“Resistere non serve a niente”, la finanza è cattiva

Il vincitore del Premio Strega

✦CR  Christian Raimo   ✧FL Francesco Longo

✦CR Eccomi, Francesco. Allora ho finito di leggere ieri il libro di Walter Siti, Resistere non serve a niente; l’ho letto in un tempo dilatato, fratto, ma non soltanto perché così è capitato, ma anche perché è stato il romanzo stesso – ho capito a un certo punto – che induceva a questa dilatazione. Per il suo andamento digressivo, associativo, accumulativo, mimetico a una materia sfarinata. In fondo di cosa parla R.n.s.a.n.? Parla della vita di Tommaso Aricò, un autodefinitosi bankster (un operatore finanziario feroce), trentacinquenne, ex genio matematico, ex obeso, figlio di una famiglia povera vicina alla mafia (con un padre in galera). Lui si arricchisce, passa da una relazione a un’altra con donne che ha difficoltà a amare, si entusiasma per la crescita del suo fondo d’investimento, si deprime, spiega come funziona il mondo del denaro (quello della finanza legale e quello dei soldi sporchi, che poi si dice che alla fin fine è un unico mondo). Ma seguire la vita di una persona radiografandola, non vuol dire farne una drammatizzazione. Per questo parla soprattutto di come l’autore (Walter Siti in una delle sue performance mimetiche, appunto) si immerge in questo mondo, come lo ridescrive a tal punto da farlo diventare paradigma, della società, della condizione umana, etc…

Ho sempre trovato Siti esemplare, la sua fluidità sulla pagina invidiabile nella sua naturalezza: ma qui in R.n.s.a.n. questa sua bravura (non lo chiamerei talento) mostra anche quali sono i suoi limiti. Ancora oggi stavo leggendo recensioni tutte superelogiative: l’ultima quella di Alessandro Beretta su Book Detector; una lunghissima di qualche mese fa – un saggio vero e proprio – di Andrea Cortellessa su Doppiozero. Non potevo che essere d’accordo con entrambe le recensioni sulle lodi allo stile etc…, ma mi discostavo su un punto fondamentale. Questo R.n.s.a.n. è un libro non riuscito perché ha delle premesse narrative che si rivelano deboli. Il primo limite è quello di fare della saggistica invece di fare della narrazione. Siti vuole catalogare il mondo, come un Flaubert, come un Balzac, come uno scrittore “realista” (dove realista, capiamo bene nel suo pamphlet Il realismo è l’impossibile, sta proprio per il suo opposto, direi che sta per onnicomprensivo, famelico, bulimico, che si accaparra e distorce il mondo); ma l’ossessione che fa di questo catalogo un’autopsia e non un rito è quella per il controllo. Siti non si limita a voler padroneggiare i suoi personaggi, ma vuole controllare le reazioni del lettore. Ed è per questo che depotenzia se stesso.

Ti faccio un esempio. A pag. 287 (siamo alle pagine finali: il personaggio di Tommaso sta subendo uno sorta di crollo: da uomo con la fortuna in pugno, ora c’è qualcosa che gli sfugge, la sua imbattibilità comincia a incrinarsi) Tommaso incontra due ragazzine che si divertono a fare le pazze: pisciano davanti a un ristorante di lusso. Vengono umiliate, e Tommaso si avvicina a loro, volendogli invece mostrare la sua complicità. Ma loro rispondono al contrario.

