Dopo la tempesta, improvviso era arrivato il sereno. A un passo dalla crisi di governo, stamattina il presidente del Consiglio Enrico Letta sembrava più tranquillo. Ma evidentemente la vicenda della decadenza del senatore Silvio Berlusconi è destinata a regalare colpi di scena. Se il 10 settembre lo slittamento del voto in giunta aveva aperto una tregua tra Pd e Pdl, in queste ore il mancato accordo sul calendario dei lavori ha finito per riacutizzare le tensioni nella maggioranza. L’ennesimo cambio di passo di un’estate al limite della schizofrenia.
A rileggere le cronache politiche dell’ultimo mese e mezzo c’è da farsi venire il mal di testa. Guerra, pace, ancora guerra. Da quando la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per frode fiscale nel processo Mediaset, il Cavaliere ha minacciato crisi di governo e assicurato lealtà all’esecutivo cambiando posizione con disarmante frequenza. In quaranta giorni ministri e sottosegretari di centrodestra hanno ripetutamente rimesso le deleghe nelle sue mani. Per ora sempre senza conseguenze. Mentre i parlamentari pidiellini sono saliti sull’Aventino – e regolarmente discesi – almeno cinque o sei volte. Accelerazioni e frenate che hanno disorientato più di qualche osservatore.
1) Come è lontana quella serata di metà estate. Era l’1 agosto. Neanche il tempo di ascoltare la condanna della Cassazione e a Palazzo Grazioli si riunisce il primo consiglio di guerra. I dirigenti del Pdl si recano in pellegrinaggio nella residenza romana del leader per dimostrare lealtà e prepararsi allo scontro. I toni sono rabbiosi. Per la prima volta dal giorno del suo insediamento il governo Letta è appeso a un filo. A tarda sera è lo stesso Berlusconi ad aprire i 45 giorni di tentennamenti con un videomessaggio. Il Cavaliere annuncia il ritorno a Forza Italia. A tratti visibilmente commosso se la prende con la magistratura e assicura: «Continuerò la mia battaglia». Il popolo di Silvio è pronto a esplodere. Tanto che per la domenica successiva viene convocata una manifestazione per le vie della Capitale. La sentenza della Cassazione? Nel Pdl c’è persino chi teme il rischio di una «guerra civile dagli esiti imprevedibili».
2) Quando l’esecutivo è ormai pronto a essere dimissionato, ecco il primo colpo di scena. Il Cavaliere cambia idea. Nel giro di poche ore lo scenario muta radicalmente. «Il governo non cadrà per mano mia» conferma ai suoi l’ex premier. La marcia su Roma diventa un sit in. Una manifestazione in tono minore. Per evitare che a qualcuno venga in mente di raggiungere il Quirinale, gli organizzatori spostano l’incontro da Piazza Santi Apostoli a via del Plebiscito. Un’inversione a U. I ministri pidiellini decidono di non presentarsi. Persino Berlusconi, parlando dal palco, assicura: «Noi non siamo degli irresponsabili, perché abbiamo detto chiaro e tondo che il governo deve andare avanti e il Parlamento deve approvare i provvedimenti economici. Il bene del Paese viene prima di tutto».
3) Dallo scontro all’armistizio e viceversa. Non passano che pochi giorni e nei vertici di Palazzo Grazioli si torna a parlare di voto anticipato. I retroscena giornalistici rivelano informatissime strategie per un rapido ritorno alle urne. Per la seconda volta in pochi giorni l’esecutivo si avvicina pericolosamente al ciglio del burrone. Al centro delle polemiche non ci sono più (solo) le vicende giudiziarie del Cavaliere, ma il programma di governo. A lanciare l’ultimatum è ancora Berlusconi. Il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni ha da poco sollevato qualche dubbio sull’abolizione definitiva dell’Imu, quando l’ex premier scrive: «Mai più Imu sulla prima casa. Non è solo un impegno che abbiamo preso in campagna elettorale, è anche un impegno di fondo dell’accordo di governo con il presidente Letta». Una minaccia? «Uomo avvisato, mezzo salvato» rincara Fabrizio Cicchitto.
