Ricchione, checca, frocio, culattone, finocchio. Nella lingua italiana esistono almeno cinque modi per insultare un uomo per il suo orientamento sessuale. E per le donne? Sembrerà strano, ma anche l’assenza di insulti da rivolgere a una lesbica può dirci qualcosa. Magari, che “le lesbiche non esistono”, come recita il titolo provocatorio di un documentario realizzato da due giovani registe toscane, Laura Landi e Giovanna Selis, sulla condizione delle donne gay in Italia. O meglio, le lesbiche esistono ma sono invisibili. Fanno fatica a fare coming out, hanno pochi riferimenti al cinema o in tv. E, se proprio si deve fare una copertina di giornale sul mondo gay, meglio mettere due uomini che si baciano o si tengono per mano. Due donne, neanche a pensarci.
«La coppia omosessuale maschile è più visibile e sdoganata», dice Laura Landi. «Due uomini che vivono insieme nell’immaginario comune sono per forza gay, magari anche quando non lo sono. Due donne che vivono insieme spesso sono viste come “coinquiline”, anche quando non lo sono affatto».
La copertina di Panorama del 19 giugno 2013
LE PAROLE SONO IMPORTANTI
«In Italia di lesbiche non si parla proprio», continua Laura Landi. «Spesso anche solo il termine suscita reazioni ostili». E a volte sono le stesse donne omosessuali a odiare questa parola, che nell’uso comune ha assunto per lo più un’accezione negativa. Che derivi dall’isola di Lesbo, dove aveva vissuto la poetessa Saffo, si sa. Quello che non si sa è che all’inizio la parola lesbica venne usata in senso dispregiativo. Poi con la Psycopathia Sexualis di Richard von Krafft-Ebing di fine Ottocento, che considerava ancora l’omosessualità una malattia, si moltiplicarono i termini per definire le lesbiche: saffiche, urninghe, tribadi. Ma non entrarono nell’uso comune. E solo in un lavoro psichiatrico di inizio anni Settanta (Charlotte Wolff, Amore tra donne) per la prima volta le donne attratte da altre donne non vennero viste come portatrici di patologie.
Il termine ha mantenuto però un alone negativo. «La donna molto spesso è identificata come moglie e madre, la donna lesbica scardina questo meccanismo», continua Landi. «Anche se in realtà una lesbica può benissimo essere moglie e madre, ma il fatto di non essere moglie di un uomo o di non vedere la partecipazione di un uomo nel concepire un figlio spaventa ancora molto. E le cose che spaventano vengono esorcizzate anche così». L’assenza di insulti lo conferma: «L’insulto, per quanto negativo, implica un prendere in considerazione l’altro. Il silenzio nel dizionario, anche degli improperi, è sintomo di un’identità negata, nascosta. L’omofobia comincia dalla negazione, con una pericolosa tendenza al silenzio».
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Solo col tempo il termine lesbica è diventato motivo di orgoglio e rivendicazione della propria identità sessuale. «È come la differenza “cana” e “cagna”. Non c’è niente di male a dire “cagna”, ma questo termine ha assunto nel tempo un significato negativo», spiega Eleonora Dall’Ovo, conduttrice de L’Altro martedì, storica trasmissione (da 33 anni) di informazione omosessuale e transgender di Radio Popolare. «Lo stesso vale per lesbica: la lesbica è qualcosa di negativo perché rompe l’immaginario patriarcale, è una che va con le donne e non con gli uomini. Ma, in fondo, è l’unico termine italiano che identifica un omosessuale senza insultarlo. Gli uomini hanno preso dall’inglese il termine gay, ma non esiste una parola neutra per identificarli. Io invece dico: “Sono lesbica, non lesbian”».
LE LESBICHE ESISTONO E FANNO SESSO
Come molte delle cose che riguardano le donne, anche le lesbiche restano nella penombra. Tra la difficoltà di venire fuori e il silenzio generale. E le figure di riferimento sulla scena pubblica sono poche. «Non è vero che le lesbiche non esistono», controbatte Dall’Ovo al titolo del documentario, «ci sono molte associazioni di militanti che lavorano da vent’anni sulla visibilità. La verità è che le lesbiche danno fastidio, sono donne che vanno con altre donne, che esaltano la libertà sessuale della donna. E così vengono discriminate due volte: come donne e come lesbiche».
