In Italia quando le cose vanno male di solito si restaura, si rivernicia, si riproduce, ed è quasi un rito apotropaico, uno scongiuro che esorcizza l’idea della morte, ma che ovviamente non può mai davvero sconfiggere la potenza ineluttabile della morte stessa; rifondare in Italia serve solo a non seppellire mai.
E dunque Gianni Alemanno si ritrova adesso con Giorgia Meloni e con Ignazio La Russa, con i Fratelli d’Italia, con i profughi che seguirono Gianfranco Fini nell’esodo dal Pdl, e con tutti loro ritorna anche il simbolo di Alleanza Nazionale, vecchie amicizie esplose che forse si ricompongono, antiche solidarietà che si riallacciano. Ma tutto più vecchio, logoro, consumato dagli anni, dai rancori mai sedimentati, dalle vittorie che furono e dai rovesci di oggi, mentre nel frattempo l’Italia è cambiata, ha nuovi tormenti, altri sogni, diverse incertezze e prospettive. I tempi sono magri, l’incognito fa paura, e dunque ritorna An, viene rifondata Alleanza nazionale, riproduzione di quella svolta di Fiuggi che diciassette anni fa archiviava e sublimava il postfascismo consegnandolo al traguardo della democrazia, ma che oggi suona fuori tempo come ogni restaurazione, fuori sincrono con un paese che intanto si è modificato, parla e pensa in un altro modo, e nel bene o nel male non è più lo stesso del 1995.
Dopo il congresso di Vienna nessuno degli stati rifondati, restituiti ai legittimi sovrani, tornò fino in fondo agli splendori dell’assolutismo perché nel frattempo c’era stata la Rivoluzione francese. E nessuno dei tanti partiti italiani che negli ultimi anni sono stati ricostituiti – provate a fare il conto di quanti sono – ha funzionato. Ogni volta più piccolo, ogni volta sottoposto a una scissione dell’atomo, il partito restaurato si è scoperto sempre più irrilevante, come Rifondazione comunista. Il Prc non fu mai il grande Pci, ma nella sua faticosa vita ha subito diverse scissioni, sempre più modeste, via via più marginali, insignificanti, prima Armando Cossutta che bisticciò con Fausto Bertinotti, poi Nichi Vendola che fece baruffa con Paolo Ferrero e infine i troskisti di cui nessuno ricorda il nome, fino all’oblio, il martirio lento e doloroso dello spelacchiamento che ha portato Rifondazione a scivolare fuori dall’Aula di Montecitorio. Il partito rifondato non poteva che riprodurre sempre, all’infinito, la stessa cosa.
Quando tutto va male non si dovrebbe rifondare, ma sarebbe meglio avere il coraggio di seppellire, di fare i conti con la storia, con il fallimento, con l’idea della morte e della tumulazione dignitosa, che permette nuova vita. Solo la morte del comunismo ha fatto trionfare Karl Marx, solo la scomparsa dei partiti comunisti in Europa ha permesso di riconciliare il marxismo con la filosofia occidentale, persino con il pensiero economico corrente; non più imbalsamato da opposte ideologie, finito il comunismo e abbattuta la statua di Lenin, Marx può essere considerato per quello che è sempre stato, un grande pensatore, uno stilista, un pioniere. Adesso anche Silvio Berlusconi ha soffiato via la polvere del tempo dalle bandiere e dai jingle elettorali di Forza Italia, “Forza alziamoci / il futuro è aperto entriamoci”, ma lui ripropone un futuro che è già passato, sa di formalina, nel 1994 c’era la lira, la Banca d’Italia gestiva i tassi d’interesse, si facevano politica inflazionistiche, l’economia ancora tirava. Negli ultimi vent’anni la storia ha corso più veloce di Forza Italia, del partito azienda, il partito di plastica nato tra i coriandoli e i raggi laser del Forum di Assago, la creatura eterea che rappresentava la discesa in campo di sua emittenza il Cavaliere, che era speranza e prospettiva, per qualcuno una grande promessa carica di sogni, per altri il conflitto d’interessi che da spirito si faceva corpo.
Ma oggi cos’è la Ri-Forza Italia, e cos’è la Ri-Alleanza Nazionale? La rifondazione è come un bonsai, un frattale, nel piccolo si nasconde sempre il grande, e dunque nell’idea ripetuta della rifondazione dell’antico c’è in realtà la storia dell’Italia politica, che è sempre uguale a sé stessa, un continuo processo di mummificazione, perché rifondare e imbalsamare sono esattamente la stessa cosa, sono il tentativo di esorcizzare la morte; la Dc che muore nel Ccd e poi nell’Udc, i mille Pli e Pri d’Italia, e quante volte si è rifondato il vecchio e sempre più tragico Psi?
L’Italia non riesce mai a chiudere la storia di nessuno, spenna le vicende fino alla decomposizione, senza mai sigillare, finire, superare. E ogni volta che c’è una restaurazione già si avverte puzza di cadavere. È così persino con i giornali, appena c’è un quotidiano che non funziona, che annaspa, ecco che in redazione arriva la riforma grafica, travestimento e imbroglio linguistico per occultare il tanfo della decomposizione. E dunque si restaurano le colonne, si rimpicciolisce il formato, si riverniciano i titoli, si rifondano le rubriche, quando invece si dovrebbero cambiare i contenuti, i giornalisti e non i nomi, gli editori e non i colori, vestirsi per non travestirsi.
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