Com’è dura abolire il finanziamento pubblico ai partiti

Tre mesi fa il provvedimento del governo

Quanto è difficile abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Tra veti incrociati e tensioni legate alla difficile fase politica, il progetto del governo sembra essersi impantanato in Parlamento. Presentato il 5 giugno scorso, il disegno di legge è all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera ormai da tre mesi. Intanto l’approdo in Aula continua a essere rimandato. Dopo un primo passaggio ad agosto, l’assemblea di Montecitorio doveva iniziare le votazioni martedì scorso. Appuntamento posticipato a questo pomeriggio. E poi ulteriormente rinviato alla prossima settimana. Mercoledì, per la precisione, anche se il fitto calendario parlamentare non mette al riparo da ulteriori slittamenti. «Intanto il tempo passa – racconta il vicepresidente della commissione Danilo Toninelli, esponente del Movimento Cinque Stelle – Il provvedimento è arrivato a giugno e non c’è mai stata la volontà politica di entrare nel merito».

Nonostante l’impegno dei relatori, la maggioranza resta lontana da un accordo. I nodi da sciogliere sono diversi. È il caso della depenalizzazione del finanziamento illecito, invisa al Pd. Ma anche dell’introduzione di un tetto di 100mila euro alle donazioni dei privati, che i democrat vorrebbero inserire nel disegno di legge contro la ferma opposizione del Pdl. Un braccio di ferro che rischia di prolungare ulteriormente la situazione di stallo. Anche nella seduta di ieri la commissione ha preferito accantonare una serie di emendamenti pur di posticipare l’esame delle disposizioni più discusse. Mentre stamattina si è registrato un nuovo stop ai lavori: la seduta della commissione Affari costituzionali è stata sospesa a causa dell’assenza del governo.

Tante questioni sul tavolo, eppure per il momento è meglio evitare lo scontro. Nei giorni più caldi sul fronte della decadenza di Silvio Berlusconi, all’interno della maggioranza si è preferito prendere tempo. Così, almeno, sarebbe stato spiegato ai componenti democrat della commissione, durante una riunione di gruppo di qualche giorno fa. Un’indicazione tesa a evitare qualsiasi tensione con il Popolo della libertà sul finanziamento pubblico ai partiti. Un’accortezza suggerita direttamente da Palazzo Chigi, per non offrire al Cavaliere il pretesto per aprire una crisi di governo. Come se non bastasse, a complicare la difficile trattativa interna alla maggioranza ci pensano gli esponenti del Movimento Cinque Stelle. Decisi a tenere alta la tensione sul provvedimento e impegnati a dare battaglia su ogni emendamento. «Del resto la nostra posizione è sempre stata molto semplice – spiega Toninelli – Noi vogliamo autorizzare solo le donazioni dei privati, con un tetto di 5mila euro. E siamo contrari a qualsiasi finanziamento pubblico ai partiti, diretto e indiretto».

Intanto il presidente del Consiglio Enrico Letta alza la voce. Se il Parlamento non sarà in grado di approvare il disegno di legge in tempi ragionevoli, ha spiegato più volte, il governo correrà ai ripari presentando un apposito decreto. Inutile dire che le parole del premier – ribadite pochi giorni fa durante un’apparizione a Porta a Porta – hanno suscitato diversi malumori all’interno del suo partito. In modo particolare nella componente renziana. «Ma come – raccontava ieri un deputato vicino al sindaco di Firenze – Noi cerchiamo di affrontare il disegno di legge in maniera responsabile, senza alzare lo scontro con il Pdl, e Letta ci bacchetta pubblicamente?». Peraltro, a detta di chi partecipa al confronto in commissione, i tempi della discussione non sarebbero neppure così ingiustificati. «Un cambio di sistema così radicale deve essere accompagnato da un giusto approfondimento» spiega l’esponente di Scelta Civica Andrea Mazziotti di Celso. «Siamo sinceri, di fronte a un provvedimento di questo tipo una settimana in più non cambia nulla».

Tra un ostacolo e l’altro, il provvedimento prosegue il suo difficile cammino. Il ddl che taglia i finanziamenti ai partiti deve fare i conti anche con un complicato calendario parlamentare. La conferenza dei capigruppo di ieri sera ha stabilito che il provvedimento arriverà in Aula mercoledì 25 settembre. Eppure la prossima settimana l’assemblea della Camera ha già una lunga lista di impegni. A partire dalle norme sul femminicidio. Presentato dal governo in agosto, il decreto deve essere convertito in tempi rapidi, pena la decadenza. Sempre nella mattinata di mercoledì la Camera dovrà eleggere un nuovo vicepresidente. Anche questo non è un passaggio privo di difficoltà: la nomina è già stata rimandata più volte per le tensioni che hanno accompagnato la candidatura della pidiellina Daniela Santanchè. 

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