E anche del sesso tra lesbiche si parla poco. Le pellicole che raccontano di donne che amano altre donne sono poche, e quasi tutte straniere (vedi Mulholland Drive di David Lynch o Black Swan di di Darren Aronofsky). Né esistono film erotici o porno, «se non quelli fatti per il piacere maschile. Al massimo, se li trovi, è perché sono fatti da registe lesbiche». E si conoscono poco anche le pratiche. «Anche se negli ultimi anni c’è una maggiore apertura. Si dice finalmente che si va oltre lo sfregamento dei genitali e le carezze, e c’è meno paura di dire che si possono anche usare sex toy come i dildi».
ESISTE IL MASCHILISMO NELLA COMUNITÀ GAY?
La storia del movimento lesbico italiano comincia nei movimenti femministi. Alla fine degli anni Settanta le lesbiche che avevano militato nei collettivi iniziano a far emergere la propria identità lesbica. Comincia così un percorso differenziato da quello del movimento delle donne e soprattutto da quello dei gruppi omosessuali come il Fuori (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano).
«All’inizio le lesbiche erano separatiste rispetto agli omosessuali uomini», racconta Eleonora Dall’Ovo, da anni impegnata nella diffusione della cultura lesbica anche attraverso il teatro. «Erano femministe e c’erano istanze e rivendicazioni diverse. Poi ci si è uniti perché si è capito che si avevano interessi comuni». Ma è anche vero che quando ci sono le manifestazioni, «si ripete la stessa logica: le donne sono a fare fotocopie e volantinaggio e sul palco ci vanno per lo più gli uomini». Certo, «essere in prima linea ed esporsi per molte può essere un problema. Molte lesbiche fanno fatica a farsi avanti».
LESBICHE E FEMMINILITÀ
«Spesso si pensa alla femminilità in un’unica forma, come un’unico modo di essere donna», dice Laura Landi. Nel documentario girato con la collega Giovanna Selis vengono fotografati i diversi modi di essere lesbica. Dimenticate l’immagine della lesbica mascolina, tra le coppie intervistate dalle due registe ci sono anche lesbiche sul tacco dodici.
«I costumi sono cambiati», commenta Eleonora Dall’Ovo. «Ora capita più spesso di dire “Cavoli ma questa è lesbica!”. Prima te ne accorgevi di più. L’immagine tipo della lesbica era quella della maschiaccia con i capelli corti e i pantaloni, mentre quelle sposate che avevano una doppia vita non si notavano. Mettere sempre i pantaloni era anche un modo per riconoscersi. Ora c’è più visibilità e meno codificazione». Certo, scherza, «se vado in Germania o in Danimarca, mi sembrano tutte lesbiche. Tante donne hanno pantaloni e capelli corti. La verità è che le lesbiche hanno rotto il costume ordinario della gonna e della camicetta e hanno sdoganato i pantaloni per prime».
Di lesbiche ce ne sono tante, dunque, così come esistono diversi modi di esser donna. E ci sono molti termini per definirle. Sul sito Lezpop.it (sottotitolo: “la cultura pop in salsa lesbica”) esiste un intero glossario. Tanto per elencarne alcuni: butch è una lesbica che ha atteggiamenti e abbigliamento mascolini, in opposizione alla lipstick lesbian (dette anche girly), lesbica dall’aspetto femminile che indossa le gonne, porta i tacchi e si trucca; hasbian è una donna che si è identificata per un periodo della sua vita come lesbica e che oggi si presenta come eterosessuale; chi ha il gaydar, invece,è chi possiede la presunta capacità di capire l’orientamento sessuale di una persona.
DIRITTI
«Mentre due gay dopo la prima notte di sesso, non si dicono niente, due lesbiche dopo la prima notte di sesso stanno già pensando a come mettere su casa e vanno direttamente all’Ikea». Parola delle Brugole, al secolo Annagaia Marchioro e Roberta De Stefano, duo comico femminile che compare anche nel documentario Le lesbiche non esistono.
Ma se la casa si può afittare, i mobili dell’Ikea e le brugole sono facili da trovare, quello che manca in Italia è la possibilità di creare una famiglia e di soddisfare la voglia di maternità. «In Italia non è possibile ottenere una fecondazione mediante la procreazione medicalmente assistita nei casi di donne single o di coppie lesbiche», dice Laura Landi, «spesso ci si rivolge ai Paesi nordeuropei più vicini dove la legge consente la fecondazione assistita anche quando è solo una donna, o una coppia lesbica, a richiederla». Perché «l’omogenitorialità, e in particolare il rapporto tra figli e genitore non biologico non è ancora regolamentata dalla legislazione italiana».
Ma, aggiunge, «c’è un segnale positivo: recentemente la Cassazione ha definito un “mero pregiudizio” non avallato da dati scientifici ritenere “dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”. Le cose cambiano (lentamente) anche in Italia».
Twitter: @lidiabaratta