❝ Lo sputo arriva di sbieco, più denso e vischioso di quanto ci si potrebbe attendere da una ragazzina di quell’età; la traiettoria è dal basso verso l’alto e non raggiunge il viso di Tommaso, gli sfiora il mento ricadendo sulla spalla della giacca. Come se fosse la clausola finalmente trovata, la licenza di una fine di un componimento, le due amiche si confondono tra i turisti – quell’istante di desiderio e sì, di soggezione, che il ricco maiale ha avuto negli occhi ha trasmesso loro la superiorità necessaria per abbandonare il luogo della rivoluzione e dello scorno. Quanto a Tommaso più delle auto in fiamme e dei cartelli stradali usati come arieti, quell’umidore carnale è il marchio a fuoco della giovinezza finita e di una progressiva, inquietante, perdita di lucidità. ❞

Una scena così potente, uno sputo che ti arriva di sbieco da due ragazzine, non ti sembra depotenziata da questo gusto manierista di trovare una definizione emotiva e simbolica, di dare a chi legge non solo quello che desidera ardentemente (i simboli) ma anche le chiavi dei simboli, che non vorrebbe avere, almeno non così in fretta, che vorrebbe costruirsi da sé, o godere di questa mancanza?
Il secondo limite te lo dico dopo.

✧FL Hai letto il libro in un “tempo dilatato” perché il romanzo è «digressivo”. Lo scoglio più grande invece io l’ho trovato nella prima pagina, dov’è parcheggiato un “camioncino Iveco”. Lasciato lì di traverso mi ha respinto, mi impediva di procedere oltre. Per me il camioncino Iveco è un perfetto correlativo oggettivo del realismo di Walter Siti. Quando vedo un camioncino Iveco sulla soglia di un libro, lascio ogni speranza, prima di entrare.

Promette subito di portare il lettore nell’ennesimo reportage dallo squallore della realtà, quell’attrazione verso la miseria umana e urbanistica che fa dirigere tutti i narratori di Siti inevitabilmente verso varie forme di periferie, culturali, morali, estetiche («tenta di vomitare piantandosi in gola uno scopettino del cesso»), tra i borgatari che grugniscono in dialetto. Nella nota alla fine del libro Siti scrive: «La mia fascinazione per il male è oscura anche a me stesso». Lo so che per Siti il male non è la periferia, i camioncini Iveco o il dialetto, ma se lui non sa da dove gli viene quella  fascinazione, un’idea io comincio a farmela.
 
Confesso che non ho mai capito che cosa intenda Siti per realismo. Ma so che superato il camioncino Iveco ho poi incontrato Sgarbi, la Balivo, Antonio Franchini di Mondadori, Carlo Rossella, la D’Urso, termini come “sellerone”, “precari”, “toyboy”, “pulciari”… Resistere non serve a niente sprigiona un’ansia micidiale nel voler descrivere il nostro presente, in modo definitivo, e sono serio quando penso che nella copertina dei libri avvelenati da questo intento andrebbe aggiunta la fascetta con scritto: «Da leggersi preferibilmente entro il 2013». Non restano.
 
Per questo non tirerei fuori Flaubert o Balzac, che avevano a cuore per prima cosa l’animo umano e che da lì, per cerchi concentrici, raccontavano il mondo. Se pensi a Le rane di Mo Yan, per dire un libro appena uscito, sul controllo delle nascite in Cina – quindi sulle tragedie della coscienza, i rimorsi, la sacralità della vita, il destino, la colpa -– ti accorgi che ci sono temi che resistono al tempo e che tutto il resto è destinato all’oblio.
 
Prima di andare avanti ho subito delle domande. Hai trovato almeno una frase bella in tutto il libro? Te lo chiedo perché io non ne ho trovata neanche una. E mi domando come fai a dire, rispetto alle recensioni positive che hai letto: «Non potevo che essere d’accordo con entrambe sulle lodi allo stile». Lodi sullo stile? Non mi sembra un caso che poi non citi neanche una frase per mostrare questo lodevole “stile”.  
 
Altra domanda. Perché tutti quelli che parlano bene di R.n.s.a.n. parlano soprattutto degli altri libri di Siti? Mi chiedo: se questo libro lo avesse scritto un altro scrittore credi che saremmo qui a discuterne? Siamo qui a discuterne perché molto probabilmente vincerà il Premio Strega. Da quando lo Strega è diventato un premio alla carriera? 
 
Abbiamo già scritto migliaia di caratteri su Siti e ancora non è uscito fuori il nome di Pasolini; è un record.

