Riassumiamo la settimana: il principale leader politico che regge il governo italiano è un pluri inquisito che rischia di andare in galera tra due settimane, il suo partito, che vuole proteggerlo, minaccia l’Aventino, ottiene un’interruzione dei lavori parlamentari, e comincia una serie di sedute d’autocoscienza collettiva dove, ogni tanto, qualcuno s’alza in piedi urlando «facciamo cadere il governo!», poi però si guarda intorno e torna a sedere perplesso.
Intanto, in aula, i parlamentari del partito guidato da un noto attore comico un po’ sovrappeso, che per un pelo non vinceva le elezioni, si prendono a schiaffi con quelli del partito della sinistra, uno zatterone a bordo del quale i naufraghi di solito si picchiano tra loro (e dunque la rissa in trasferta è già una notizia, un segno di vitalità, un progresso). Il grande comico e leader politico, nel frattempo, viene ricevuto dall’anziano presidente della Repubblica sempre più preoccupato e spaesato, gli stringe la mano e lo arringa: «devi andare in tv a spiegare che non restituiremo il debito pubblico», poi si presenta davanti ai giornalisti e ripete tutto a favore di telecamera, le televisioni mandano il servizio in giro per mezza Europa, “Italy’s main party leader says default is a good chance”, e lui, nelle pieghe di una conferenza stampa, riesce pure in una pennellata ad accennare a certi «fucili riposti» chissà dove.
Il governo di palude pubblica, intanto, mentre il tasso di disoccupazione raggiunge il record del 12 per cento, promette di abolire le tasse, “niente Imu sulla prima casa”, sospeso pure l’aumento dell’Iva, tutto rinviato, e le coperture di bilancio? Non si sa.
Ecco, questa è la settimana che si è appena conclusa. Ed è sorprendente che non sia successo nulla, che la settimana di follia non abbia (ancora) avuto effetti registrabili, nessun terremoto, nessun crollo, l’angoscioso spread non è schizzato oltre la soglia del non ritorno, ma è rimasto pressappoco lì dov’era, sbadigliando e stiracchiandosi anche lui nel caldo estivo. La settimana più pazza del mondo non ha avuto nessun effetto, niente di niente, e poco importa la sensazione d’un disordine ormai irrecuperabile che avvolge le istituzioni d’Italia. Si è registrata appena una lieve increspatura sulla superficie dei mercati, ma, dicono, dovuta più che altro all’instabilità di bilancio del Portogallo. Lo spread sta magicamente sempre lì, sulla soglia dei 300 punti.
Come mi spiega un amico analista finanziario che vive a Londra: «Il casino dell’Italia is no news», dice. E con un brivido s’intuisce che forse anche i mercati, anche gli stranieri, si sono abituati al circo politico d’Italia, non gli fa più alcun effetto il nostro marasma, cioè anche loro hanno preso il vezzo di scrollare le spalle proprio come facciamo noi, “ma è solo la politica”, sanno che in Italia la situazione è sempre grave ma mai seria, anche loro sono diventati un po’ italiani, rassegnati, scettici quel tanto che basta per essere ottimisti.
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E d’altra parte sentir parlare di fucili da Beppe Grillo non è una gran novità per gli italiani, ad intervalli, negli ultimi lunghissimi diciassette anni, gli abitanti di questo paese hanno conosciuto le sgrammaticature di Umberto Bossi e della Lega mitragliatrice di parole, “prenderemo le impronte dei piedi agli immigrati”, “saremo liberi con le buone o le meno buone”, “se la sinistra vuole scontri io ho trecentomila uomini”, “ave osteria gratia plena/ve lo daremo sulla schiena”, “i fucili sono caldi”, c’è dunque una specie di immunizzazione nazionale agli eccessi politici. E nemmeno l’auspicio del fallimento, “non dobbiamo ripagare il debito pubblico”, è poi una gran cosa: in Italia il limite della corbelleria è stato tirato così in alto che nulla può mai impressionare l’elettore medio che non crede a niente, ma è assuefatto e ubriacato dallo spettacolo che quotidianamente gli si para di fronte.
E dunque sorride di sufficienza, fa spallucce, sorride anche di Grillo, che pure è iperbolico e divertente, lui che proprio come Bossi ha dimostrato come la sintassi sia soltanto una raffinatezza da noiosi, basta dire “vaffanculo” e hai detto tutto: “partitocrazia”, “regime”, “ladri”, “guerra”, “vandea democristiana”, “gattopardismo mafioso”. Nella logica del nostro eterno ritorno dell’uguale pure questo governo di grande coalizione, come tutti i governi d’Italia, è “instabile”, “debole”, sempre “minacciato”, sempre sul punto di cadere. E la maggioranza è sempre “in fibrillazione”, “litigiosa”, “strana”, “stranissima”, niente di nuovo dunque, niente che ci impressioni particolarmente.
E il Cavaliere? Anche lui è sempre “inquisito”, “perseguitato”, “condannato”, “assolto”, “prescritto”, “furioso”, “pronto a tutto”, anche se di botti in realtà non se ne vedono mai. La resa dei conti è sempre “finale”, ma la fine è un miraggio più che un orizzonte. Così Berlusconi perde le elezioni di poco ma poi le rivince, il suo governo cade ma il ribaltone non dura perché la sinistra – e anche questa è una coazione a ripetersi – va da sé, è ovviamente “divisa” o “spaccata”, non riesce a governare, a restare in piedi, a tenersi unita.
Nel centrosinistra si combatte sempre una guerra civile, si consuma sempre un parricidio, un’empietà, un atto di cannibalismo, un tradimento fraterno, una volta c’era D’Alema che pugnalava Prodi alle spalle, oggi c’è Renzi che vuole fare le scarpe a Letta.
E insomma gli italiani si conoscono, e conoscono il loro paese, non ci fanno più nemmeno caso alla stramberia che li avvolge. Ma adesso anche i mercati, i terribili mercati internazionali che tutto giudicano e tanto ci hanno fatto tremare in passato, sembrano anche loro contagiati dello stesso gaio fatalismo, la stessa rassegnazione coltivata con leggerezza, la stessa insensibilità assuefatta: l’Italia naviga nel caos, mai come oggi nell’attesa di un’ordalia finale, eppure la barca regge, ed è un mistero di come ciò sia possibile. Sarà pur vero che i mercati sono eteroguidati, come dicono i complottisti, o che l’ottimismo del Giappone, con la sua banca che stampa tanta moneta, salva anche l’Italia.
E sarà certamente vero che Mario Draghi è “santo Mario”, come dice Enrico Letta, e dunque ci pensa lui a tenere bassi i tassi di interesse a Franoforte. Eppure non basta. Ritornano in mente le ultime parole di Cavour, sussurrate sul letto di morte, “abbiamo fatta abbastanza, noialtri: abbiamo fatto l’Italia, sì, l’italia: e la cosa va’…”. La cosa va, come diceva anche Leo Longanesi, e in quelle tre parole, a pensarci su, c’è un ottimismo contenuto che non persuade, che resta lì, a mezz’aria, a dirci che il povero conte di fiducia non ne aveva troppa nelle nostre capacità di tenere in piedi l’Italia. “La cosa va”, è sempre andata, va ancora, ma è una “cosa” misteriosa, una misteriosa “cosa” che va e non se ne sa il perché.
Twitter: @SalvatoreMerlo