo, ha messo in moto la sua non indifferente macchina di relazioni, ha costruito una squadra di professori intorno al think tank ItaliaFutura, ha fatto tutto ciò che è lecito immaginare debba fare un membro dell’establishment, per quanto incerto e soffice, che voglia preparare una sua entrée charmante in politica; ma alla fine, malgrado gli sforzi, l’uomo dell’establishment ha invece scelto di non esserci. E così a gennaio, dopo dieci anni di soldi e di lavoro spesi per curare un profilo e un progetto da riserva della Repubblica, Montezemolo confessò agli amici il sollievo che provava improvvisamente a non doversi candidare alle elezioni del 24 e 25 febbraio 2013, «sono sollevato, come se avessi fatto quattro figli in una sola volta. Una sensazione incredibile, mi sono sgravato di un peso che mi toglieva il sonno». E allora come oggi, fu Della Valle a raccogliere quei sospiri, a dargli una pacca sulle spalle, e a condividere con lui il conforto dello scampato pericolo: «E’ meglio così, ci avrebbero messo poco a distruggerti». E dunque nelle incertezze dell’uno sembra di riconoscere quelle dell’altro, entrambi hanno sempre traccheggiato nel gioco grosso, promesse eterne mai mantenute.
Ma certo Della Valle, a differenza dell’amico, non ha ancora mai avuto in mano niente, al di là delle sue aziende di successo. Sempre sul punto di conquistare, non ha mai davvero maneggiato ancora nulla delle delizie che adornano il grande ritrovo del potere editoriale e politico d’Italia, mentre Montezemolo negli anni è stato coinvolto in mille faccende, e ha giocato ogni gioco possibile, dal destino buio della Fabbri, che è finita com’è finita, alla Cinzano, fino alla gestione non sempre brillante ma spesso allegra della Stampa di Torino. Dunque incompiuti e ritirati, sì, ma diversi, l’elegante e l’arruffato, l’imprenditore di sorrisi eterei e il venditore delle magnifiche scarpe e dei cappotti Fay. Della Valle non è riuscito ancora ad afferrare e mordere la mela, ed è finora sempre esploso come un petardo nel salotto dei poteri più antichi e sedimentati del paese; scoppi improvvisi intorno alle televisioni che furono di Telecom e ora appartengono a Cairo, nel mondo della grande finanza, nel salotto delle Generali e poi dentro Rcs, nel sancta sanctorum del padronato italiano, dentro il patto di sindacato che regge i destini confusi del Corriere della Sera, dentro il piano industriale della famiglia Agnelli che per lui è «da gettare via», «date il controllo a me». Can che abbaia e non morde mai, quello di Della Valle è lo stesso carattere pirotecnico che viene fuori dal suo modo di vestire, tutto impeti e scatti. Così diverso dalla furbizia fatua e dalla riga perfetta dei pantaloni di Montezemolo, il signor Tod’s indossa colori sgargianti, fazzoletti, foulard, decine di bracciali di stoffa al polso, un’estroversione persino eccessiva, come quella di Totò imperatore di Capri, eppure intimamente solida, perché lui non è un manager della comunicazione o un venditore di simpatia come l’amico, e perché solido e non macchiettistico è il suo impero, come sonanti sono pure i denari che generosamente Della Valle vorrebbe far accettare al comune di Roma e allo stato italiano per la restaurazione del Colosseo, prima grande opera d’antico mecenatismo e moderna sponsorizzazione pubblicitaria.
L’uno è dunque tutto nervi e spasmi, guerre promesse ma mai dichiarate, mentre l’altro è la versione corrente e italiana del “vorrei ma non posso”, che poi in lui diventa “potrei ma non voglio”, “armiamoci e partite”… come quando convinse tutti che avrebbe fondato un suo movimento politico, che era cosa fatta, e allora i suoi amici si riunirono, cominciarono a telefonarsi, e sembrava davvero tutto pronto: «Ma Luca dov’è?»; «Sta facendo i bagni in un atollo». La soluzione sarebbe se di due incompiuti se ne potesse fare uno solo, se cioè Della Valle e Montezemolo si potessero fondere in un’unica personalità, così Montezemolo sarebbe un grande imprenditore e Della Valle un uomo elegante…
Twitter: @SalvatoreMerlo