✦CR Rieccomi, Francesco. Non sono d’accordo sulla qualità dello stile. Di belle frasi è pieno il libro, nel senso che Siti riesce a dare uno stile a qualunque cosa. Estetizza lo squallore, usa la punteggiatura in modo sublime, così come l’ipotassi. È un virtuoso del ritmo. Il punto è secondo me questo “qualunque cosa”. È come se Siti origliasse la realtà: nel suo libretto di critica letteraria Il realismo è l’impossibile cita proprio un trucco autoriale di questo tipo (il Balzac di La Maison Nucingen). Ma ciò su cui sofferma la sua attenzione è 1) perché dovrebbe interessarci? E 2) quanto dobbiamo ascoltare?

Proverei a rispondere prima alla seconda domanda, facendo mie le premesse di poetica che proprio Siti esplicita nel Realismo è l’impossibile, ossia l’idea che il realismo sia una distorsione dello sguardo, che proprio l’impossibilità di essere realistici (il linguaggio può imitare solo il linguaggio) ci porta a lavorare sulla lente di distorsione. Quale lente usa Siti? Una lente comoda, vagamente detaché, al limite del cinismo. Prendo una scena emblematica, anche abbastanza citata: quella in cui il narratore va al Teatro Valle occupato a cercare la ex amante di Tommaso, la scrittrice Edith che sta per fare una lettura. Dopo una descrizione iperestetica di quello che vede ci sono queste cinque righe finali, a pag. 224.

❝ Uscendo dal corridoio verso il foyer m’imbatto in una specie di clown, non capisco se maschio o femmina, con le maniche argentate a sbuffo ed enormi pon-pon rossi – alza le dita a V, le guance e le sopracciglia impiastricciate di glitter, ‘hasta la victoria siempre’. Come no? E la bellezza salverà il mondo. ❞ 

Non lo trovi un arbasineggiare facile? Non c’è il rischio di utilizzare la propria bravura stilistica per trovare un tono da commentatore tranchant più che da scrittore?

E provo a rispondere a queste ultime domande retoriche riandando sulla questione che individuavo prima: cosa è che dovrebbe interessarci? Ci interessa forse il mondo della finanza illegale? Ci interessa il demi monde dei velleitari di varia forma? Cos’è che tocca veramente il cuore di Siti in modo tale che possa toccare il nostro, non perché sia socialmente significativo, ma perché arriviamo a sentirci vicini all’autore?

In Troppi Paradisi o nel Contagio, nei “romanzi di froci” come li rinomina qui, era chiaro: l’ossessione per quei corpi, il senso del tempo che scorre e forse ci porterà via le persone oggetto dal nostro desiderio. Ma qui? Le pagine che ho trovato più belle sono quelle che Siti dedica all’infanzia e alla giovinezza di Tommaso. La sua passione per la matematica, la sua obesità.

A Torino ho sentito la presentazione del suo libretto Il realismo è l’impossibile. C’erano Scurati, Giglioli, Berardinelli: ognuno prendeva la prospettiva di Siti e la riformulava nella sua visione metacritica (la questione della fragilità del letterario oggi, potrei sintetizzare). Quando è toccato a Siti, lui ha raccontato di quando giovane e povero arrivò a studiare alla Normale di Pisa. La “realtà” a quel punto era fatta da ragazzi più belli, più ricchi, più disinvolti. La sua poetica, come dire, si era sviluppata in difesa, contro un mondo ostile.

Ecco, la fascinazione che Siti nella breve nota a postfazione rivela, «La mia fascinazione per il male è oscura anche a me stesso», non è quello che esercita fascino su di noi lettori se non superficialmente. Il male non è mai così attraente. Stupri, stragi, corruzioni, pedofilia, in fondo il male ha forme noiose, se non ha a che fare con un paradiso perduto, agognato, evocato. Per questo io riesco a commuovermi quando Siti indaga il vero suo cuore di tenebra: il rapporto con la sua famiglia d’origine, povera e inacculturata (come in Troppi paradisi), il suo senso d’inadeguatezza rispetto al mondo (che qui proietta anche su Tommaso), il suo desiderio di distruggere la realtà creandone una più mite.

