In un momento storico in cui la vecchia provocazione ‘In Italia ci sono più scrittori che lettori’ assomiglia sempre più sinistramente a un semplice dato di fatto, dove l’avvento, soprattutto tecnologico, del self-publishing permette (o promette) l’effettiva messa in pratica della provocazione di cui sopra, dove agli incontri, più o meno pubblici, di grandi gruppi editoriali si parla di 60.000 titoli nuovi pubblicati ogni anno, “e quindi per forza che la gente non compra i libri, c’è troppa roba, si diluisce tutto”, il dibattito sul ruolo culturale dell’editore si fa sempre più interessante e centrale.
Il self-publishing ammicca, in qualche modo, alla sua destituzione, lasciando agli autori stessi – sospinti e, in un mondo perfetto, gestiti dai lettori e dalle loro scelte d’acquisto – la paradossale decisione su quello che esce e quello che rimane nel cassetto. Ma l’editore, e per editore intendo un gruppo di persone che lavorano insieme, hanno competenze specifiche e complementari e, soprattutto, sono bravi in quello che fanno, ha e deve continuare ad avere il diritto e il dovere della selezione. Della messa in circolo e della messa in discorso di libri e opere intellettuali.
In un contesto dove fare ciò è sempre più difficile, la gente sveglia – perché solo di gente sveglia ai piani alti abbiamo bisogno, e null’altro – si inventa nuovi modi per declinare il suo ruolo. Una bella storia è quella di Edizioni E/O e della nuova collana “Gli intramontabili”, curata da Giulio Passerini. La casa editrice romana ha pensato bene di fare questo: ha selezionato, e il verbo selezionare è al centro di tutta la faccenda, titoli storici, che in Italia non vengono pubblicati da tempo o, addirittura, non sono mai stati tradotti, e ha deciso di riproporli in libreria. A novembre usciranno i primi tre: Bella di giorno di Joseph Keller, da cui Luis Buñuel ha tratto l’omonimo e grandissimo film del 1967 con Catherine Deneuve che, diciamolo, a settant’anni si difende ancora benissimo; Collages di Anaïs Nin, che non ha certo bisogno di presentazioni e Diglielo da parte mia, di Joan Didion, una delle più grandi firme del New Journalism.
La grande letteratura deve durare nel tempo, si legge nel comunicato delle Edizioni E/O. Ecco perché proprio in un momento come quello che stiamo attraversando, in cui la caccia frenetica alla novità rischia di farsi cieca più che mai, abbiamo deciso di varare una nuova collana dedicata alla letteratura senza tempo. Il punto allora sembra essere proprio questo: non c’è bisogno di cercare per forza il nuovo caso editoriale perché, molto semplicemente, si corre il rischio di costruire un castello di carte, destinato a crollare nel giro di poco tempo e di alcune migliaia di copie vendute. A chi serve un Joël Dicker da 300.000 copie se tra un paio d’anni ce lo saremo dimenticato tutti?
L’operazione è meritoria e salvifica per un motivo soprattutto. Ho sempre pensato che la letteratura non sia fatta dai libri ma dai discorsi sui libri. Non solo le chiacchiere da bar o la somma di tutte le recensioni dei lit blog e di Goodreads, ma anche recuperi e ri-messe in scena di capolavori come questi che, se non dimenticati, sono certamente un po’ sbiaditi dalle menti dei lettori.
Fare letteratura per una casa editrice, allora, significa anche questo: innescare un discorso attorno a un libro, alimentarlo, promuoverlo. Ributtarlo nella mischia. Parlarne dal proprio punto di vista di selezionatori e, allo stesso tempo, riprendersi il diritto e la legittimità per farlo. Mostrare a tutti, e sappiamo quanto ce ne sia bisogno, che siamo in buone mani. Che ci possiamo fidare.
La domanda allora è: ci vogliamo fidare? Io dico di sì, ma la fiducia, come tutti i migliori sentimenti umani, funziona a doppia corsia. E allora che si fidino anche loro, di noi. Perchè i lettori sono molto più svegli di come vengono dipinti.