Sui numeri della crisi c’è solo una gran confusione

Quando le statistiche diventano opinioni

Nella narrazione della crisi c’è qualcosa che non va. Parti sociali, istituzioni nazionali e internazionali, centri di ricerca. La politica alzo zero sulla base di numeri clamorosamente differenti. I conti non tornano, salgono i toni, cresce la confusione, non esiste una base coerente di dati su cui incentrare le riforme. Risultato? Nella migliore delle ipotesi, il cittadino è a dir poco disorientato. 

Stamani il Centro studi di Confindustria ha pubblicato i dati aggiornati sulla contrazione del Pil, a quota -1,9% nel 2013, a differenza di quanto stimato in precedenza: -1,1 per cento. I consumi, stando agli esperti di viale dell’Astronomia, si ridurranno del 3% quest’anno, ma l’anno prossimo recupereranno a +0,3 per cento, a fronte di una crescita zero (+0,5%) del Pil. Per il team guidato da Luca Paolazzi, dal 2007 a oggi il Paese ha perso 700mila posti di lavoro. Un numero che nel 2014 potrebbe salire a 817mila. Cresce anche la pressione fiscale, al 44,6%, 53,6% in termini reali, ovvero considerando il nero. L’anno prossimo non cambierà pressoché nulla: 44,4% la pressione al lordo del nero, 53,4% al netto. All’inizio del mese, sempre il Centro studi dell’associazione presieduta da Giorgio Squinzi aveva stimato che i tagli nelle imprese manifatturiere erano costati il posto a 539mila lavoratori tra il 2007 e il 2012, rispetto ai 724mila del periodo che va dal 1980 al 1985. 

All’inizio del mese ha fatto scalpore lo studio della Cgil in base al quale si tornerà soltanto nel 2076 alle 25.026.400 unità di lavoro standard segnate nel 2007. La carrellata continua: per la Cisl nel 2013 i posti di lavoro a rischio sono 123mila – evidentemente i sindacalisti bianchi sono più fiduciosi degli imprenditori – dopi i 674mila persi in 5 anni. Per il sindacato di Raffaele Bonanni tra il 2008 e il 2014 il Paese ha perso il 2,4% di occupazione, il 6% di Pil, il 4,3% di consumi delle famiglie, e il 20% degli investimenti.

Confartigianato, prendendo a riferimento i numeri Istat, ha calcolato che nell’aprile 2008 gli occupati erano 23 milioni e 541mila, mentre a dicembre 2012 sono scesi a 22 milioni e 723mila. Ovvero 818mila posti di lavoro in meno, 480 persi ogni giorno. Confesercenti, dal canto suo, ha scoperto che dal 2008 al 2013 ci sono 416mila lavoratori autonomi in meno, pari a un mancato reddito complessivo di 68 miliardi di euro. L’Ilo, organizzazione internazionale del lavoro, ha calcolato di recente che l’Italia debba creare 1,7 milioni di posti di lavoro in più per ritornare ai fasti del 2007. Ciliegina sulla torta le analisi del centro studi della Cgia di Mestre (VE): per i piccoli artigiani alla fine dell’anno scorso l’esercito dei disoccupati comprendeva 4,8 milioni di persone, e salirà a 5,4 milioni nel 2013. Il vizio riguarda anche il mistero dell’Economia: nell’aprile 2012 il Documento di economia e finanza (Def) del governo dava una contrazione del Pil di 1,2 punti percentuali, e una ripresa nel 2013 a +0,5 per cento. Bene, in base ai dati del primo trimestre per l’Istat il calo tendenziale per quest’anno sarà del 2,4 per cento.

Prendiamo il dato sulla disoccupazione. L’Istat ha certificato a fine maggio che nel primo trimestre dell’anno il tasso su base non destagionalizzata è salito al 12,8%, mai così male dal 1977 (inizio delle serie storiche). Per l’Istat la platea dei lavoratori italiani 15-64enni è pari a 22,3 milioni di persone. I disoccupati sono invece 3,2 milioni. Per dirne una: se si avverasse la profezia della Cgia, significherebbe che a fine anno l’Italia affonderebbe schiacciata dal peso di un tasso di disoccupazione al 21%, calcolato sulla base di una forza lavoro di 25 milioni di persone circa (occupati più disoccupati). Altro esempio: i posti di lavoro bruciati dalla ristrutturazione o dal fallimento delle imprese. Per Confindustria la debacle è di 700mila in cinque anni, di cui 539mila nelle imprese manifatturiere. Per la Cisl nel medesimo orizzonte temporale i posti bruciati sono 674mila, mentre per l’Ilo 1,7 milioni.

Chi ha ragione? Tutti e nessuno. Per quanto riguarda i 539mila posti di lavoro in meno dal 2007 al 2012 nel manifatturiero, il calcolo è su base Eurostat, Bls e Global Insight. Il Servizio studi di Mediobanca, su base Istat, ha calcolato che nel 2007 gli addetti al manifatturiero erano 4.279.000, 3.888.000 nel 2009, 3.782.751 nel 2010 (ultimi dati disponibili nelle serie storiche Istat). In tre anni significa 497mila lavoratori in meno. Possibile che dal 2010 al 2012 la dinamica sia cambiata tanto da “bruciare” soltanto 42mila posti di lavoro? Se tutti danno i loro numeri, misurare gli effetti della crisi per individuare dove e come intervenire – missione già impossibile nel governo delle larghe intese – diventa inutile. 
 

Twitter: @antoniovanuzzo

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