Nove milioni e mezzo. Sono tanti gli italiani che si possono definire «relativamente poveri», cioè che non superano la soglia minima di spesa media mensile: si tratta di quasi il 16% della popolazione. Crescono anche le persone in povertà assoluta, quelle che non possono permettersi di comprare i beni ritenuti necessari: passano dal 5,7% della popolazione del 2011 all’8% del 2012, un record dal 2005. I dati si trovano nel report «La povertà in Italia» dell’Istat, secondo cui a risentire di più della crisi sono i giovani sotto i 35 anni e le famiglie con figli.
Povertà relativa
Trend negativi per le coppie con uno o due figli (l’incidenza di povertà è passata dal 10,4% al 15,4% e dal 14,8% al 17,4% rispettivamente); in particolare, il peggioramento ha riguardato le famiglie con figli minori, tra le quali l’incidenza di povertà dal 15,6% è salita al 18,3 per cento. L’incidenza varia anche in base al titolo di studio. Oltre che tra le famiglie con persona di riferimento con la licenza di scuola media inferiore (dal 14,1% al 16,8%), la povertà aumenta, dal 5% al 6,4%, anche tra quelle con a capo almeno un diplomato. I peggioramenti più marcati si osservano per le realtà familiari con problemi di accesso al mercato del lavoro: la quota di famiglie povere tra quelle con a capo una persona in cerca di occupazione era del 27,8% nel 2011 e ha raggiunto il 35,6% nel 2012.
La diffusione della povertà tra le famiglie con a capo un operaio o assimilato (16,9%) è superiore a quella osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi (9%) e, in particolare, di imprenditori e liberi professionisti (4,9%). Le famiglie con occupati mostrano incidenze di povertà più contenute. Segnali di miglioramento si osservano esclusivamente tra le persone sole anziane: l’incidenza passa dal 10,1% all’8,6%, anche a seguito del fatto che le pensioni sono redditi garantiti e che le più basse hanno mantenuto l’adeguamento alla dinamica inflazionistica.
La percentuale maggiore di poveri si trova nel Mezzogiorno. Al Sud peggiora la condizione delle famiglie con tre o quattro componenti, tra le quali quasi un terzo è relativamente povero; si tratta di coppie con uno (l’incidenza dal 20,5% passa al 31,3%) o due figli (dal 27,5% al 30,9%), soprattutto se minori (in particolare tra le coppie con un figlio l’incidenza dal 26% sale al 32,7%). Nelle regioni del Sud e nelle isole, la povertà aumenta, oltre che tra le famiglie con a capo una persona con la licenza media inferiore (dal 28% al 31,2%), tra quelle con persona di riferimento avente almeno il diploma (dall’11,3% al 15,2%), tra i dirigenti e gli impiegati (dall’11,1% al 16,4%), tra gli imprenditori e i liberi professionisti (dal 7% all’11,8%). Se, infine, a capo della famiglia vi è una persona in cerca di occupazione l’incidenza di povertà relativa raggiunge quasi il 50% (49,7%). Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Campania (25,8%), Calabria (27,4%), Puglia (28,2%) e Sicilia (29,6%) dove oltre un quarto delle famiglie sono povere. La provincia di Trento (4,4%), l’Emilia Romagna (5,1%) e il Veneto (5,8%) presentano invece i valori più bassi dell’incidenza di povertà. Aggravate anche le condizioni di vita delle famiglie settentrionali, soprattutto se a capo della famiglia vi è una persona in cerca di lavoro: l’incidenza di povertà dell’11,7% nel 2011 è raddoppiata, raggiungendo il 22,3% nel 2012.
Povertà assoluta
L’incidenza, tra le famiglie, ha mostrato un aumento, rispetto al 2011, di 1,6 punti percentuali a livello nazionale, di 1,8 nel Nord e nel Mezzogiorno e di 1 punto percentuale nel Centro. Le variazioni tra gli individui (pari rispettivamente a 2,4, 2,5 e 1,6 punti percentuali) sono ancora più accentuate, a causa del marcato incremento della povertà assoluta tra le famiglie più ampie.
L’incidenza aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%), che nella grande maggioranza dei casi sono famiglie con figli: coppie con un figlio (dal 4% al 5,9%, se minore dal 5,7% al 7,1%), con due figli (dal 4,9% al 7,8%, se minori dal 5,8% al 10%) e soprattutto coppie con tre o più figli (dal 10,4% al 16,2%, se minori dal 10,9% al 17,1%).
Peggiora anche la condizione delle famiglie di monogenitori (dal 5,8% al 9,1%) e con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%), per le quali l’incidenza di povertà assoluta ha ormai oltrepassato il valore medio nazionale. Si conferma e si amplia, quindi, lo svantaggio delle famiglie più ampie, nonostante segnali negativi, seppur su livelli contenuti, si registrino anche tra le persone con meno di 65 anni, sole (dal 3,5% al 4,9%) o in coppia (dal 2,6% al 4,6%).
Un livello di istruzione medio alto e un lavoro, anche di elevato livello professionale, non garantiscono più dal rischio di cadere in povertà assoluta, soprattutto quando altri membri della famiglia perdono la propria occupazione o modificano la propria posizione professionale. Peggiorano le condizioni delle famiglie con tutti i componenti occupati (dal 2,5% al 3,6%) o con a capo un occupato (dal 3,9% al 5,5%); oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2% al 6%), la povertà assoluta aumenta, seppur su livelli più bassi, tra gli impiegati e tra i dirigenti (dall’1,3% al 2,6%).
Quasi la metà dei poveri risiede nel Mezzogiorno. Su 4 milioni 814mila persone in povertà assoluta, 2 milioni 347 mila risiedono nel Mezzogiorno (erano 1 milione 828mila nel 2011), 1 milione e 58mila sono minori (erano 723mila) e 728mila anziani (erano 707mila). Oltre 1 milione e 88mila (erano 977 mila) sono membri di famiglie con a capo un ritirato dal lavoro, 1 milione 506mila di famiglie operaie (erano 1 milione 171 mila) e 764mila di famiglie con a capo una persona disoccupata (erano 422mila).