Il comunicato del Quirinale è duro. Più di quanto gli stessi esponenti del Popolo della libertà potevano aspettarsi. «Stavolta il presidente Napolitano ci ha proprio mandato aff…» ride in Transatlantico un deputato berlusconiano. Lo scontro ormai è alla luce del sole. Mentre i parlamentari fedeli al Cavaliere iniziano a firmare le prime lettere di dimissioni, il presidente della Repubblica perde la pazienza. Replicando all’ipotesi delle dimissioni di massa dei gruppi pidiellini, il Colle dirama una nota particolarmente aspra. «Evocare il colpo di Stato o parlare di operazione eversiva – dice Napolitano – è grave e assurdo».
È il risultato di un braccio di ferro durato settimane, racconta qualcuno. L’esasperazione del Capo dello Stato dopo una lunga trattativa con il centrodestra – fatta di richieste più o meno informali – finalizzata a un provvedimento di grazia per Silvio Berlusconi. Ma soprattutto è lo sfogo di un presidente che si è sentito scavalcato nei suoi poteri. Perché la minaccia di dimissioni dei circa 200 parlamentari pidiellini è una prova di forza non priva di conseguenze. Un’azione persino più grave di un voto di sfiducia al governo. È il tentativo di bloccare i lavori parlamentari, accelerando lo scioglimento anticipato delle Camere. Una prerogativa attribuita al solo presidente della Repubblica.
E così Giorgio Napolitano ha perso la pazienza. Ormai la tensione sull’asse Quirinale-Palazzo Grazioli è evidente. Lo scontro tra il vecchio dirigente comunista e l’imprenditore prestato alla politica deflagra in tutta la sua visibilità. E dire che per un breve periodo i due erano andati persino d’accordo. O almeno ci avevano provato. Silvio Berlusconi ha più volte rivendicato il merito di aver fatto rieleggere il presidente. Un credito – a dire il vero giustificato dall’assenza di alternative – mai riscosso. Dopo la sentenza della Cassazione, il Cavaliere ha atteso invano un messaggio di solidarietà dal Colle. Ancora più invano un cenno di disponibilità a valutare un provvedimento di grazia. E così nelle ultime settimane il rapporto tra i due si è irrigidito, per usare un eufemismo. Se il Cavaliere ormai considera il presidente alla stregua di un avversario politico, Napolitano sembra essersi stufato delle continue minacce di crisi lanciate a Palazzo Grazioli. Proprio lui che qualche mese fa aveva accettato un nuovo mandato al Quirinale, solo in cambio di una particolare assunzione di responsabilità da parte della politica.
Sul rapporto ormai logoro, si è abbattuta l’ultima provocazione del Pdl. L’idea delle dimissioni di massa per denunciare la persecuzione giudiziaria cui sarebbe vittima il Cavaliere. Dagli Stati Uniti, dove il presidente del Consiglio è in visita ufficiale, si studiano le contromosse. Ecco la novità delle ultime ore. Per verificare la tenuta del Pdl e smascherare l’eventuale bluff, Enrico Letta avrebbe pronto il colpo a sorpresa. La prossima settimana – i bene informati dicono già martedì – il premier è pronto a presentarsi in Parlamento. Chiedendo, d’accordo con il Colle, una verifica della maggioranza che anticipi la decadenza di Berlusconi dal Senato. Si sta lavorando a un documento programmatico. Non più di sei punti caratterizzanti l’azione di Palazzo Chigi per il 2014, su cui chiedere un impegno formale ai partiti della maggioranza.
«Appena arrivato a Roma incontrerò il Capo dello Stato e valuterò con lui come comportarmi» ha spiegato Letta ai giornalisti italiani, subito dopo aver parlato alla Columbia University di New York. In linea con il Quirinale, il presidente del Consiglio spiega che adesso «serve un chiarimento, nel governo e nel Parlamento». L’ultima accelerazione è stata «un’umiliazione» per l’Italia. Adesso diventa fondamentale «verificare se c’è la volontà di andare avanti, su quali prospettive e su che basi».
La crisi non è più solo un’ipotesi. «A questo punto – si ragiona nel Pdl – l’unico che può fermare lo scontro è proprio Berlusconi. Magari chiedendo pubblicamente ai suoi parlamentari di ritirare le dimissioni».