✧FL Se questo libro fosse davvero un romanzo sull’inadeguatezza, sulla nostalgia o su quelle che consideri le pagine migliori, avrebbe certamente avuto una grande attrazione. Purtroppo sono poche pagine che valgono come degli incisi, soffocate da una volontà costante, irrefrenabile, di spiegarci come funziona il mondo. Quanta poca fede nelle armi della letteratura. C’è una parte, verso la fine del libro, che mi ha definitivamente convinto di quale sia la grande preoccupazione di Siti.

Per pagine e pagine la narrazione è totalmente sospesa per descrivere come in un manualetto il maligno mondo della finanza sovranazionale, il gorgo oscuro dell’economia a cui non si può resistere. L’autore sembra più sedotto da Ulrich Beck o Zygmunt Bauman che da Cosmopolis di Don DeLillo (un libro ancora non superato sulla finanza) e questa seduzione è imperdonabile, e il libro la sconta tutta (pieno di frasi come «il debito si può nascondere nei meandri delle invenzioni finanziarie ma i buchi prima o poi qualcuno li scoprirà», o «la democrazia è il dio morto della modernità che sopravvive come idolo di cartapesta»).

L’esempio che fai del teatro Valle mi ricorda quello che si trova qualche pagina dopo, su una dichiarazione di Balotelli riportata dal Sole 24 ore. Pare spesso di imbattersi in impressioni che ha appuntato in giro, totalmente libere rispetto a una qualsiasi architettura romanzesca. Il risultato secondo me è un libro eccessivamente permeabile ai linguaggi extraletterari, che invece di raccontare la nostra epoca trasfigurandola ne diventa poco più che un aggregatore. Quello che annuncia nel saggio sul realismo non è evidentemente poi messo in pratica. E in letteratura bisogna fidarsi solo di ciò che gli scrittori fanno, mai di quello che dicono, no? Il suo realismo mi sembra, purtroppo, molto possibile.

Noto anche un paradosso nella presenza dei corpi, anche in quell’obesità del protagonista che citavi. Invece di dare una presenza concreta della carne, mi sembra che siano un’ennesima speculazione intellettuale. Trovo troppo cerebrali questi corpi. Sono corpi che riflettono sui corpi, invece di essere masse di carne e sangue. Se mi concedi un’ultima cattiveria, mi è parso un libro scritto per un gruppetto di critici che avrebbero apprezzato queste elucubrazioni, e non per i lettori. Non è un caso che anche noi siamo finiti a parlare solo dei temi del libro e di nient’altro. Le descrizioni sono ridotte al minimo. Non ci sono mai colori, gli ambienti si vedono di sfuggita. Le idee dell’autore galleggiare davanti al mondo che vorrebbe descrivere, dietro è tutta una nebbia.

Però sono soddisfatto. Riusciamo a chiudere questo primo scambio senza aver parlato di Pasolini, che occupandosi di Siti, ripeto, è un buon risultato. Ci aspettano gli altri quattro libri della Cinquina. Sono curioso. Non abbiamo tanto tempo. E credo che finiremo ancora a parlare di Siti…

LXVII Premio Strega – La Cinquina dei finalisti

Serata Finale: 4 luglio 2013 (Roma, Villa Giulia)

Le colpe dei padri (Piemme) di Alessandro Perissinotto con voti 69
Resistere non serve a niente (Rizzoli) di Walter Siti con voti 66
Figli dello stesso padre (Longanesi) di Romana Petri con voti 49
Mandami tanta vita (Feltrinelli) di Paolo Di Paolo con voti 45
Nessuno sa di noi (Giunti) di Simona Sparaco con voti 36 

© Premio Strega. La cinquina dei finalisti. Walter Siti è il primo a destra

Twitter: @christianraimo@FrancescoLongo@RizzoliLibri

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