4) Nelle stesse ore in cui si diffonde l’indiscrezione di dimissioni in massa dei parlamentari Pdl, il cielo sopra Palazzo Chigi si rasserena. Chiuso nella sua villa di Arcore, Silvio Berlusconi torna ad ascoltare le colombe. Improvvisamente nelle riunioni con vertici di partito si cerca una strada per la sua agibilità politica. Tra ambasciatori e portavoce, il dialogo con il Colle si fa più intenso. Dalla condanna della Cassazione non sono passati che dieci giorni. In attesa di una nota del Quirinale che chiarisca la posizione di Giorgio Napolitano sulla vicenda, il nuovo ordine è quello di non alzare i toni. La dichiarazione del presidente della Repubblica arriva il 13 agosto. In un lungo comunicato Napolitano chiede di rispettare le sentenze e invita i partiti alla calma. Ma indica anche un percorso per la grazia del Cavaliere, di cui riconosce l’importante ruolo politico. A Palazzo Grazioli e dintorni le prime reazioni sono positive. «Il presidente ci ha dato ragione» festeggia qualcuno. L’esecutivo è finalmente al riparo dai venti di crisi? La serenità stavolta dura un paio di giorni.
5) Sabato 17 agosto il Corriere della Sera titola: «Si complica il caso Berlusconi, il governo è di nuovo a rischio». Il pendolo della crisi riprende a oscillare. Con qualche giorno di ritardo nel Pdl si diffonde la delusione per le parole di Napolitano. I pochi che riescono a contattare il Cavaliere, ormai rinchiuso da giorni a villa San Martino, parlano di un leader tradito e amareggiato. L’ipotesi di un voto anticipato torna improvvisamente di attualità. Il 19 agosto Berlusconi posta sul suo profilo Facebook una vera e propria chiamata alle armi. «Io resisto! Non mollo. Non mi faccio da parte. Resto il capo di centrodestra».
6) Tra un ultimatum e una rassicurazione, passa un’altra settimana. Il 24 agosto lo scontro interno alla maggioranza raggiunge l’apice. Capigruppo, ministri e dirigenti del Pdl si ritrovano ad Arcore per un lungo vertice con Silvio Berlusconi. Dopo cinque ore di confronto viene diramata una nota dai toni particolarmente duri. La decadenza del Cavaliere è «impensabile e costituzionalmente inaccettabile». Il partito sembra unito attorno al capo, pronto a condannare il governo Letta in caso di allontanamento del leader dal Parlamento. Evidentemente non è così.
7) Ormai il pendolo della crisi oscilla sempre più velocemente. Passa un giorno e il clima cambia di nuovo. Il giorno dopo il summit, l’ala moderata dei dirigenti berlusconiani prende le distanze dai più intransigenti. Di fronte all’ipotesi di una crisi di governo – almeno a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali dei protagonisti – il partito rischia di dividersi. Il premier Enrico Letta può tirare un sospiro di sollievo. Anche perché il lunedì successivo Silvio Berlusconi prende posizione contro i più “agitati” tra i suoi. Al termine di una giornata drammatica per le sue aziende in Borsa, il Cavaliere impone il silenzio stampa ai vertici del suo partito. Per tutti è un avvertimento a chi sta spingendo per lo strappo. Non solo. La sera del 28 agosto il Consiglio dei ministri approva la sospirata cancellazione dell’Imu. Le nubi sull’esecutivo sembrano diradarsi definitivamente. Berlusconi esulta. Il vicepremier Angelino Alfano trattiene a stento la soddisfazione. Davanti ai giornalisti Enrico Letta annuncia: «Adesso il governo non ha più scadenza».
8) E invece non passa neanche un giorno e il centrodestra cambia strategia. Quando vengono depositate le motivazioni della condanna della Cassazione, la tensione torna a salire. È il 29 agosto. Sui giornali si torna a parlare di crisi di governo. Stando ai titoli di alcuni quotidiani, è l’ora dell’ennesimo ultimatum. «Se votano la decadenza – queste le presunte dichiarazioni del Cavaliere – cade il governo».
9) In realtà il giorno dopo è lo stesso Berlusconi a tornare sui suoi passi. Impegnato nella sottoscrizione dei referendum sulla giustizia dei Radicali, l’ex premier getta acqua sul fuoco. «Nessun ultimatum. Ho solo ricordato che questo governo l’ho voluto io fortemente e sono convinto che all’Italia serva un governo». L’esecutivo di Letta? «Ha fatto cose egregie».
10) Il resto è storia recente. L’avvicinarsi del voto nella giunta del Senato ha alimentato una lunga ridda di scontri e riappacificazioni. Ormai i cambi di direzione si alternano a ritmo frenetico. Solo due giorni fa il governo Letta sembrava arrivato al capolinea. Lo slittamento del voto in giunta – seppure di qualche ora – aveva allontanato lo scontro. «Finalmente ha prevalso il buonsenso» festeggiavano stamattina i berlusconiani. Ora il braccio di ferro sul calendario dei lavori rischia di riaprire la guerra nella maggioranza.